In oltre duemila pagine le motivazioni della sentenza di primo grado della strage del 2 agosto 1980 dove persero la vita 85 persone. Il pm Michele Leoni traccia un quadro completo del profilo dell’ex Nar Gilberto Cavallini
- La Corte di Bologna ha inviato alla procura una serie di denunce per reati commessi nel corso del dibattimento, dalla falsa testimonianza finalizzata a depistare un processo in materia di strage, alla calunnia.
- Gilberto Cavallini è qualcosa di più di un quarto uomo: killer del poliziotto Francesco Straullo e del pm Mario Amato, godeva di protezione in Argentina e Bolivia e deteneva conti in Svizzera.
- L’ex Nar era consapevole del progetto della strage e del sostegno dello stato. Nella sua agenda c’erano i numeri di uomini dei servizi segreti istituzionali e del tutto il panorama del terrorismo di destra.
Tanto tuonò che piovve. Le motivazioni della sentenza di condanna di primo grado per Gilberto Cavallini, ritenuto dalla Corte di Assise di Bologna colpevole per concorso nella strage del 2 agosto 1980 (85 morti), erano attese da tempo e alcuni sussurravano che c’era del marcio dietro a quel continuo rinvio. Ora il presidente Michele Leoni, in procinto di passare a guidare il Tribunale di Ravenna, dà fuoco alle polveri con un documento complesso che, nelle oltre duemila pagine, nove di indice, vuole azzerare qualsiasi dubbio su una condanna decisamente tardiva.
Già, perché il «contributo agevolatore minimale dell’ospitalità» offerta da Cavallini a Mambro e Fioravanti, già condannati definitivamente insieme a Luigi Ciavardini, era «di immediata percezione anche al profano. Ben 38 anni fa». Parole pesanti come pietre che hanno il merito di fare chiarezza in una lunga mistificazione – narrazione, si dice oggi: quella che ha voluto incasellare la strage dentro le azioni “spontaneiste” di un gruppo armato di gente pazza. Come fosse un crimine comune. Niente di tutto ciò.
Lo spontaneismo armato, come alcuni vanno ripetendo da tempo, non esiste se non come articolazione del neofascismo italiano nato dal dopoguerra: anzi, «l'inserzione del termine 'spontaneista' nel capo d’imputazione ha funzionato come clausola di sbarramento per una pronuncia di colpevolezza di Cavallini per strage politica o di Stato». Sembra quasi liberatorio questo documento, scritto non di fretta dunque meditato e ponderato, con la sua dura critica all'impostazione data dalla Procura di Bologna nel processo all'ex Nar. «La pubblica accusa – scrive il giudice Michele Leoni - ha circoscritto lo spazio dell'incriminazione all'operatività di una cellula terroristica autonoma, estranea da concreti programmi di sovversione istituzionale». Dunque una condanna a Cavallini per strage politica «non è possibile in questa sede, perché', inopinatamente e in modo contraddittorio, nello stesso capo di imputazione, nella parte descrittiva del reato, è stata inserita la parola 'spontaneista', che costituisce una negazione della strage politica, alias di Stato».
Gilberto Cavallini, dunque, è qualcosa di più di un quarto uomo: killer di Mario Amato e Francesco Straullo – il pm e il poliziotto stavano conducendo indagini profondissime sulla destra e i suoi rapporti con i servizi segreti - legato a Fachini, Signorelli, Maggi, Soffiati, godeva di coperture in Argentina e in Bolivia, aveva conti protetti in Svizzera, l’ex terrorista dei Nar era soprattutto il trade union con Ordine nuovo, l’agenzia dello stragismo. Cavallini è l’anello che rende leggibile in un contesto di eversione nera e di piani di azioni contro lo Stato democratico, l’azione di Mambro e Fioranti: lo si comprende anche dai documenti che scriveva il suo amico Signorelli, teorico e leader ordinovista, come quello sull’“Attuazione dei tempi della guerra rivoluzionaria”, perfettamente sovrapponibile ai propositi, al linguaggio e alla ideologia prodotti dall’Istituto Pollio con il famigerato Convegno sulla strategia della tensione del maggio 1965 e ai programmi eversivi della Loggia P2.
La strage è nata in un progetto destabilizzante di cui Cavallini era perfettamente consapevole. Così come del sostegno dello Stato. Aveva a portata di mano, nella sua agenda, i numeri telefonici di uomini dell’intelligence istituzionale o occulta (l’Anello) e, del resto, si legge ancora, in un crescendo di accuse che iniziano a dare uno squarcio più reale di quegli eventi, tutto il «variegato panorama del terrorismo di destra, Tuti, Concutelli, Delle Chiaie, Graziani, Massagrande, i vari capi di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale, Fachini, nonché Fiore e Adinolfi, tutti erano compromessi con i Servizi e con altri poteri dello Stato, e i Nar (Cavallini compreso) non facevano eccezione». Non erano affatto portatori di una “verginità di intenti", visto che erano vicendevolmente integrati con personaggi e organizzazioni della stessa estrazione.
La Corte bolognese tiene a precisare che non sarebbe opponibile alcun segreto di Stato nelle indagini sulla strage – la legge del 2007 non lo permette – e demitizza certa insistenza nella ricerca di documenti negli Archivi del vecchio Sismi: operazione inconcludente sia per lo stato di confusione del materiale – come già denunciato nella sentenza ordinanza del Giudice istruttore di Bologna del 3 agosto 1994 nel corso delle indagini sulla ‘Gladio’ - sia perché quei servizi erano tutti controllati dalla P2. Dunque cosa pensate che ci abbiano lasciato in eredità? La verità o una patacca?
Ridicolizzate e polverizzate tutte le ipotesi alternative alla responsabilità nera della strage, sperando che ciò possa far riposare in pace la ventiquattrenne Maria Fresu, il cui corpo venne frantumato nell’orrore dei pezzi umani che giacevano davanti alla Stazione, e per i sostenitori della pista palestinese sarebbe stato sostituto con un altro. Naturalmente quello del terrorista. Scempiaggini che speriamo di non ascoltare più visto che «sulla base delle conclusioni del perito Coppe non è possibile la dematerializzazione» di quel povero corpo.
In attesa dell’appello, andrà in scena nelle prossime settimane la Procura generale della città felsinea. Si attendono nuovi colpi di scena. Anche perché la Corte di Bologna ha inviato alla procura una serie di denunce per reati commessi nel corso del dibattimento, dalla falsa testimonianza finalizzata a depistare un processo in materia di strage, alla calunnia. Ce n’è anche per il generale Mario Mori, ritenuto reticente.
Un documento, in definitiva, che farà probabilmente discutere e che ha il merito di parlar chiaro e di provare a dare corpo ad una ricostruzione degli eventi da molto tempo attesa. Evidentemente ora i tempi sono maturi.
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