Mentre le scuole spesso cadono letteralmente a pezzi e avrebbero bisogno di ristrutturazioni complessiva, si inondano le aule di dispositivi a obsolescenza rapida. L’autonomia scolastica garantisce agli istituti di fare accordi con i privati con un marketing aggressivi che offrono pacchetti già pronti per la tecnologia didattica a scuola.
Negli ambienti scolastici, scossi nei gli ultimi per le ripetute bocciature dei progetti legati ai fondi del Pnrr, si ricorda ancora con sdegno la storia dei “banchi a rotelle”, che nel 2022 spinse il partito Fratelli d’Italia, attualmente al governo, a scrivere nelle proprie pagine social: «Impossibile dimenticare. Milioni di euro buttati. Basta incompetenza».
Ora, usciti dalla porta dell’immaginario collettivo, i “banchi a rotelle” stanno rientrando dalla finestra degli edifici scolastici, perché sono diventati uno degli elementi di arredo fondamentali per realizzare, con i fondi del Pnrr, gli «ambienti di apprendimento ibridi, che possano fondere le potenzialità educative e didattiche degli spazi fisici concepiti in modo innovativo e degli ambienti digitali», per cui sono stati stanziati oltre due miliardi di euro.
Cosa hanno di così speciale queste postazioni? Secondo i loro fan, avrebbero il potere di cambiare il “setting” della didattica, che nel gergo scolastico indica la disposizione dei banchi e degli altri arredi all’interno dell’aula. In che modo? Questo tipo di sedute permette ai ragazzi di spostarsi nell’aula e di riunirsi in gruppi, in cerchio.
In realtà, questa metodologia, che risponde alla secolare didattica cooperativa e laboratoriale, è applicabile anche con i classici banchi monoposto, che possono essere sistemati liberamente dai docenti. Chi non ha mai provato la disposizione a isole o a ferro di cavallo, quando era studente? A essere presi di mira, in effetti, dalle scuole “innovative”, non sono i banchi in sé, ma i docenti e il loro attaccamento alla lezione frontale, dipinta come una sorta di conferenza dai nuovisti, i quali spingono perché gli studenti e le studentesse non stiano sedute per troppo tempo, anzi si spostino da un’aula all’altra in base non più alla propria aula ma alla materia che devono seguire.
Piano scuola 4.0
Il superamento dell’aula tradizionale, infatti, è uno degli obiettivi principali del Piano scuola 4.0, che, con i finanziamenti europei del Pnrr, mira ad arredare centomila classi italiane con sedute flessibili e attrezzature tecnologiche, in modo da trasformarle nelle classi della futura generazione, anzi nelle “next generation classrooms”, per usare uno dei numerosi anglismi che hanno provocato la reazione perplessa dell’Accademia della Crusca.
Per arredare le aule saranno acquistate, quindi, attrezzature da aziende private che in alcuni casi, come quello emblematico della società C2Group, sponsorizzano da anni corsi di aggiornamento, tenuti da dirigenti e docenti della scuola pubblica statale, e manifestazioni, patrocinate dal ministero dell’Istruzione, per convincere le scuole ad adottare i prodotti da loro stesse commercializzati.
Investimenti in pubblicità
Dalla riforma Berlinguer che ha istituto l’autonomia scolastica al cambio di paradigma del 2013, le scuole hanno iniziato a investire decine di migliaia di euro in pubblicità (studi grafici, cartellonistica, promozioni a pagamento) per attrarre nuova “utenza”, come è ormai chiamata correntemente la comunità di studenti e famiglie, le quali sono peraltro indotte a partecipare economicamente all’ampliamento dell’offerta formativa (in effetti, anche il sapere, mercificato, è sottoposto ormai alla legge della domanda e dell’offerta), con contributi “volontari”, divenuti però indispensabili, ad esempio per pagare le licenze per l’utilizzo delle piattaforme d’istituto.
In altre parole, senza i contributi “volontari” delle famiglie, che possono superare i 120 euro annui, studenti e docenti non potrebbero usare Google Suite for Education e Microsoft 365, comprendenti sistemi di posta, drive e app incluse.
I soldi trasferiti dallo stato direttamente alle scuole e volontariamente versati dalle famiglie, tuttavia, non bastano, così dal 2013 gli istituti devono concorrere a bandi ministeriali per ricevere i finanziamenti del Programma operativo nazionale (Pon). E il cerchio si chiude. Requisito indispensabile per vincere i bandi Pon è, infatti, acquistare arredamenti per i cosiddetti ambienti innovativi di apprendimento, costringendo peraltro i docenti, che potrebbero avvalersi della loro costituzionale libertà d’insegnamento, ad adottare un tipo di didattica corrispondente a quegli stessi ambienti di apprendimento, indipendentemente dalla loro reale utilità ed efficacia.
Insomma, non sono più le scuole a chiedere gli strumenti di cui hanno bisogno ma sono indotte ad acquistare quelli corrispondenti alle “metodologie innovative” dai produttori di quegli stessi strumenti, attraverso una pressione da marketing.
Scuole chiuse
Quali sono stati i risultati delle classi “ricondizionate” nella Scuol@ 2.0? Del rapporto del ministero dell’Istruzione che certificava il fallimento della sperimentazione non si è discusso abbastanza, così si è potuto insistere con le Cl@ssi 3.0 e ora con il Piano scuola 4.0. I partiti e i sindacati finora non hanno saputo reagire. Nei mesi scorsi ci sono state alcune bocciature di cui si è avuta notizia; i consigli d’Istituto del liceo Albertelli di Roma o il liceo Frattini di Varese hanno aperto una discussione sull’uso di risorse pubbliche per acquistare strumentazioni condannate all’obsolescenza programmata, mentre le risorse economiche servono, e urgentemente, per ripristinare gli otto miliardi tagliati dalla riforma Gelmini del 2008, rivedere i parametri che continuano a creare le classi pollaio, assumere personale e per il nuovo contratto, prevedendo l’aggiornamento retribuito in servizio.
Dopo avere arredato a dovere le aule pollaio, la beffa finale, conseguenza della legge di Bilancio approvata alla fine dello scorso anno, sarà l’accorpamento degli istituti scolastici, per cui molte scuole, dopo essere state riempite di banchi a rotelle e webcam futuristiche, chiuderanno.
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