Con la nomina di suor Simona Brambilla a capo del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, il pontefice nomina la prima donna prefetto. Ma le donne cattoliche premono piuttosto perché si apra al sacerdozio e diaconato femminile
«Se non sappiamo capire cos’è la teologia di una donna, mai capiremo cos’è la chiesa». Per capire la nomina di suor Simona Brambilla a capo del dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, prima donna a ricoprire la posizione di prefetto, occorre ritornare alle parole che papa Francesco pronunciò oltre un anno fa davanti ai membri della Commissione teologica internazionale. Allora, col suo pragmatismo, il pontefice aveva contato le donne presenti in udienza denunciandone la scarsa presenza.
Non è che da allora le cose siano cambiate di molto. Lo scorso ottobre, durante la seconda sessione del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità, è diventato un caso la vicenda del gruppo di studio incaricato di condurre una discussione sull’accesso delle donne al ministero del diaconato, poi virato poi su argomenti più generici. Quello del sacerdozio e diaconato femminile è un tema che papa Francesco non ha intenzione di sfiorare. Roba da «adesione machista», aveva affermato lui stesso parlando a una pasionaria femminista argentina nel documentario Faccia a faccia con Papa Francesco in streaming su Disney+.
Quote rosa in Vaticano
Ma un punto di partenza con la nomine di suor Simona Brambilla occorre tracciarlo, e sarebbe ingeneroso parlare di pinkwashing. È, infatti, innegabile che la nomina della religiosa delle Missionarie della Consolata, già inclusa nel 2019 fra le sei superiore generali facenti parte della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, rappresenti un primato.
Come lo era stato anzitempo quello di suor Alessandra Smerilli, la prima religiosa a toccare i vertici della Curia romana con la nomina a segretario del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano e integrale. O della suora francescana Raffaella Petrini, nominata nel 2021 segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.
Operazioni che portano la firma di papa Francesco (che ieri ha anche nominato il cardinale liberal Robert McElroy come nuovo arcivescovo di Washington). Il pontefice a più riprese ha dichiarato l’intenzione di «smaschilizzare la chiesa», redimerla cioè dal peccato della maschilizzazione. Per il papa, negare la presenza femminile significa sconfessare la vocazione stessa della chiesa cattolica. O, per meglio dire, tradire la missione teorizzata nero su bianco dal teologo Hans Urs von Batlhasar, il sacerdote svizzero che rivendicava nella chiesa i due principi dell’autorità di Pietro e della maternità di Maria: le donne, alla stregua di vestali, avrebbero il compito di custodire il fuoco della contemplazione e maternità, sia essa biologica o spirituale.
Donna come missione
Ma una donna ai vertici non cancella la punta dell’iceberg. Con la sua lettera sulla dignità della donna, la Mulieris dignitatem, papa Giovanni Paolo II aveva costruito una chiesa mariana nella forma. Francesco oggi realizza questo sdoganamento culturale nei fatti, niente di più, niente di meno.
Oltre la questione di genere, però, la nomina di suor Brambilla rientra appieno nel ruolo centrale che la Santa sede ha assegnato al Dicastero per l’evangelizzazione nei termini dell’ultima riforma della Curia delineata dalla costituzione apostolica Praedicate evangelium, promulgata il 19 marzo 2022. In essa c’è l’impronta missionaria della chiesa targata da papa Francesco fin dagli inizi col suo primo documento, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium.
Nel documento, infatti, sono presenti in nuce quelle caratteristiche che delineano una chiesa che, sebbene non metta mai in discussione l’esclusività maschile del sacerdozio, ciononostante riconosce: «Qui si presenta una grande sfida per i pastori e per i teologi, che potrebbero aiutare a meglio riconoscere ciò che questo implica rispetto al possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della chiesa».
In questo senso, la religiosa lombarda, con la sua esperienza in Mozambico tra il popolo Makhuwa-Shirima dal 2000 al 2002, incarna appieno quella vocazione missionaria della chiesa centrifuga, delle periferie esistenziali e dei nuovi paradigmi, cara al papa argentino: «La spiritualità Makua mi ha aiutato ad aprirmi a una dimensione più comprensiva, più larga e più profonda di Dio anche nei suoi aspetti materni. Il popolo Makua ha un’esperienza di Dio al femminile e al materno. Per loro, Dio è donna, Dio è madre e compagna, colei che genera la vita. Io provengo da una cultura patriarcale» aveva dichiarato suor Brambilla a margine dell’incontro sul mese missionario del 2019. Una chiesa missionaria aperta sempre, mai per un’aprioristica presa di posizione.
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