«È una vita che faccio ‘sto lavoro e sono onesto. A volte porto la vecchietta che aspetta l’autobus o la famiglia che da Fiumicino deve andare in ospedale. Sempre gratis, però nessuno ne parla. Siamo i responsabili di tutti i mali del mondo». Mario ha quasi 70 anni ed è in pensione da tempo, ma dall’auto bianca non vuole scendere. Iscritto all’Usb Taxi, la mattina di martedì 10 ottobre era a Porta Pia, di fronte al ministero dei Trasporti, per il presidio organizzato da Unione sindacale di base, Orsa e Fast Confsal.

Una manifestazione poco riuscita – qualche centinaio di persone in tutto – in una giornata di disagi per i cittadini dopo lo sciopero del trasporto pubblico di lunedì. Ieri si sono fermati per 24 ore i tassisti di tre sigle sindacali per manifestare contro il decreto Asset, approvato in via definitiva la scorsa settimana, che introduce la possibilità per i sindaci di comuni «capoluogo di regione, sede di città metropolitana o di aeroporto» di aumentare le licenze fino al 20 per cento di quelle già rilasciate. Il tutto attraverso un concorso straordinario e procedure più snelle.

Carissima licenza

«Il governo subisce una campagna stampa disgustosa e con l’avvicinarsi delle elezioni europee ci getta in pasto all’opinione pubblica», attacca Vincenzo Cristofanelli, segretario regionale di Fast Confsal Taxi. «Le multinazionali come Uber chiedono altri tassisti da spremere, grazie anche ai collaborazionisti interni». Il riferimento è alle sigle che si sono sfilate dallo sciopero e ai colleghi non ostili a una liberalizzazione: autisti come Roberto RedSox Mantovani, il tassista bolognese protagonista di una battaglia sugli incassi trasparenti e per questo minacciato.

Le sigle del settore sono da sempre contrarie all’aumento dei permessi perché ne temono la svalutazione: la presenza di nuove licenze abbasserebbe il valore di quelle già in uso nel momento in cui il titolare volesse rivenderla. E sono somme non proprio irrisorie: nelle grandi città c’è un mercato legato ai permessi, che vengono ceduti per cifre che sfiorano i 200mila euro. Ma la carenza di auto bianche è un dato di fatto, con code infinite fuori dalle stazioni, a Termini come in Centrale a Milano. Ed è ancora più evidente con la ripresa dei flussi turistici dopo la pandemia di Covid.

L’argomento non ha grande presa sui tassisti in piazza. «Un decreto legge pericoloso e una situazione lavorativa che peggiora ogni giorno ci impongono una presa di posizione. Favori non ne vogliamo, è ora di dire basta», insiste Mauro, 48 anni, uno dei pochi iscritti Orsa al sit-in di ieri. Alla parola “concorrenza” gli animi si scaldano e gli slogan hanno la meglio. I giornalisti non sono più i benvenuti: «File chilometriche in attesa dei taxi? Ma che cazzo stai a di’! Siete prevenuti, provocatori, e l’Agenzia delle entrate ci tartassa…».

Un ostacolo politico

«Mi auguro che i tassisti tornino a ragionare come quando diedero, di fatto, il via libera al decreto», ha detto il ministro delle Imprese Adolfo Urso. «Quando ad agosto licenziammo il dl Asset non ci furono proteste: è curioso che arrivino dopo la conversione in legge da parte del parlamento». Un paradosso che si spiega anche con la mossa del ministro dei Trasporti Salvini, che il 29 settembre aveva precettato i lavoratori, spingendo l’Usb a rinviare lo sciopero.

Ma è vero che la protesta è stata un fallimento, dato che la maggior parte dei sindacati (21 su 24) ha scelto di non aderire; e le tre sigle che hanno incrociato le braccia non contavano su folle oceaniche. Il tentativo di coinvolgere altri sindacati si è scontrato con un ostacolo politico. I tassisti sono storicamente di destra, soprattutto nella capitale, e rappresentano un bacino di voti per Fratelli d’Italia e Lega, con i capi di alcune cooperative che sono stati candidati con FdI. E così molte sigle evitano di fare le barricate contro la legge di Meloni, anche se non la apprezzano.

Le misure del decreto Asset hanno aperto anche una disputa tra gli amministratori delle grandi città e il governo. In particolare tra il Campidoglio e il ministero guidato da Matteo Salvini, con contestazioni reciproche sull’applicazione delle nuove regole. Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha criticato lo «scaricabarile sui comuni» dell’aumento delle licenze.

Il primo cittadino della capitale ha avviato la procedura per la messa a bando di 1.500 nuove licenze, ma dice no al meccanismo per cui i proventi ottenuti dai nuovi rilasci andranno a “compensare” i tassisti storici: «Il 20 per cento del ricavato deve restare nelle casse del comune. Sono vari milioni di euro che serviranno per costruire nuove piazzole, zone di sosta, corsie preferenziali. Lavori di cui c’è grande bisogno e che i tassisti sono i primi a chiedere».

© Riproduzione riservata