- «Se ero corrotto? Non venivo in Italia a chiedere alla guardia di Finanza di raddoppiare i sorvoli per monitorare il territorio. Ho chiesto a tutti i paesi europei di aiutarci per combattere i traffici di droga», dice l'ex ministro dell'Interno albanese Saimir Tahiri pochi giorni prima del suo arresto.
- Parla in esclusiva nell’inchiesta 'I Narcos Albanesi' che andrà in onda sabato 24 settembre su Nove, alle 21:25, con il racconto di Nello Trocchia.
- «A me hanno messo le bombe e non è successo mai in Albania un fatto del genere, la marijuana non è una storia di criminali, ma di povertà», dice Tahiri nel documentario, firmato da Carmen Vogani, Lorenzo Giroffi (che cura la regia) e Marco Carta.
«Se ero corrotto? Non venivo in Italia a chiedere alla guardia di Finanza di raddoppiare i sorvoli per monitorare il territorio. Ho chiesto a tutti i paesi europei di aiutarci per combattere i traffici di droga», dice l'ex ministro dell'Interno albanese Saimir Tahiri, pochi giorni prima del suo arresto. Parla in esclusiva nell’inchiesta “I narcos albanesi” che andrà in onda sabato, 24 settembre, su Nove, alle 21.25, con il racconto di Nello Trocchia.
Tahiri, pochi giorni dopo l’intervista, finisce in carcere perché condannato per abuso d'ufficio a 3 anni e 4 mesi, accusato di legami con un gruppo criminale dedito al traffico di marijuana verso l'Italia.
«A me hanno messo le bombe e non è successo mai in Albania un fatto del genere, la marijuana non è una storia di criminali, ma di povertà», dice Tahiri nel documentario, firmato da Carmen Vogani, Lorenzo Giroffi (che cura la regia) e Marco Carta.
L'ex ministro del governo del premier socialista di Edi Rama, in carica fino al marzo 2017, è stato coinvolto nelle indagini condotte in Italia, e che hanno portato, nell'ottobre dello stesso anno, allo smantellamento di un'organizzazione criminale composta da italiani e albanesi dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e di armi.
Tahiri è sospettato di aver avuto legami con due membri dell'organizzazione, i fratelli Moisi e Florian Habilaj, il primo arrestato in Italia. Gli Habilaj sono parenti dell'ex ministro, il cui nome spuntava parecchie volte nelle intercettazioni effettuate dagli inquirenti italiani.
Nel maggio del 2018, Tahiri si è dimesso dal parlamento, finendo subito dopo agli arresti domiciliari, per essere poi indagato a piede libero. Il suo legale Maksim Haxhia ha definito scandalosa la sentenza annunciando ricorso.
La mafia albanese
L’ex ministro, oggi in carcere, racconta le paghe che i narcotrafficanti garantiscono ai contadini, 5 mila euro all’anno solo per coltivare la marijuana nei campi trasformati in piantagioni, soldi che in Albania rappresentano una cifra enorme. Così i trafficanti sono riusciti ad aumentare la produzione e a diventare nel settore tra i primi esportatori nello scacchiere criminale internazionale.
La mafia albanese ha iniziato negli anni Novanta la sua ascesa inarrestabile con assalti a portavalori, furti in appartamenti, rapine in villa fino a diventare trafficante di essere umani e a gestire il grande affare della prostituzione.
Una delle vittime parla nel documentario e racconta le violenze, gli abusi, l’uccisione dei familiari per aver osato denunciare. Le origini della mala albanese sono come supporto alle organizzazioni criminali italiane che si sono servite della manovalanza albanese per guidare furgoni, per il contrabbando fino agli accordi per il traffico di stupefacenti.
A partire dagli anni novanta la mafia foggiana parla con quella albanese e si serve delle tariffe convenienti offerte per trasportare droga, ma anche per ammazzare rivali. «Se fai un lavoro normale lavorando tanto puoi guadagnare fino a 300 euro al mese, ma facendo il criminale puoi guadagnare la stessa cifra in una minuto. Per questo molti ragazzi sono attratti da questa vita, vita mondana, soldi sempre e potere», racconta un ex narcotrafficante.
I narcotrafficanti albanesi sono armati fino ai denti e spietati con chiunque provi a fermarli, per anni sono stati considerati criminali di serie b, ma attraverso il vincolo dell’appartenenza e della fedeltà sono riusciti a reclutare un esercito di fedelissimi.
Fedelissimi che si occupano della gestione, dello stoccaggio e del controllo dei porti di tutta Europa dove passa l'oro del secolo: la cocaina.
La mafia albanese ha il feudo in Albania, il centro di potere, ma ormai ha portato la guerra per la droga fino in Ecuador. I narcotrafficanti albanesi fanno affari in Europa, detengono quasi il monopolio del traffico di marijuana, hanno scalato la piramide criminale con agguati e seminando il terrore.
Cosa succede in Ecuador? Nell’inchiesta, grazie al contributo di giornalisti locali, viene ricostruita la battaglia per bande che si consuma dall’altra parte del mondo dove il presidente, Guillermo Lasso, ha proclamato lo stato d’emergenza per fermare il caos e la paura che regnano in quel territorio. «Il nostro stato, le strade del nostro paese hanno un solo nemico: il narcotraffico, più del 70 per cento delle morti violente nel nostro paese è collegato al grande affare del traffico di droga», dice Lasso.
Da sempre il sud-America è il paradiso dei trafficanti, gli albanesi si sono buttati nella mischia da oltre un decennio, ma una crisi così non si era mai vista. In Ecuador, nel 2021, ci sono stati circa 1900 omicidi, 328 nei primi tre mesi del 2022.
«Qui sta succedendo di tutto, prima c’erano pericoli come furti, rapine, ma non fino a questo punto. Ci sono agguati, omicidi, ci sono persone che non girano più per strada con i bambini perché impaurite dai proiettili vaganti», dice una cittadina.
Le intercettazioni dei boss
'I narcos albanesi' è il primo dei quattro documentari di 'Mafia connection', una serie, prodotta da Videa Next Station, che Nove trasmetterà ogni sabato sera, un progetto nato da un'idea di Trocchia e Vogani. Saranno trasmesse le intercettazioni esclusive tra boss albanesi e baresi, oltre all’interrogatorio originale del primo pentito, le testimonianze inedite di operatori portuali, familiari di vittime ed narcotrafficanti.
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