La scienza ha dimostrato che esiste un collegamento tra longevità e crononutrizione, ossia a che ora vengono effettuati i pasti. I centenari abruzzesi lo sanno bene e infatti la cosa più importante dello Sdijuno, la merenda salata abruzzese che ti allunga la vita, è l’orario.
Tra le tante diete suggerite, quella del digiuno intermittente è una delle più diffuse. Prevede di consumare le calorie necessarie in un arco di tempo circoscritto, per poi non ingerire più niente per diverse ore. Il quando e il come variano a seconda del caso, ma mediamente il rapporto si attesta su 16:8 (16 ore di astinenza e otto ore durante cui mangiare a intervalli).
A lungo andare gli effetti benefici sul corpo sono oggettivi, purché si rispetti ad litteram il programma (un assioma riciclabile per ogni dieta).
Quelli sulla salute rimangono invece ancora nebulosi: non che il digiuno intermittente sia nocivo per l’uomo, ma nessuno ha fin qui appurato, dati alla mano, le sue ripercussioni positive negli anni. Lo stesso non si può dire per lo sdijuno.
Tradotto letteralmente dal dialetto dell’Abruzzo, terra che ha dato i natali a questa antica usanza ancora in auge, significa “rompere il digiuno della notte”. Va da sé quindi che si tratti di un pasto da consumare la mattina presto. Come in quello intermittente, anche qui il tempo gioca un ruolo essenziale.
Lo sdijuno è infatti un pasto frugale, rigorosamente salato, da consumare appena alzati prima di quello più sostanzioso, il pranzo, in modo tale da arrivare fino a cena, quando si mangia meno. Cosa mettere in tavola non è una regola tassativa, visto che molto spesso si tratta di avanzi del giorno prima.
Facile dunque trovare pane “onde” (il pane e olio locale), salumi, formaggi, uova (o ova, come vuole il gergo del posto), pipidune (peperoni) e altre verdure. Un menù che sembrerebbe proprio la formula azzeccata per una vita lunga, lontano dai malanni.
Un’unica regola
Come spesso accade, «l’idea di iniziare quest’analisi è nata parlando con le persone». Mauro Serafini è professore ordinario di Scienze Tecniche e Dietetiche all’Università di Teramo, tra i massimi esperti di Alimentazione e Nutrizione umana. Tanto che, per i suoi meriti scientifici, è stato nominato Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica. Fra i vari, rientra anche lo studio a di cui è responsabile, CenTEnari, promosso dal suo ateneo autonomamente.
Non essendo di origine abruzzese, nell’ascoltare i racconti del luogo per bocca di persone anziane, Serafini si è incuriosito. Così sono state intervistate poco meno di settanta, circoscritte nella provincia di L’Aquila, per raccogliere informazioni sulla loro quotidianità, dallo stile di vita fino alle abitudini alimentari.
Voleva comprendere se il gran numero di centenari, vicino a quello registrato nella zona sarda dell’Ogliastra, fosse una casualità oppure dietro ci fosse anche una spiegazione scientifica. Ebbene, era vera la seconda.
«Il 95 per cento degli intervistati praticava lo sdijuno», spiega il professore.
«L’elemento innovativo di questa ricerca è che, per la prima volta, vengono collegate con evidenza scientifica la longevità e il benessere con la crononutrizione», ovvero l’orario in cui vengono effettuati i pasti.
«Abbiamo chiesto quando mangiassero e quasi tutti ci hanno risposto che praticano una colazione salata alle 6:30, di circa 300 calorie, che può consistere in un po’ di peperoni e uova, pane con la ventricina (insaccato tipico delle terre tra Abruzzo e Molise, ndr) e avanzi della sera prima, come polenta o pasta».
Questi sono stati gli alimenti sempre presenti nei racconti esposti dagli anziani, mentre sul resto c’è una differenza che varia a seconda del palato e di ciò che si cucinava. «A mezzogiorno fanno un pasto più completo», continua Serafini, «cenando infine verso le 19:00». Dove, naturalmente, non avviene alcuna abbuffata.
Un pasto serale modico infatti «riduce lo stress infiammatorio. Al calar del sole il metabolismo è solitamente più lento: quindi più il pasto viene consumato tardi, più aumentano i rischi per la salute».
L’inframezzo tra la cena e il pranzo è rappresentato pertanto da una manciata di calorie. Lasciare a secco il proprio stomaco durante quella che il professore chiama «finestra di riduzione calorica», dalla durata di circa 17 o 18 ore, permette dunque di «favorire un pasto estremo, quello del pranzo, perché il metabolismo lo riesce a gestire nel miglior modo possibile».
Così non ne fanno più
A quanto pare, funziona. Pur tenendo conto di tante altre variabili che possono influire, «abbiamo notato che tutte le persone con cui abbiamo parlato erano in ottime condizioni. Le abbiamo incontrate con le loro famiglie, così che fosse più facile tornare indietro con la memoria e ricostruire il passato. Il quadro medico che ne è uscito è spettacolare: l’unica problematica riscontrata è l’ipertensione, ma rientra nella normalità con l’avanzare degli anni.
Tranne tre o quattro diabetici, su settanta intervistati nessuno aveva problemi gravi. Mi ricordo un signore estremamente loquace che ci narrava le sue storie. Vuol dire che sono attivi, sia da un punto di vista mentale che fisico».
Se è vero che spesso si faccia di necessità virtù, nell’alimentazione questo concetto vale con ancor più ragione. I questionari alimentari sottoposti durante la ricerca mostrano come i centenari abruzzesi hanno un apporto quasi minimo di zuccheri semplici. Anche di dolci, quindi.
Più che lo sdijuno, c’entra forse il fatto che un tempo nelle cucine ce n’erano pochi, per non dire zero. Così come nelle credenze mancavano molto spesso gli alimenti tipici della colazione di oggi: caffè e biscotti erano ad esempio sostituiti dal pane inzuppato nel latte, per chi lo aveva.
L’usanza dello sdijuno è quindi calibrata per il ciclo della giornata dei contadini e dei pastori, che iniziava la mattina presto, proseguiva nei campi e sulle montagne, per poi terminare al tramonto. Una quotidianità logorante, che richiede uno sforzo fisico notevole che deve essere alimentato, letteralmente.
Ma anche dopo aver superato l’età lavorativa, lo sdijuno continua a scandire i pasti di queste persone. Questione di abitudine, certo, così come di lungimiranza. «In una società, la nostra, dove la vita si allunga solo per trattamento farmacologico», osserva il professor Serafini, «questi centenari rappresentano proprio l’esempio di come siano riusciti a mantenersi attivi e in uno stato di benessere anche in età avanzata».
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