In un rapporto la Corte accusa la Commissione di non vigilare sull’utilizzo dei fondi inviati alla guardia costiera libica e sul rispetto dei diritti umani. Rilievi anche all’Italia
La Corte dei conti europea mette in discussione le politiche migratorie della Commissione Ue e dei paesi membri. Lo fa nell’ultima relazione sull’utilizzo dei finanziamenti del fondo fiduciario per l’Africa (Eutf), nato nel 2015 per contrastare i flussi migratori.
Nel documento si legge che il fondo «non è ancora concentrato sulle priorità» e «i rischi per i diritti umani non sono affrontati correttamente». Non solo, dopo tutti questi anni «la Commissione non è ancora in grado di identificare e riferire sugli approcci più efficienti per ridurre la migrazione irregolare e gli spostamenti forzati in Africa». Nelle sue conclusioni l’organismo di vigilanza contabile si concentra sui fondi destinati alla Libia, accusando anche l’Italia di scarso monitoraggio sul corretto utilizzo delle attrezzature fornite alla guardia costiera del paese.
Secondo i dati di Openpolis, l’Italia è il secondo maggior donatore del fondo Eutf dopo la Germania, con circa 123 milioni di euro. Il budget complessivo è di 5 miliardi di euro, di questi 1,3 sono stanziati per la gestione dei flussi migratori. E la Libia è il terzo beneficiario, dopo Sudan e Somalia. I soldi sono serviti per comprare mezzi di trasporto terrestri e marittimi ma anche per l’addestramento alla guardia costiera.
In mano alle milizie
«Le attrezzature potrebbero essere utilizzate da soggetti diversi dai beneficiari previsti», scrive la Corte. Inoltre, «il personale addestrato (gli agenti libici ndr) potrebbe non impegnarsi nel rispetto del principio “non nuocere”», una conferma istituzionale della violenza contro i migranti già testimoniata da inchieste giornalistiche.
E ancora: «Il sostegno dell’Eutf potrebbe aver facilitato il trasferimento dei migranti nei centri di detenzione aggravando il sovraffollamento». Centri che «possono essere controllati da altri attori non ufficiali coinvolti in attività di contrabbando» portate avanti dalle milizie.
«Auto e autobus potrebbero non essere utilizzati dai beneficiari previsti o per gli scopi previsti», si legge nel documento. Ma c’è di peggio: «Le attrezzature potrebbero essere state vendute». Chi doveva monitorare sull’utilizzo dei fondi? Anche le forze dell’ordine italiane che avevano promesso di adottare «criteri rigorosi per selezionare i funzionari libici che avrebbero beneficiato del progetto», ma per la Corte non ci sono prove che dal 2018 a oggi questo sia stato fatto.
La Commissione ha ingaggiato una società per capire come i suoi progetti hanno protetto i diritti umani. In decine di documenti sono stati segnalati potenziali rischi, ma «la Commissione non ha istituito un processo per dare seguito alle informazioni incluse nei report». Le lacune sono dovute soprattutto al fatto che i funzionari di Bruxelles non hanno «una conoscenza approfondita delle attività finanziate dall’Eutf in Libia», di conseguenza non possono «valutare se le attrezzature finanziate dall’Ue siano utilizzate come previsto». Non esistono procedure per segnalare violazioni dei diritti umani. Un vulnus grave visti i recenti accordi siglati dall’Ue con Tunisia ed Egitto.
La guerra alle ong
Infine la Corte segnala che la Libia non ha un centro di coordinamento per le ricerche e i soccorsi in mare nonostante il supporto necessario sia stato consegnato a fine 2021. Si tratterebbe di un chiaro disegno politico. La guardia costiera libica «non sempre risponde alle emergenze in mare» o informa le ong per «fornire assistenza», segnala l’organismo. Eppure il governo Meloni ha fatto della guerra alle ong uno dei suoi cavalli di battaglia. Il decreto Piantedosi punisce le navi che non rispettano i dettami della guardia costiera libica con fermi amministrativi – smontati spesso da sentenze – e multe salate.
Ma il rapporto della Corte mette in discussione l’intero “impianto accusatorio” del ministro dell’Interno: denuncia la possibilità che attrezzature e fondi Ue siano finiti alle milizie e accusa la guardia costiera di non rispettare il diritto internazionale. L’ennesima prova è arrivata ieri dalla Geo Barents, la nave di Medici senza frontiere, da qualche giorno sottoposta a un nuovo fermo amministrativo, che ha pubblicato un video, che risalirebbe allo scorso 19 settembre, dove la guardia costiera libica minaccia di sparare durante i soccorsi di un barchino carico di migranti.
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