Una barca con le vele ammainate. È come vedono la chiesa cattolica molti credenti Lgbt alla luce del documento di sintesi del sinodo dei vescovi, rilasciato sabato scorso.

Un mese di assemblea in cui i membri sinodali hanno affrontato il tema a più riprese tra i circoli minori, salvo depennarlo nel testo finale. Un cenno veloce a «identità di genere» e «orientamento sessuale» presentati genericamente come «questioni» che, dopo anni di ricerca teologica, ancora «risultano controverse».

In concreto, ai credenti che da anni chiedono di essere visti e riconosciuti all’interno della loro chiesa, Roma ha risposto con l’invisibilità. A sinodo chiuso, tra coloro che si aspettavano una parola di apertura sono in tanti a dirsi amareggiati. Ma lo fanno a bassa voce. 

Solo Francis DeBernardo, direttore esecutivo di New Ways Ministry, l’associazione Usa che accoglie credenti Lgbt nell’esperienza ecclesiale dagli anni Novanta, decide di parlare apertamente: «La mia prima reazione è che nel sinodo non è stato ascoltato il popolo di Dio, che sta dicendo che vuole un diverso approccio alle persone Lgbt. Sembra che la maggioranza abbia ignorato questa chiamata, e questo ferirà molto la comunità Lgbt, ma anche le famiglie e chi pensava in un approccio più positivo».

Una piramide davvero rovesciata?

Secondo l’ultima indagine del Pew Research Research Center (2019), nelle Americhe la maggioranza dei cattolici supporta la comunità Lgbt: in Canada, sono quasi l’87 per cento, seguiti da Argentina (80 per cento) e Stati Uniti (76 per cento). Tra i più delusi ci sono i cattolici nordamericani, gli unici – insieme alla chiesa dell’Oceania – ad aver affrontato il tema opportunamente nelle loro assemblee continentali: «Nelle loro relazioni è emerso un profondo desiderio di maggiore inclusione e accoglienza all’interno della chiesa».

DeBernardo conosce la situazione da decenni. Nel 2000 era il principale relatore sul tema al World Pride di Roma, in concomitanza del Giubileo: «Posso dire che dal Duemila a oggi, il cambiamento più grosso c’è stato al livello più basso della chiesa, da parte dei laici. Ma nella gerarchia, c’è stato un solo un piccolo cambiamento». Eppure, era stato Francesco a delineare l’immagine del sinodo come una piramide rovesciata, con il potere alla base, non in alto, che ascolta ciò che lo Spirito dice.

VatiGiano bifronte

Qualche giorno fa, DeBernardo è stato ricevuto da papa Francesco insieme a suor Jeannine Gramick per oltre un’ora. La religiosa, sanzionata nel 1999 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger per il suo impegno a favore della comunità Lgbt, è stata riabilitata dal pontefice.

Negli anni Francesco si è distinto per aver preso iniziative personali sul tema: ha ricevuto genitori di figli omosessuali, abbracciato credenti transgender, incoraggiato associazioni cristiane che si occupano di inclusività arcobaleno. Per la prima volta, nei documenti ufficiali come gli Instrumentum laboris – che sono preparatori all’assemblea sinodale – è apparso l’acrononimo Lgbt.

DeBernardo rivela di più: «Durante il nostro incontro, il papa si è detto favorevole alla benedizione delle coppie omosessuali, ma non sul matrimonio». Eppure reca la sua firma il responsum vaticano che, nel 2021, ha negato la benedizione alle coppie omosessuali, mentre il suo pontificato partorisce documenti dove la materia è solo accennata o puntellata di condizionali.

Nel testo di sintesi del sinodo si invita a «prendere il tempo necessario per questa riflessione e investirvi le energie migliori, senza cedere a giudizi semplificatori che feriscono le persone e il corpo della chiesa». Ma è da decenni che la chiesa cattolica ha avviato riflessioni teologiche, antropologiche, sociali in materia. «Questo mostra solo una cosa: hanno ignorato le persone, ed è difficile pensare che queste persone potranno partecipare alle discussioni future quando sentono di essere state per l’ennesima volta ignorate» puntualizza DeBernardo.

Un freno dall’Africa

Nell’ottobre 2024 è prevista una seconda sessione sinodale, dopo la quale sarà prodotto un documento più chiaro. Ma lo sarà davvero? Per DeBernardo, la ragione del freno è in alcuni vescovi: «Penso che il papa avrebbe dovuto aiutare a educare i vescovi, ma ha lasciato che loro facessero quello che pensa sia meglio. E lui rispetta la loro autorità. Molti vescovi africani, per esempio, necessitano di imparare ancora molto e lavorare molto sulle questioni Lgbt».

Nei rapporti sinodali continentali, solo quello africano non menziona mai la dicitura Lgbt, neppure la dicitura omosessuale. Nel 2018 il vescovo camerunense Andrew Nkea Fuanya ha minacciato di non votare un documento sul sinodo dei giovani che contenesse l’acronimo Lgbt, presente invece nell’Instrumentum laboris. «Noi non stiamo risolvendo problemi di chiese particolari, ma di una chiesa universale», ha detto. Se il copione sarà replicato anche in questo cammino sinodale, papa Francesco dovrà scegliere se sacrificare una fetta di credenti che chiedono di essere visti in nome di un’armonia ecclesiale solo di facciata. 

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