È stato aggiornato il Protocollo relativo a misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Sars-CoV-2 nei luoghi di lavoro. Le mascherine non sono più indicate come presidio obbligatorio, ma solo raccomandato in azienda. Tuttavia, sul piano giuridico ciò non si traduce in un “liberi tutti”
- È stato finalmente aggiornato il Protocollo relativo a misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro.
- Il nuovo Protocollo da un lato determina un allentamento nell’uso delle mascherine, non più obbligatorie, ma solo raccomandate; dall’altro lato, dispone una stretta, perché non bastano più le mascherine chirurgiche o quelle riutilizzabili, ma servono le FFP2.
- La determinazione delle misure di contenimento del rischio di infezione è rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro. Ed è probabile che continui a prescrivere le mascherine.
Il 30 giugno scorso, è stato finalmente aggiornato il Protocollo relativo a misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Sars-CoV-2 negli ambienti di lavoro, sottoscritto dal governo e dalle parti sociali il 24 aprile 2020 e rivisto il 6 aprile 2021. La nuova versione opera semplificazioni rispetto alla versione precedente e, soprattutto, elimina una serie di previsioni, anche perché non più attuali. Le avevamo richiamate su queste pagine qualche mese fa.
Cambia l’impostazione del Protocollo: la parte prescrittiva, con obblighi precisi e puntuali da rispettare in diversi ambiti e situazioni aziendali, diviene più scarna e limitata, e intervengono mere raccomandazioni. Molte scelte inerenti al contrasto al Covid-19, quindi, sono rimesse alla discrezionalità del datore di lavoro. Tra queste, l’indicazione relativa alle mascherine.
Le mascherine
Com’è noto, un’ordinanza del ministro della Salute del 28 aprile 2022 aveva reso le mascherine non più obbligatorie – salvo in alcuni luoghi, come strutture sanitarie e mezzi di trasporto pubblico – ma solo raccomandate.
Il 29 aprile, il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, con una circolare aveva fornito «indicazioni di carattere generale per una corretta e omogenea applicazione dell’ordinanza del ministro Speranza». Da quella data, nei luoghi di lavoro pubblici l’uso delle mascherine del tipo Ffp2 è stato solo raccomandato, «in particolare, per il personale a contatto con il pubblico sprovvisto di idonee barriere protettive, per chi è in fila a mensa o in altri spazi comuni, per chi condivide la stanza con personale “fragile”, negli ascensori e nei casi in cui gli spazi non possano escludere affollamenti».
Per il settore privato, invece, era rimasto operante il Protocollo governo-parti sociali, che l’imprenditore era tenuto a rispettare e far rispettare per godere dell’esonero da responsabilità in caso di contagi in azienda. Tra le altre cose, il Protocollo prescriveva l’obbligo di mascherine.
La versione aggiornata del Protocollo non prevede più tale obbligo, limitandosi a raccomandare l’uso delle mascherine del tipo Ffp2, «ai fini della prevenzione del contagio nei contesti di lavoro in ambienti chiusi e condivisi da più lavoratori o aperti al pubblico o dove comunque non sia possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative», e fatte salve situazioni in cui siano presenti lavoratori fragili. Dunque, il Protocollo da un lato determina un allentamento nell’uso di tali dispositivi, non più obbligatori, ma solo raccomandati; dall’altro, dispone una stretta, perché non bastano più le mascherine chirurgiche o quelle riutilizzabili, ma servono le Ffp2.
Detto ciò, a una prima lettura potrebbe sembrare che il venire meno dell’obbligo dei dispositivi di protezione in azienda sia una sorta di “liberi tutti”. La conclusione non è corretta. L’obbligo di mascherina potrebbe infatti rimanere comunque vigente su indicazione prescrittiva del datore di lavoro.
Infortunio sul lavoro
L’infezione da Covid-19 resta qualificata dalla legge come infortunio. Per evitare infortuni l’imprenditore è obbligato ad adottare le «misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica», sono necessarie a tutelare l’integrità dei dipendenti, come previsto dall’articolo 2087 del codice civile.
Le mascherine Ffp2 – raccomandate nel nuovo Protocollo come «presidio importante per la tutela della salute dei lavoratori» – rientrano senz’altro tra le misure fondate sull’esperienza e sulla tecnica di cui parla il codice civile. Quindi il datore di lavoro è tenuto a prescriverle nelle situazioni indicate dal nuovo Protocollo, se vuole dimostrare di aver assolto a quanto necessario a tutelare i lavoratori in caso di contagi-infortuni in azienda, e non esserne considerato responsabile. E siccome il datore stesso è responsabile anche della vigilanza sulle condotte dei lavoratori, dovrà fare quanto necessario per garantire che questi ultimi rispettino le indicazioni fornite.
In conclusione, nel sistema precedente all’aggiornamento del Protocollo il datore di lavoro doveva limitarsi a seguire le indicazioni del Protocollo stesso per essere esente da responsabilità in caso di contagi. Nel sistema attuale è invece rimessa alla sua discrezionalità, con la collaborazione del medico competente e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, l’identificazione e l’attuazione delle misure di contenimento del rischio di infezione, per non incorrere nelle relative conseguenze. Le sue prescrizioni potranno comunque essere modulate a seconda delle situazioni più a rischio, come individuate a grandi linee dal Protocollo.
Profili critici
A parte la raccomandazione delle mascherine e l’eliminazione di una serie di indicazioni puntuali va segnalato che il Protocollo aggiunge due paragrafi relativi al «lavoro agile» e ai «lavoratori fragili», nei quali però non ci sono particolari istruzioni, ma richieste al legislatore di prorogare le relative norme. Appare singolare che in un vademecum operativo, come il Protocollo, siano presenti istanze rivolte al legislatore, che peraltro era al tavolo di lavoro per l’aggiornamento del Protocollo stesso.
Vanno poi evidenziate alcune incongruenze. Per la riammissione in azienda del lavoratore dopo l’infezione da virus, il Protocollo rimanda a un decreto legge e a una circolare del ministero della Salute del marzo scorso, che a propria volta rimanda a un’altra circolare del dicembre 2021.
A parte la confusione indotta dai diversi rimandi, usuale vizio della regolamentazione nazionale, c’è un motivo di confusione ulteriore. Non è richiamata, infatti, una circolare del ministero della Salute dell’aprile 2021 secondo la quale il rientro del lavoratore colpito da Covid-19 può avvenire solo previo invio del certificato di negativizzazione «al datore di lavoro per il tramite del medico competente».
La circolare è ancora vigente, ma l’invio del certificato non è previsto dal Protocollo. Se ne può desumere che adesso l’onere di verificare l’esito del tampone negativo, per la riammissione al lavoro, spetti esclusivamente ai medici di medicina generale, restandone esclusi l’imprenditore e il medico competente.
Ancora, nel nuovo Protocollo è previsto l’obbligo di adottare nel luogo di lavoro «tutte le precauzioni igieniche, in particolare per le mani». Ma tale obbligo scade in una mera raccomandazione – «è raccomandata la frequente pulizia delle mani» – solo qualche riga dopo.
Viene raccomandato pure «il costante ricambio dell’aria, anche attraverso sistemi di ventilazione meccanica controllata». Sono passati più di due anni e mezzo dall’inizio della pandemia, ma alcune indicazioni, come le finestre aperte, resteranno un evergreen, in qualunque stagione dell’anno.
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