- Parlano di silenzí, caccia alle streghe nei seminari e omofobia interiorizzata i 50 presbiteri omosessuali che, per la prima volta nella chiesa italiana, fanno coming out davanti ai vescovi e agli operatori pastorali: «Alla fine il silenzio appare come l’unica via di sopravvivenza».
- I sacerdoti puntano il dito contro l’omofobia instillata durante la formazione nei seminari, basata su documenti ufficiali e istruzioni diramate senza supporto scientifico, ma solo pregiudizio sociale. Anche l’ideologia gender, più volte richiamata dal papa, è sotto accusa.
- Il documento, che fa parte di una silloge con un focus sui cristiani Lgbt+, mira a fondare una chiesa accogliente a partire da un sacerdozio che, per esser tale, necessità di una coerenza della persona, senza timore nell’accettare chi si è.
In Italia i preti gay non vogliono più nascondersi e lo dicono in un documento. Il testo, che s’intitola Con tutto il cuore ed è stato presentato a settembre nel corso per operatori pastorali a Bologna, sta circolando tra i banchi del sinodo italiano, il processo di riforma della chiesa cattolica innescato da papa Francesco fino al 2023. Mentre il senatore FdI, Lucio Malan, rispolvera il Levitico per condannare l’omosessualità, l’ideale risposta alla politica che strumentalizza la religione viene proprio da cinquanta sacerdoti che criticano la loro chiesa, dove «il silenzio appare come l’unica via di sopravvivenza». Dopo la presa di posizione del capo dei vescovi tedeschi su questioni come la benedizione alle coppie omosessuali, in Italia sono i sacerdoti a chiedere che si cambi: «Del nostro orientamento omosessuale non possiamo parlare apertamente con i nostri familiari, gli amici e le amiche; tanto meno con altri preti o laici impegnati. La Chiesa non è un contesto dove trovare immediatamente accoglienza, soprattutto per noi». Parole forti, che pongono sotto i raggi X un ambiente dove l’omofobia interiorizzata delle gerarchie ferisce la psiche dei preti: «Si vive una dolorosa lacerazione tra come ci si scopre, creati da Dio, e cosa gli altri si aspettano invece da noi».
Preti lacerati dentro
Nella chiesa italiana manca un’indagine sui preti come quella avviata dalla Conferenza episcopale francese nel 2021: dalle oltre 2mila risposte inviata dai presbiteri under 75, è emerso che il 9 per cento – cioè 239 preti – è depresso. Il 40 per cento di loro non si sente gratificato, spesso entra in conflitto con le gerarchie o ha un carico di lavoro tale da causare una sindrome di burn out. Il rapporto francese rivela che 2 preti su 5 abusano di alcol e l’8 per cento ne è dipendente. Si tratta di segnali importanti, che rivelano un disagio personale. L’indagine francese è stata infatti avviata al settimo suicidio di un sacerdote in 4 anni. A fronte di una mancanza di dati sulla salute psichica dei preti italiani, oggi parla la loro lettera: «Spesso si è costretti a rinnegare se stessi in nome di una spiritualità ipocrita, dagli effetti devastanti. Abbiamo ascoltato storie di consacrati lacerati dai sensi di colpa fino a lasciare la vita presbiterale e, in alcuni casi, togliersi la vita: tentazione terribile, anche per qualcuno di noi». Il medico psichiatra Raffaele Iavazzo ne ha parlato sulla rivista Il Regno: «Un tempo al medico psicologo clinico si chiedeva di fare una diagnosi per certi disagi in cui l’omosessualità emergeva lentamente. Oggi nel mio studio arrivano molti sacerdoti omosessuali e la loro narrazione si fa sempre più trasparente e consapevole; usano un linguaggio diretto, come chi ha preso in mano il timone della propria barca e la guida con apparente sicurezza in acque che invece, almeno in teoria, vengono agitate da molte dichiarazioni di principio».
Omofobia nei seminari
Per i preti omosessuali, dunque, il cammino sinodale diventa l’occasione di dialogo con una chiesa che ha sempre avuto una «parola dura» sull’omosessualità e sul sesso in generale, a partire dai seminari. È nella formazione dei giovani sacerdoti, infatti, che la refrattarietà dell’istituzione ecclesiastica causa il dissidio interiore del prete omosessuale. Viene presa di mira la Ratio del 2016, il documento che regola l’ammissione al sacerdozio aggiornata sull’Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali approvata nel 2005 da papa Bendetto XVI: «La motivazione, che sembrerebbe fondata su dati psicosociali, in realtà non ha e non può avere alcun fondamento se non quello di un superficiale pregiudizio e le nostre storie ne sono la testimonianza». È questo un punto essenziale, che supera lo scetticismo sovente espresso da Bergoglio sulla presunta ideologia gender e ancora richiamato da figure apicali nella chiesa: pochi giorni fa, il cardinale Wim Eijk, ha chiesto che il papa emani un’enciclica contro questa presunta deriva ideologica. È la sua voce contro quella di tanti preti italiani che, dopo anni di sofferente silenzio, oggi tracciano implacabili un’analisi di quei «preti gay omofobi, che scaricano all’esterno il conflitto che è in loro; non esprimono pace, ma vivono un ministero distonico soffocando il proprio essere con il clericalismo». Il fenomeno italiano è anche un unicum, perché nelle chiese locali le istanze sono portate avanti dai vescovi: nella chiesa italiana, invece, il desiderio di un cambiamento viene dal basso, dove il sacerdozio è vissuto come un ministero aperto alla libertà dello Spirito.
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