Secondo il tribunale di Bologna, l’ex Nar era «pienamente consapevole dei disegni eversivi che coinvolgevano il terrorismo e le istituzioni deviate grazie ai suoi collegamenti»
Sono state depositate le motivazioni della sentenza nei confronti di Gilberto Cavallini, l'ex Nar condannato un anno fa all'ergastolo per essere stato coinvolto nell’organizzazione della strage alla stazione di Bologna avvenuta il 2 agosto 1980 e costata la vita a 85 persone. Si tratta di duemila pagine di motivazioni in cui si spiega l’ex membro del gruppo neofascista era «tutt'altro che uno 'spontaneista' confinato in una cellula terroristica autonoma» e che accusa Cavallini di essere stato «pienamente consapevole dei disegni eversivi che coinvolgevano il terrorismo e le istituzioni deviate grazie ai suoi collegamenti». A prova di questa tesi è citata la lettera scritta da Valerio Fioravanti, già condannato per la strage, all'ex terrorista Mario Tuti, in cui l’ex membro dei Nar dice: «Prendi ad esempio la Strage di Bologna perché io e Francesca (Mambro, anche lei condannata per la strage) ci siamo dentro e non ci sono i vari Cavallini, che pure vivevano con noi?».
«Lo stato era coinvolto»
Il presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage, Paolo Bolognesi ha detto all’agenzia LaPresse di non considerare la strage di Bologna, «una strage di stato», ma che «sicuramente una buona parte dello Stato era interessata a quella azione». Bolognesi ha ricordato come «in quel momento avevamo una situazione particolare, i membri dei Servizi erano tutti iscritti alla loggia massonica P2 ed erano stati nominati da alcuni politici proprio per quello. Per questo dico che una buona parte dello stato era partecipe all'operazione». Sul futuro poi Bolognesi ha aggiunto: «Bisogna essere chiari, è dal 2008-2009 che produciamo memorie su memorie alla procura per il processo a Cavallini e per chiedere che si facesse una indagine sui mandanti. Sia il processo che le indagini sono stati fatti: credo che quanto emerso sia confortante e vada nella direzione che dicevamo noi».
Il processo sui mandanti
Proprio quello dei mandanti è il più grande interrogativo sulla strage: chi c’era dietro quell’esplosione che ha squarciato la sala di aspetto della stazione del capoluogo emiliano? Il processo in atto sta ricostruendo le responsabilità ai massimi livelli. Sta cercando di svelare l’identità dei mandanti di una delle pagine più nere del paese, portando alla luce la commistione fra terrorismo eversivo di destra, massoneria e servizi segreti deviati. I processi arrivati in Cassazione sugli esecutori materiali hanno condannato finora i terroristi di destra, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Ma quella sui mandanti è una storia che deve ancora essere scritta e può rivelare i punti più oscuri.
Domani ha riassunto a fine luglio in due puntate i nuovi elementi emersi dall’inchiesta sui mandanti. A cominciare da quella banconota strappata ritrovata a Cavallini, che potrebbe essere stata il suo lasciapassare per accedere all’arsenale dell’organizzazione militare filo-atlantista Gladio. La vicenda vede inoltre coinvolto Licio Gelli, ex capo dalla loggia massonica P2, morto nel 2017 e considerato, dai magistrati di Bologna, il vero mandante della strage che rientra nella più articolata stagione delle bombe conosciuta con il nome di strategia della tensione.
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