- L'annuncio di fondazione della Superlega europea del calcio arriva in pieno sprint dei campionati nazionali e delle coppe europee, abbattendosi su un edificio del calcio internazionale già gravemente minato dagli effetti della pandemia e su equilibri politici ormai usurati.
- Uno schiaffo all'Uefa i cui tempi registrano una coincidenza sospetta. Il comunicato giunge a ridosso di due appuntamenti Uefa: la riunione di Comitato Esecutivo che ha in agenda la ripartizione delle risorse della Champions per il ciclo 2021-24 e il format post-2024; e il 45° congresso.
- In queste ore è tutto uno sfoggio di muscoli. Con l'Uefa, le federazioni e le leghe nazionali che minacciano di cacciare i club e i calciatori partecipanti alla Superlega. Ma parlare di accelerazione suona un po' stridente. Perché il progetto è in ponte da fine anni Novanta e di volta in volta è stato utilizzato come arma di pressione-ricatto sull'Uefa.
Un'accelerazione esagerata. L'annuncio di fondazione della Superlega europea del calcio arriva in pieno sprint dei campionati nazionali e delle coppe europee, abbattendosi su un edificio del calcio internazionale già gravemente minato dagli effetti della pandemia e su equilibri politici ormai usurati. I 12 soci fondatori (Arsenal, Atletico Madrid, Barcellona, Chelsea, Inter, Juventus, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Milan, Real Madrid, Tottenham Hotspur) cui se ne dovrebbero aggiungere altri tre, hanno deciso di bruciare le tappe. Prefigurando la realizzazione del campionato europeo d'élite per club, con permanenza pressoché vitalizia ai soci fondatori (che si attribuirebbero così la fetta più rilevante della grande torta, fra sponsor, marketing e diritti televisivi) e un limitato ricambio dei ranghi stagionali.
Uno schiaffo all'Uefa, che da una lettura meno emotiva dei fatti pare essere anche il vero bersaglio della manovra. Ancora una volta, i tempi registrano una coincidenza quantomeno sospetta. Esternato all'unisono dai club interessati nella giornata di domenica 18 aprile, il comunicato giunge a ridosso di due appuntamenti Uefa fissati a Montreaux, Svizzera: la riunione di Comitato Esecutivo fissata per lunedì 19 aprile che ha in agenda, fra gli altri punti, la ripartizione delle risorse della Champions League per il ciclo 2021-24 e il format post-2024; e il 45° congresso della stessa Uefa fissato per martedì 20 aprile.
L'annuncio dei due eventi pubblicato nei giorni scorsi dal sito Uefa precisava che a margine del Congresso non sarà prevista una conferenza stampa. Ma chissà se adesso l'indicazione rimane valida.
La lunga incubazione
In realtà anche il parlare di accelerazione suona un po' stridente. Perché il progetto-spauracchio della Superlega è in ponte da fine anni Novanta e di volta in volta è stato utilizzato come arma di pressione-ricatto sull'Uefa. I passaggi più recenti ve li abbiamo raccontati dalle colonne di Domani dapprima il 30 dicembre quando il presidente del Real Madrid, Florentino Pérez, durante l'assemblea annuale dei soci ha prefigurato cambiamenti non più differibili nella struttura del calcio europeo in conseguenza dei danni da pandemia. Quindi, il 21 gennaio, vi abbiamo riferito del fuoco di sbarramento azionato dalla Fifa, con la pubblicazione di un comunicato congiunto che ha chiamato a raccolta i presidenti delle confederazioni continentali.
Ma si tratta degli ultimi passaggi, appunto. Perché se si guarda alla prospettiva storica si scopre che la Superlega è un progetto carsico che riemerge e si inabissa a più riprese. Viene prefigurato per la prima volta nel 1999 e a farsene promotore è un soggetto denominato Media Partners. Al suo interno troviamo diversi nomi provenienti dalla galassia Fininvest, che in seguito si dispiegheranno in punti strategici della mappa del potere economico-finanziario e televisivo del calcio: Marco Bogarelli (deceduto nelle scorse settimane), Andrea Locatelli, Andrea Abodi, Riccardo Silva.
È proprio Media Partners a stilare il Progetto Gandalf, che mira a costituire il super-campionato europeo per club. Viene scatenata un'offensiva a tutto campo, con coinvolgimento della Commissione Europea e l'intenzione di sfidare l'Uefa per abuso di posizione dominante in materia di organizzazione dei tornei internazionali in ambito europeo. L'effetto è immediato, come una vittoria per goleada. Succede infatti che in quella fase l'Uefa sia politicamente fragilissima, a causa della disfatta nella gestione del dossier che avrebbe portato alla Sentenza Bosman. Un'altra rovinosa sconfitta in ambito di istituzioni comunitarie sarebbe la morte per la confederazione del calcio continentale.
