- «Sono la “famosa” dott.ssa Camilla Marianera. Scrivo queste poche righe esclusivamente per rappresentare il mio sdegno». Sono le prime parole pubbliche della principale imputata nel processo sulla presunta talpa della procura di Roma.
- Camilla Marianera scrive dal carcere di Rebibbia con una lettera inviata in esclusiva a Domani, rimasta fino ad oggi inedita.
- La ventottenne romana, incensurata, ex avvocato praticante dello studio legale Condoleo e, prima dell’arresto, parte dello staff dell’assessorato alla Sicurezza del Campidoglio, deve affrontare un’accusa pesante: corruzione.
«Sono la “famosa” dott.ssa Camilla Marianera. Scrivo queste poche righe esclusivamente per rappresentare il mio sdegno». Sono le prime parole pubbliche della principale imputata nel processo sulla presunta talpa della procura di Roma. Camilla Marianera scrive dal carcere di Rebibbia con una lettera inviata in esclusiva a Domani, rimasta fino ad oggi inedita. È stata scritta prima dell’udienza celebrata lo scorso lunedì 3 luglio, quando alle 10 di mattina due agenti della polizia penitenziaria hanno scortato Camilla nella torrida aula 19 del tribunale di Roma.
La ventottenne romana, incensurata, ex avvocato praticante dello studio legale Condoleo e, prima dell’arresto, parte dello staff dell’assessorato alla Sicurezza del Campidoglio, deve affrontare un’accusa pesante: avrebbe corrotto un agente dell’ufficio intercettazioni della procura capitolina allo scopo di ottenere e poi rivendere informazioni su indagini in corso, anche ad esponenti della malavita romana. È per questo che dal 15 febbraio scorso si trova in carcere. Così come il suo ex fidanzato e presunto complice, Jacopo De Vivo, processato con rito abbreviato in un altro procedimento.
La testimonianza
L’attesa nell’aula della palazzina A di piazzale Clodio è stata però rivolta ad un teste particolare. I giornalisti, così come uno dei pubblici ministeri responsabili dell’indagine, Giulia Guccione, e il legale difensore, Marco Marronaro, hanno ascoltato Marco Delli Colli, il coordinatore del centro intercettazioni comunicazioni elettroniche (Cice), il grande orecchio della procura romana. Proprio dalla sala del Cice, il 20 settembre scorso gli uomini della polizia giudiziaria ascoltavano per la prima volta Camilla Marianera parlare con un pregiudicato romano, conoscente di Jacopo De Vivo.
Si chiama Luca Giampà, è sposato con una Casamonica e in quei giorni di fine estate stava cercando informazioni sul gps ritrovato nella macchina della moglie. Non sapeva che il trojan installato sul suo cellulare stesse registrando le parole che Camilla gli rivolgeva, giudicate inequivocabili: «Tramite il mio studio legale conosciamo una persona che sta in procura, nell’ufficio dove sbobbinano le intercettazioni, e mi fa tanti favori».
Favori per i quali Camilla chiede un obolo di 300 euro. È quello che i PM definiranno un «protocollo criminale». Ed è l’avvio delle indagini che da nove mesi cercano di mettere le mani sulla presunta talpa della procura.
La sala intercettazioni
L’inizio della deposizione di Delli Colli è stata deflagrante: «Il software che utilizziamo per le intercettazioni è obsoleto, vecchio ormai di 21 anni: sulla schermata compare ancora la scritta Omnitel», ha detto il coordinatore del Cice in aula. È il momento in cui tutta la sconfortante arretratezza del sistema Virtual, quello tutt’oggi utilizzato dal tribunale per la sala intercettazioni, è stato messo a nudo.
Delli Colli ha raccontato che i 12 ufficiali di polizia giudiziaria assegnati alle intercettazioni - sostituiti in toto in seguito a questa inchiesta -, per i quattro computer della sala hanno a disposizione una decina di password, «un’altra è ancora in possesso di una nostra collega, poi trasferita», ha aggiunto.
