É dunque comprensibile l'imbarazzo del governo Meloni e della stessa presidente del consiglio a presenziare alla commemorazione di quest'anno. Per questo Meloni ha scelto di non esserci, al suo posto andrà Matteo Piantedosi, il ministro dell'Interno, che nella città emiliana ha lavorato una vita da prefetto e ha stretto buoni rapporti con la città e con l'associazione dei familiari delle Vittime
«Oggi sono 40 anni dalla terribile strage di Bologna del 2 agosto 1980. 40 anni senza Giustizia. In un giorno così significativo rivolgo un appello al Presidente Conte: desecreti gli atti relativi a quel tragico periodo storico. Lo dobbiamo alla verità e alle famiglie delle vittime». Il due agosto 2020 Giorgia Meloni era soltanto la leader del partito dell'estrema destra che cresceva nei sondaggi giorno dopo giorno. Si esprimeva così sull'attentato alla stazione del capoluogo emiliano, nonostante le condanne definitive dei neofascisti. Solo che quella verità gli eredi del Movimento sociale non l'hanno mai digerita. Da qui la costante ricerca di fantomatiche piste internazionali.
Fratelli d'Italia è il riferimento politico di chi tenta da decenni di riscrivere la storia dei processi sulla strage che ha fatto più morti nella storia d'Italia: 85 vittime, 200 feriti. Gli esecutori materiali, hanno accertato i giudici fino alla Cassazione, sono stati certamente tre: Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini. Su un quarto, Gilberto Cavallini, è in corso il processo d'Appello, dopo che in primo grado ha incassato l'ergastolo. Tutti loro sono stati esponenti dei Nuclei armati rivoluzionari, i Nar, che hanno seminato il terrore anche prima della bomba del 2 agosto, con omicidi, rapine e agguati. Tutti e quattro hanno iniziato la militanza tra il Fronte della Gioventù e il Movimento sociale italiano, per poi abbracciare la lotta armata.
Ai quattro neofascisti difesi dalla destra radicale, oggi al governo, si è aggiunto tra gli esecutori Paolo Bellini, condannato all'ergastoli in primo grado. Bellini è una figura che salda più mondi, la destra eversiva bombarola al terrorismo mafioso degli anni '92-94. Una lunga carriera attraverso la stagione della strategia della tensione. Una mistura di neofascismo, servizi deviati, massoneria, che è emersa anche nei processi ai Nar.
In particolare nel processo Cavallini il ruolo di Gladio (la struttura paramilitare della Nato per difendere l'occidente dal pericolo comunista) è sempre stato sullo sfondo. Le motivazioni della sentenza di primo grado sui mandanti delineano questa saldatura: «Possiamo ritenere fondata l'idea, e la figura di Bellini ne è al contempo conferma ed elemento costitutivo, che all’attuazione della strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel documento Bologna, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in Federico Umberto D’Amato (direttore Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno dal ’71 al ’74, ndr), la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo».
Mambro, Fioravanti e Ciavardini, sono ormai liberi. I primi due già tra il '98 e il '99 erano in semilibertà, tre anni dopo il verdetto della Cassazione che li aveva condannati all'ergastolo per l'eccidio di Bologna.
Meloni manda Piantedosi
La comune militanza degli stragisti di Bologna nell'Msi con molti dei dirigenti di Fratelli d'Italia è all'origine della negazione della matrice neofascista della strage di Bologna. «Nessuno di noi era a Bologna», è uno degli slogan più abusati fino all'anno scorso dai movimenti giovanili collegati al partito di Meloni. «Nessuno di noi». In quel «Noi» c'è l'ammissione di una appartenenza comune con Mambro, Fioravanti, Ciavardini e Cavallini. Figli del neofascismo, nelle sue diverse declinazioni. Di certo uniti nell'esperienza del Msi e del Fronte della gioventù. Tra i più convinti sostenitori dell'innocenza dei neofascisti ci sono due pezzi grossi di Fratelli d'Italia: Federico Mollicone e Paola Frassinetti, il primo deputato e presidente della commissione Cultura, la seconda sottosegretaria all'Istruzione.
É dunque comprensibile l'imbarazzo del governo Meloni e della stessa presidente del consiglio a presenziare alla commemorazione di quest'anno. Per questo Meloni ha scelto di non esserci, al suo posto andrà Matteo Piantedosi, il ministro dell'Interno, che nella città emiliana ha lavorato una vita da prefetto e ha stretto buoni rapporti con la città e con l'associazione dei familiari delle Vittime. A Piantedosi non irrita la scritta sulla lapide della stazione in cui è scritta la matrice della bomba del 2 agosto: «Vittime del terrorismo fascista». Per Meloni ei suoi “fratelli” avrebbe significato rinnegare la loro storia e la teoria, smentita ormai da processi e sentenze, secondo cui esiste una pista palestinese alla base della strage di Bologna.
Manovre sotterranee
Quest'anno la direttiva di Meloni è chiara: nessuna polemica sulla strage. Vietato perciò dichiarazioni pubbliche, soprattutto di ministri e alti dirigenti, del tipo «noi di Fratelli d'Italia proponiamo una commissione d'inchiesta affinché emerga tutta la verità» (Daniela Santanchè, agosto 2019).
Silenzio apparente, perché in realtà la strategia di riscrivere la storia prosegue sotto traccia, con convegni e nomine. Come per esempio quella nel Comitato consultivo sulla desecretazione degli atti sulle stragi, inclusa quella di Bologna. Il governo Meloni ha inserito, tra le varie realtà, anche L'associazione per la verità sul disastro aereo di Ustica. La presidente onoraria è Giuliana De Faveri Tron Cavazza e il delegato è il professore della Luiss, Gregory Alegi. Il loro sponsor politico è Carlo Giovanardi, l'ex ministro tra i più convinti negazionisti della matrice fascista della strage di Bologna.
Il fatto è che, fanno notare alcuni membri del comitato, chi sostiene la teoria infondata della pista palestinese su Bologna sposa anche la tesi secondo cui il disastro di Ustica è stato provocato da un ordigno a bordo del Dc9 Itavia e non da un missile.
«La cosa strana è che tutto mira a smontare le verità acquisite con le sentenza sulla strage di Bologna», dice Ilaria Moroni, direttrice dell'archivio Flamigni, il più autorevole centro di documentazione sulle stragi e il terrorismo. «Ho l'impressione che chi porta avanti questo tentativo non abbia mai letto le motivazioni dei giudici che hanno scritto le frasi», conclude. Riuscirà Meloni in veste di presidente del consiglio a ricordare la strage di Bologna per quello che è stata? Una strana nera.
© Riproduzione riservata