Paura di denunciare e di essere emarginati. Troppo spesso i casi di abusi sessuali nel mondo dello sport finiscono insabbiati e vengono nascosti da un velo di omertà. Così le famiglie si ritrovano da sole e chiedere giustizia. Dal 2014 al 2020 ci sarebbero stati più di 300 casi ma solo 96 di questi sono stati denunciati
- Stanno cominciando a emergere le vicende di abusi sessuali e violenze nel mondo dello sport. Un fenomeno che troppo spesso rimane nascosto a causa di un sistema omertoso.
- La giornalista Daniela Simonetti ha pubblicato un libro inchiesta in cui mostra, documenta e racconta questo lato oscuro e dello sport italiano.
- Dal 2019 l’associazione Change the game/Il cavallo rosa si occupa di aiutare le famiglie che si ritrovano, spesso da sole, a lottare per avere giustizia dopo casi di abusi e violenze. Ma c’è ancora molto da fare per superare la paura di denunciare.
Nel 2014 è stato introdotto l’obbligo di presentare i cosiddetti certificati antipedofilia da parte di allenatori e staff sportivo. Un obbligo da cui una circolare ministeriale, sempre nello stesso anno e dopo le forti pressioni del Coni, ha esentato volontari e collaboratori sportivi assunti con i contratti sullo sport dilettantistico, cioè tecnici, coach e dirigenti. Così dal 2014 il 90 per cento di chi opera nel mondo sportivo in Italia non è obbligato a informare i genitori e la comunità sportiva del proprio certificato penale. Si può presentare un’autocertificazione, ma senza gli strumenti adatti al controllo chi ne constata la veridicità?
Eppure quel certificato avrebbe potuto evitare, ed eviterebbe ancora oggi, sofferenza, solitudine e paura a tante famiglie che si sono ritrovate con delle ferite profonde che difficilmente si rimarginano, soprattutto quando la giustizia fa fatica ad arrivare. L’ex allenatore di calcio Gianfranco Dugo quando nel 2017 è stato arrestato con l’accusa di molestie, aveva già alle spalle tre condanne per detenzione di materiale pedopornografico e atti osceni su minori. Nessuno lo sapeva. «Come sarebbe stato utile avere i certificati penali per salvare tanti bambini – dice la giornalista Daniela Simonetti che il 25 febbraio ha pubblicato il libro inchiesta Impunità di gregge. Sesso, bugie e omertà nel mondo dello sport (ed. Chiarelettere) in cui racconta un aspetto troppo spesso nascosto dello sport italiano –. Sarebbe il primo passo per ripulire gli ambienti dai condannati anche con sentenze definitive, come Dugo, e allontanarli».
Quale giustizia sportiva?
In ogni caso non è scontato che presentando un certificato penale alla federazione di riferimento, pur in presenza di una condanna per reati sessuali, si venga licenziati. «La giustizia sportiva non prevede proprio questo illecito. Come faccio a condannare se l’illecito non c’è?» dice Simonetti, fondatrice della prima associazione italiana contro gli abusi sessuali nello sport, Change the game/Il cavallo rosa. Secondo i princìpi fondamentali del Coni (art. 7.4 comma 8), se un tesserato viene radiato da una federazione può tranquillamente spostarsi in un’altra.
In Italia ci sono 44 federazioni che a loro volta possiedono altrettanti regolamenti differenti, ma solo la Federazione arrampicata sportiva prevede esplicitamente radiazioni per violenza sessuale o abusi. «Le altre federazioni lasciano alla discrezionalità degli organi di giustizia l’individuazione della sanzione da applicare. Ma qual è la sanzione? Può andare da un giorno a un anno, non c’è un principio assoluto inserito all’interno di questi regolamenti». Esistono infatti due tipi di illeciti, quelli sportivi commessi sul campo e i disciplinari, fuori dal campo, che consistono nella violazione del principio di lealtà, correttezza e probità. Per quest’ultimo, se un allenatore abusa un suo giocatore in realtà sta solo infangando il nome della federazione d’appartenenza e, come riportato nel libro riguardo al caso della Federazione rugby, potrebbe essere al massimo sospeso per tre anni.
