Con le ultime modifiche introdotte dal governo Draghi la scorsa settimana, il sistema a colori che per oltre un anno ha determinato cosa si poteva fare in ciascuna regione sulla base della gravità dell’epidemia e del sovraccarico degli ospedali, ha cessato il suo scopo.

Formalmente è ancora in vigore, ma nella pratica, per almeno il 90 per cento degli italiani vaccinati, guariti o esenti dall’obbligo di green pass, non cambierà più quasi nulla nel passaggio tra zona bianca, gialla e arancione.

Per loro, regole e restrizioni rimarranno sostanzialmente le stesse fino alla zona rossa. Potranno spostarsi liberamente, andare al ristorante e vivere una vita quasi normale. Così, al posto della vecchia flessibilità, le regole odierne prevedono soltanto un’alternativa tra tutto aperto e un lockdown di fatto.

Un sistema nato male

Il sistema a colori è nato nel novembre del 2020, durante il picco della seconda ondata, con lo scopo di introdurre chiusure automatiche soltanto nelle zone dove il contagio era effettivamente più problematico.

Utilizzato da molti paesi in tutta Europa, il sistema italiano è stato caratterizzato da continui cambiamenti sia nei parametri per il passaggio di colore, sia nelle regole che si applicavano nelle varie zone di rischio. Inoltre, ha sempre avuto ampi buchi sfruttabili per aggirarne le regole e, soprattutto all’inizio, è stato accusato di mancanza di trasparenza. Per i primi mesi, infatti, i parametri sono rimasti ambigui e alcuni dati chiave per determinare gli spostamenti di fascia non venivano resi pubblici.

Ai cambi di colore per ragioni poco trasparenti si sono poi aggiunti quelli arbitrari. Durante le feste di Natale e Pasqua, i governi Conte e Draghi hanno imposto cambi di colore nazionali e modifiche di regole del tutto slegate dal sistema, trasformando l’intero paese in zona rossa o arancione.

Porta aperta ai trucchi

La trasparenza è migliorata con le prime modifiche introdotte a gennaio. Ma già in primavera il sistema ha iniziato a essere smontato dall’interno. In quei giorni, l’Italia si preparava alla prima grande riapertura e la diffusione dei vaccini alimentava grande ottimismo.

Più che dai contagi, il governo Draghi da poco insediato si preoccupava delle potenziali chiusure che con le vecchie regole rischiavano di scattare anche se la presenza dei vaccini aveva considerevolmente ridotto il pericolo di sovraffollamento degli ospedali.

Con il decreto numero 65 del 18 maggio, suggerito dal ministero della Salute, nei criteri per lo spostamento di colore ha assunto così un’importanza crescente l’occupazione di posti letto ospedalieri da parte dei malati Covid.

Ma a questo parametro non sono state accompagnate misure per assicurarsi che le regioni non ricorressero a trucchi per aumentare il numero di posti letto disponibili, così da evitare le restrizioni (le regole per cercare di limitare questa pratica arriveranno soltanto a luglio e non saranno particolarmente efficaci).

Le regioni utilizzavano anche in precedenza vari metodi per evitare le chiusure (per queste ragioni è sotto indagine l’assessore alla Sanità della Sicilia), ma con le modifiche di maggio la pratica è diventata sistematica. Ogni qual volta i contagi iniziavano a crescere in una regione, i posti letto si moltiplicavano, rinviando così l’entrata in zona gialla o arancione.

Depotenziare il sistema

Arriviamo così a luglio, quando nel pieno delle riaperture il sistema a colori è stato cambiato radicalmente e depotenziato. Al posto del complesso algoritmo per determinare i passaggi, già più volte modificato, si è passati a un sistema più semplice con solo tre parametri: incidenza dei contagi, posti occupati in terapia intensiva e area medica.

I cambi di colore scatteranno quando tutti e tre i parametri avranno superato i valori soglia. Poteva accadere così la situazione paradossale di una regione con un’incidenza di casi alle stelle, letti di ospedale pieni, ma con le terapie intensive ancora libere (magari perché il numero è stato “generosamente” allargato), che rimaneva in zona bianca.

E le restrizioni

Accanto al caos dei parametri e il loro lento ma costante depotenziamento, c’è stato poi il tema delle restrizioni valide nelle varie zone. Tra l’entrata in vigore del sistema e la primavera, queste sono state sistematicamente inasprite. Poi, ad aprile, è iniziato il percorso inverso.

Prima si è deciso di consentire l’apertura dei ristoranti in zona gialla, poi a luglio anche in zona arancione. Sempre a luglio, con l’arrivo del green pass, è stato introdotto un importante discrimine nelle restrizioni: quasi tutte d’ora in poi si applicheranno solo alle persone prive di vaccinazione, tampone o che non hanno contratto il Covid.

Con le decisioni annunciate dal governo la scorsa settimana anche le ultime differenze sono scomparse. La mascherina all’aperto è obbligatoria in tutta Italia, non solo in zona gialla, i ristoranti sono aperti ovunque tranne che in zona rossa e ovunque possono essere frequentati solo da vaccinati o guariti.

Il sistema automatico dei colori è finito così svuotato dall’interno: uno scheletro sostituito dalle complicate regole dei green pass e dei green pass rafforzati. Più che le tabelle con le regole per le varie zone colorate, oggi a guidare la vita degli italiani è la tabella green pass del governo: nove pagine fitte di colonne e righe che indicano cosa si può fare nelle varie zone a seconda della tipologia di green pass posseduta. In totale incrociando tutto le combinazioni possibili sono oltre 300. Soltanto il tempo e un’analisi dei dati ci diranno se questo cambiamento ha prodotto risultati migliori.

 

© Riproduzione riservata