Per evitare che il sistema vada in tilt, il più delle volte viene lasciato aperto, senza password. È uno dei motivi per cui non è mai stato possibile risalire agli accessi effettuati sui pc nei momenti in cui Marianera avrebbe preso contatto con la presunta talpa.
Dettagli a confronto
L’unica sicurezza, ha ribadito Delli Colli, è che l’ingresso al Cice rimane sorvegliato 24 ore su 24 dagli ufficiali addetti. I quali, nonostante negli ultimi 21 anni il sistema sia rimasto lo stesso, sarebbero gli unici depositari di un particolare che Camilla svela proprio a Giampà: quando un’intercettazione è chiusa, sulla schermata dei computer compare il colore rosso. Secondo l’accusa, sarebbe una prova che Marianera conoscesse il funzionamento del sistema grazie alla complicità di un addetto del Cice.
Secondo la difesa, invece, Camilla stava solo millantando. Lo dimostrerebbe il passaggio dell’intercettazione in cui lei, per fornire informazioni sul gps trovato in macchina, chiede a Giampà di segnarle nome, cognome e data di nascita.
Dati che, specifica Delli Colli nella sua deposizione, risultano inutilizzabili per una ricerca sui terminali del Cice: per capire se Giampà fosse intercettato o no sarebbero infatti serviti il suo numero di telefono oppure il codice Imei del suo cellulare. Oltre al marito della Casamonica, c'è almeno un altro nome su cui la magistratura sta indagando. Dopo nove mesi di indagini e cinque di carcere per la coppia imputata, l’identità della presunta talpa rimane però un mistero.
Il carabiniere indagato
Tra gli indagati per corruzione in atti giudiziari c’è anche Gregorio Viggiano, carabiniere che a Domani risultava almeno fino ad aprile in servizio presso la scorta del Ministro della Salute. Nel periodo in cui sono avvenuti i fatti per i quali è sotto indagine era dunque al fianco di Orazio Schillaci, totalmente estraneo all’indagine.
Di Viggiano avevamo già scritto: in passato nella scorta del ministro Speranza, prima ancora addetto nell’ufficio dell’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone. È il marito dell’avvocato Marina Condoleo, penalista romana, il cui padre aveva in passato difeso Luciano Marianera, pluripregiudicato padre dell’imputata.
Una collaboratrice dello studio Condoleo, intercettata al telefono con Camilla, apostrofa Viggiano come “er fotocopia”, un appellativo che avrebbe sentito attribuire al carabiniere in riferimento alla sua presenza negli uffici della procura. Ma si tratterebbe solo di livore gratuito, sul suo conto, a quanto risulta a Domani, non sarebbero mai emerse elementi di rilievo. Viggiano e la moglie, contattati da questo giornale, non hanno voluto commentare.
La lettera
Anche il ruolo di Camilla nell’assessorato alle Politiche della Sicurezza del Comune di Roma, guidato da Monica Lucarelli, è stato più volte messo al vaglio dagli inquirenti. Apprezzata e scelta dalla stessa Lucarelli e poi scaricata, Camilla a settembre dello scorso anno si sarebbe ritrovata nei vertici in prefettura in cui si parlava anche di contrasto alla criminalità.
Se e a chi il contenuto di quelle riunioni sia stato poi riferito è un aspetto su cui si sta ancora facendo chiarezza. Ed è proprio sulle accuse a lei rivolte che Camilla ha deciso di parlare per la prima volta, inviando al Domani una lettera che qui pubblichiamo.
Parole da cui emergono la fragilità accumulata nei mesi successivi all’arresto e l’attesa del riscatto: «Trovo assolutamente fuori luogo i continui attacchi nei miei confronti (…) senza tener conto della possibilità di ledere la sensibilità di una ragazza di 28 anni che è stata sottoposta a misura cautelare dal giorno alla notte, che ha perso il lavoro e per settimane si è ritrovata in tv e sui giornali senza poter aver diritto di replica». In attesa, conclude, del «momento in cui anch’io avrò la possibilità di rispondere e non subire in silenzio».
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