«Nella giustizia sportiva, le procure federali non hanno titoli per sentire il minore. Sono inadeguate perché non hanno strumenti di indagine. Innanzitutto sono legate a un potere politico e al presidente che le nomina, più spesso non sono formate su queste tematiche e creano problemi alle famiglie. Ci dovrebbe essere un tribunale autonomo che possa indagare in modo libero sui casi di abusi, affiancato da professionisti esperti in materia», dice Simonetti. L’inadeguatezza e l’ipocrisia delle belle ma vuote parole dei vertici Coni, come safeguarding policy (le “policy di salvaguardia”), lasciano spazio alla solitudine di chi denuncia che si ritrova ad allontanarsi o a essere allontanato. «La vittima non può nemmeno partecipare al processo sportivo. Per le federazioni il procedimento disciplinare, detto “binario”, è formato solo dalla procura federale che accusa e dall’accusato che si difende» ed è lì che il sistema sportivo si chiude in sé stesso, sentenzia con frasi terribili come “è stato provocato, non è colpa sua”, protegge e nega per salvare la faccia.
I numeri in Italia
Gli atleti tesserati delle federazioni sportive nazionali sono 4.703.000, le donne rappresentano il 28,2 per cento del totale, gli under 18 il 56,7 per cento. Gli operatori sportivi sono oltre un milione e le società sportive affiliate sono 63.517. I minori sono quasi il 60 per cento del totale. Questi i dati contenuti nel report I numeri dello sport 2017, redatto dal Centro studi e osservatori statistici per lo sport del Coni nel mese di dicembre 2018. La relazione pubblicata dalla procura generale del Coni, per gli anni 2014-2020, parla di 96 casi di abusi sessuali e pedofilia tra federazioni nazionali e discipline associate con oltre 40 processi a carico di tesserati in cui il Coni non si è mai costituito parte civile. La Figc ha avuto 22 casi, la Fise (Federazione italiana sport equestri) 20 e la Fipav 13. «Ma i casi sono di più – afferma Simonetti –. Il 2020 è l’anno del Covid, molti sport si sono fermati ma non i casi. Applicando il numero oscuro (il totale dei reati mai denunciati e che non compaiono nelle statistiche ufficiali ndr) abbiamo un rapporto di 35 reati denunciati su 100. Il reato meno denunciato è quello sessuale. La vittima coltiva il timore di non essere creduta. Se le denunce per violenza domestica o sessuale in generale sono poche, nello sport i numeri calano ancora perché si ha a che fare con una persona che ha un forte ascendente, che ha minacciato e che si ritrova dopo pochi giorni in palestra. Abbiamo quindi valutato che i casi sono sicuramente non meno di 300». Il Coni aveva promesso un numero verde che non è mai stato attivato.
Voglia di giustizia
Fondata nel 2019, l’associazione Change the game/Il cavallo rosa al momento segue 30 famiglie coinvolte in vicende di molestie legate allo sport. «Lavoriamo con le famiglia sentendoci tutti i giorni, accompagnandole in questo percorso. C’è una forte richiesta di giustizia. In molti ci contattano direttamente sui social, vogliono avere un feedback diretto e immediato. Facciamo un lavoro d’inchiesta dove chiediamo sempre una documentazione sulla vicenda, soprattutto penale». A dicembre 2020, Fifa e US Center for SafeSport hanno contattato l’associazione per avviare delle collaborazioni internazionali sul tema degli abusi sessuali nello sport. «Le federazioni hanno timore di perdere soldi e iscritti. Il nostro obiettivo è quello di ribaltare tutto questo, perché gli iscritti aumentano se si dimostra di saper proteggere bambini e famiglie».
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