Amleto e il Gico. Due indizi che raccontano un nuovo incrocio pericoloso nell’indagine della procura di Roma che ha scoperchiato un verminaio nel cuore dello stato fatto di appalti e mazzette che ha coinvolto anche un manager di Tim e uno di Ntt Data (le aziende sono parte lesa), indagati per corruzione tra privati.

L’abbrivio

Torniamo all’incrocio pericoloso, si tratta di una ipotesi investigativa sugli affari della camorra, ipotesi che potrebbe essere stata l’abbrivio di questa indagine che sospetta appalti truccati al ministero della Difesa, dell’Interno, di Sogei, partecipata dal ministero del Tesoro.

Filoni che poi si sono divisi seguendo strade diverse, quella ormai pubblica riguarda appalti per decine di milioni di euro finiti a imprenditori che garantivano forniture a ditte care ai funzionari pubblici o soldi a manager.

Manager che dovevano servire lo stato e che, invece, hanno piegato la funzione al denaro, «colui che tutto muove» parafrasando Dante, il sommo poeta. Un’indagine che è seguita dal pool di magistrati che si occupa di pubblica amministrazione dove è confluito un approfondimento investigativo dei finanzieri specializzati in crimine organizzato.

Il manager Tim

Proprio il Gico di Roma, infatti, ha depositato pochi giorni fa un’annotazione nella quale emerge uno scambio di soldi ritenuto illecito tra Simone De Rose, procuratore della società Tim, e Emilio Graziano, procuratore della società Ntt Data Italia spa, un colosso che si occupa di servizi digitali e anche di cybersicurezza.

La procura contesta ai due il reato di corruzione tra privati perché De Rose avrebbe ricevuto in due occasioni denaro, nel febbraio scorso 50 mila euro, e nel maggio scorso, una cifra non quantificata, per «compiere atti in violazione degli obblighi inerenti il suo ufficio e comunque in violazione degli obblighi di fedeltà».

Nel decreto di perquisizione e sequestro, firmato dai pubblici ministeri di Roma, si parla di un rapporto di corruttela tra privati e di un filone d’indagine partito dalle osservazioni sull’imprenditore Massimo Rossi, finito in carcere per corruzione insieme al numero due di Sogei, Paolino Iorio.

Iorio, nei giorni scorsi, ha ammesso di aver ricevuto soldi in nero dall’imprenditore, anche quest’ultimo potrebbe rivelare nuovi dettagli e particolari agli inquirenti, l’indagine non è chiusa, ma è solo all’inizio. L’annotazione è firmata dal Gico che si occupa di criminalità organizzata, i segugi della finanza lavorano su un altro filone che riguarda soldi e l’ombra dei clan e mentre indagavano si sono imbattuti nello scambio corruttivo depositando l’annotazione.

I soldi

Di soldi si parla tanto anche nell’indagine principale, l’imprenditore Massimo Rossi, al quale come agli altri si contestano solo reati contro la pubblica amministrazione, ha spiegato la provenienza del denaro dalla Thailandia. «Quei soldi offerti in pagamento a Iorio provenivano dai guadagni dell’attività di ristorazione di un amico intimo e testimone di nozze», si legge nell’ordinanza di arresto.

Denaro in altre parole proveniente da un ristorante dell’isola di Copangha, un paese conosciuto da Rossi visto che era sposato (e poi separato) con una donna thailandese. «Il denaro veniva dunque confezionato e inviato alla sede societaria di Rossi a Napoli, dove l’altro amico fraterno, Sandro Sestili, si incaricava di portarlo a Roma percependo per tali attività delle retribuzioni», si legge nel documento giudiziario. Bangokok, Napoli, Roma pertanto.

Rossi non sapeva come il denaro arrivasse a Napoli dalla Thailandia. In una intercettazione Sestili, parlando con una interlocutrice, dice che è in procinto di «ritirare dei soldi [...] da Amleto (...) potrei anche dirgli di venire a Pozzuoli domenica mattina, tanto in albergo c'è la cassaforte». Amleto, che i principali indagati dicono di non conoscere, sarebbe in contatto anche con altri ambienti, a cavallo tra imprenditoria e malavita.

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