Sicché la risposta equivale a una resa incondizionata: viene cambiato di gran corsa il format della Champions League, con possibilità che le federazioni col miglior ranking possano inviare in Champions fino a 4 squadre (due con qualificazione diretta, due al preliminare estivo) alla fase a gironi. E la cosa più grottesca è che il format viene reso immediatamente operativo, senza almeno una stagione agonistica di preavviso. Nel caso della Serie A italiana, si comincia la stagione sapendo che i posti disponibili per la Champions League 1999-2000 sono due (uno con qualificazione diretta, uno con preliminare estivo) e invece in pieno girone di ritorno si scopre che quei posti raddoppiano. Una disfatta.
L'ex G-14
Formalmente il ridisegno della Champions League offre un beneficio alle federazioni nazionali, ma nella realtà essa va tutta a favore dei club d'élite. Che in quegli anni formano una lobby, da cui sorge nel settembre del 2000 un soggetto denominato G-14. Esso è costituito dai 14 club auto-nominati più importanti e prestigiosi d'Europa. Se si passa in rassegna la lista dei soci fondatori si scopre che i nomi ricorrono.
Troviamo infatti tre club italiani che rispondono ai nomi di Inter, Juventus e Milan, due club spagnoli (Barcellona e Real Madrid), due club tedeschi (Bayern Monaco e Borussia Dortmund), due club inglesi (Liverpool e Manchester United), due club francesi (Paris Saint Germain e Marsiglia), due club olandesi (Ajax e PSV Eindhoven) e un club portoghese (Porto). A partire dal 2002 i ranghi del G-14 vengono allargati ad altri 4 club: Arsenal (Inghilterra), Bayer Leverkusen (Germania), Lione (Francia) e Valencia (Spagna).
Dunque troviamo in quella lobby quasi tutti i nomi già organici alla Superlega o dati in predicato di entrarvi. Con i più tre club inglesi: i due parvenu, ascesi al potere grazie alla straordinaria capacità di spesa garantita da proprietari stranieri (il Chelsea di Roman Abramovich e il Manchester City controllato dalla dinastia regnante degli Emirati Arabi Uniti), e il Tottenham protagonista degli anni più recenti. Per tutti gli anni in cui è stato in vita, il G-14 ha usato la minaccia della Superlega come strumento per ottenere dall'Uefa condizioni sempre più favorevoli ai suoi club.
Si è sciolto nel 2008, quando l'Uefa ha dato vita all'European Club Association (ECA). Che formalmente sarebbe un forum dei club europei ma nei fatti è stato una lobby acquartierata nella struttura Uefa e operante per fini d'interesse prevalente dei soci ex G-14. Non per caso i due presidenti che fin qui si sono avvicendati a capo dell'associazione sono stati Karl-Heinz Rummenigge, espresso dal Bayern Monaco, e fino a ieri Andrea Agnelli, presidente della Juventus. Altrettanto indicativo che in queste ore frenetiche si registrino le dichiarazioni di non adesione alla Superlega da parte di club che hanno fatto parte del G-14 come il Borussia Dortmund e il Porto. I cui dirigenti dichiarano di essere stati contattati per farne parte.
La Super Debt League
In queste ore è tutto uno sfoggio di muscoli. Con l'Uefa, le federazioni e le leghe nazionali fin qui coinvolte che minacciano di cacciare i club e i calciatori partecipanti alla Superlega. Molto più democristiana la reazione della Fifa. Che a gennaio brandiva le sanzioni e invece nel comunicato ufficiale pubblicato nella mattinata del 19 aprile invita le parti al dialogo. Del resto, il suo presidente Gianni Infantino è impegnato da mesi a promuovere una superlega per club in Africa.
Come potrebbe mai avversare quella europea senza cadere nell'incoerenza? Se la sbrighino gli interessati, impegnati a promettere reciprocamente azioni legali. Coi club fondatori che sono convinti di poter trattare da posizione di forza. «Abbiamo una fanbase che supera un miliardo di persone», ha dichiarato il presidente juventino Andrea Agnelli dopo l'annuncio del progetto. Numeri tutti da verificare. Certo meno solidi rispetto a quelli della “debt base”, il debito su cui i grandi europei siedono e imperano.
A febbraio si è incaricato di misurarlo Swiss Ramble, informatissimo account Twitter. I dati relativi alla stagione 2019-20 sui club più indebitati d'Europa vedono i primi sette posti occupati da soci fondatori della Super League, con due fra questi che sfondano la soglia del miliardo di sterline: Tottenham (1,177 miliardi) e Barcellona (1,030 miliardi). Seguono Atlético Madrid, Manchester United, Inter, Juventus e Real Madrid, col Milan che si colloca all'undicesimo posto. Un'élite che ammazza la concorrenza grazie a un debito ormai talmente grande da badare a se stesso.
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