L’attentato di cosa nostra a Firenze ha ucciso cinque persone il 27 maggio 1993. Il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho ha chiesto la declassificazione dei documenti sull’attentato, mentre la ricerca dei concorrenti esterni a cosa nostra continua con le ultime indagini
All’1:04 del 27 maggio del 1993 Firenze venne scossa dal boato dell’esplosione di un’autobomba piazzata in via dei Georgofili. Morirono cinque persone e furono più di quaranta i feriti. Le immagini delle poche telecamere presenti mostrano i soccorsi dei vigili del fuoco giunti sul posto per cercare di tirare fuori dalle macerie i superstiti di quell’attentato di mafia.
In occasione del 28esimo anniversario di quell’evento che ha caratterizzato il periodo stragista, le associazioni dei famigliari delle vittime, il sindaco di Firenze Dario Nardella, il presidente della regione Eugenio GIani e il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, accompagnato da altri esponenti della magistratura, hanno sfilato all’1:04 di notte in segno di commemorazione.
Durante l’evento De Raho ha anche rimarcato la necessità di desecretare i documenti sulla strage: «I presidenti delle Camere hanno concordemente affermato di aver rimosso il segreto sul terrorismo e le stragi per gli atti delle commissioni di inchiesta, quindi la declassificazione di tutti i documenti sui quali era stato apposto il segreto funzionale. Questo costituisce un passo in avanti sicuramente straordinario, ma qual è l'ulteriore passo da fare? Probabilmente per superare l'opacità che ancora ricorre è necessario rimuovere il segreto nei documenti dei servizi di sicurezza laddove riguardino le stragi».
Il corteo è partito da Palazzo Vecchio accompagnato dalle fanfare e ha raggiunto il luogo dell’esplosione dove è stata depositata una corona di alloro e sono stati osservati tre minuti di silenzio. «Non possiamo dimenticare i morti innocenti – si legge in un biglietto attaccato a uno degli alberi piantati nel luogo in ricordo delle vittime – la barbarie infame della bomba, il dolore di quanti operano e credono nella giustizia».
I processi
I 277 chili di esplosivo piazzati nell’auto distrussero la Torre dei Pulci e provocarono la morte della famiglia Nencioni e dello studente di architettura Dario Capolicchio. I tre processi giudiziari portarono a tre sentenze definitive che impartirono diciotto ergastoli. Come esecutori materiali delle stragi vennero condannati Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Giorgio Pizzo, Gioacchino Calabrò, Vincenzo Ferro, Pietro Carra e Antonino Mangano.
In seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia di cosa nostra, Gaspare Spatuzza, è stato condannato all’ergastolo Francesco Tagliavia considerato non soltanto uno degli organizzatori dell’attentato ma anche tra i finanziatori. Nel 2013 Cosimo D’Amato è stato processato con rito abbreviato e condannato all’ergastolo per aver fornito l’esplosivo.
Se la verità storica è emersa dalle indagini degli inquirenti manca ancora da capire quali siano stati i concorrenti esterni a cosa nostra. Il procuratore aggiunto di Firenze Luca Guido Tescaroli, nel suo intervento al convegno in Santa Apollonia organizzato in occasione dell’anniversario della strage ha detto: «Stiamo lavorando – dice – per verificare se siano dimostrabili, su un piano processuale, convergenze e interessi sulle stragi di personaggi estranei al sodalizio mafioso, perché ci sono elementi che contengono in sé ambiguità e necessitano di spiegazioni: interrogativi su cui cercare una risposta».
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