Erano i primi di settembre, cinque anni fa. Avevamo pensato: figo, questo Hirscher, ha capito tutto della vita. Aveva chiamato i giornalisti nella sua città, la fatata Salisburgo, e raccontò semplicemente di aver chiuso con lo sci. A 30 anni. «Ho sempre desiderato dire addio quando ancora stavo vincendo. Oggi è il giorno in cui finisce la mia carriera». Otto mesi prima, il 29 gennaio, aveva vinto l’ultima delle sue 67 gare di Coppa del Mondo. Otto volte di fila la Coppa del Mondo, sette titoli mondiali, quattro consecutivi, due medaglie d'oro olimpiche. Immortale, eterno, perfetto persino nel timing. Soltanto i più grandi riescono a smettere prima di cominciare impercettibilmente a perdere qualcosa: centesimi di secondo, centimetri, quello scintillio che fa la differenza. Lui no, aveva saputo dire basta quando aveva ancora tutto quanto. Figo, questo Hirscher.

Invece cinque anni dopo Marcel è tornato, e questo ci dice che era molto più mortale di quanto paresse: adesso di anni ne ha 35, ha preso la nazionalità olandese di sua madre Sylvia per non togliere il posto agli ex compagni austriaci, e dice di voler gareggiare almeno fino ai Mondiali di Saalbach 2025. «Meglio essere in pista che sul divano a guardare le gare in tv», ha raccontato convinto. L’adrenalina dà assuefazione, e certo non si può replicare l’emozione delle vittorie tagliando nastri alle inaugurazioni, stringendo mani di assessori e presenziando agli eventi con un flûte in mano. E poi c’è sempre quella vocina che ti dice: hai un fisico bestiale, se ti alleni un paio di settimane li batti ancora tutti. E così Hirscher è tornato a Soelden, in Austria, nel gigante che ha aperto la Coppa del Mondo 2024-2025. «Qualificarmi per la seconda manche è stata una delle emozioni più grandi della mia carriera». Addirittura.

Lo sciatore

L’adrenalina, eccola: appena è entrata in circolo, Hirscher si è sentito di nuovo a casa. E infatti il capolavoro lo ha fatto nella seconda manche, con il terzo tempo che gli ha consentito di recuperare cinque posizioni rispetto alla prima. «Mi sento come se avessi 25 anni», ha detto senza capire che è proprio quello il punto: «come se» è una copia, mica l’originale. E al falso per quanto ben fatto mancherà sempre l’aura della vera opera d’arte. Il gigante di Soelden l’ha vinto il norvegese Alexander Steen Olsen, che di anni ne ha 23: quando Hirscher vinse la sua prima gara di Coppa del Mondo, il 13 dicembre 2009, andava in seconda elementare.

Scegli uno sport da bambino, e quando il tuo fisico ti chiede di lasciarlo è ormai tardi per i rimpianti. Non hai studiato, non sei andato in campeggio, non hai fatto l’interrail, non ti sei ubriacato alle feste, non hai passato un pomeriggio intero al cinema uscendo da uno spettacolo per entrare nell’altro. Però hai vinto, tu e pochissimi altri al mondo.

«Lo devi sapere che niente sarà come diventare campione olimpico. O lo accetti, o sarai per sempre un uomo infelice», ha sentenziato un giorno Jury Chechi. Se non lo accetti, se non ti rassegni al fatto che la tua seconda vita sarà più normale della prima, sei destinato a recitare in eterno la stessa parte, quella dell’ex campione.

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Mario Balotelli

Uno che sembra inchiodato al ruolo, come quegli attori che azzeccano il personaggio e non riescono più ad uscirne, è Mario Balotelli. Il suo nome è ancora sufficiente a creare un’attesa, anche se nessuno di noi saprebbe dire l’ultima volta che Mario non lo ha deluso. Aveva 20 anni quando la mitica rivista Don Balón lo mise al secondo posto (dietro a Pato) nella lista dei migliori giovani calciatori del 2010, valutandolo tra i 22 e i 33 milioni di euro. Ne aveva 22 quando la Fifa lo inserì nella classifica del Pallone d’Oro. Oggi ne ha 34, ha vinto tre scudetti in Italia, un campionato inglese e una Champions League ma siamo ancora qui ad aspettarci che non fallisca nell’attacco del Genoa. Ieri, quando ha visto arrivare i giornalisti, fuori dal poliambulatorio dove è andato a fare le visite mediche, Mario non aveva niente da dire. «Ho pochissima voglia di parlare, però ho voglia di cominciare». Il suo nuovo allenatore, Alberto Gilardino, ha detto (sperato?) che Balo ha il fuoco dentro. Invece lui dev’essersi stancato di fare promesse. «Se ho il fuoco dentro lo vedrete».

Ovviamente dipende dai giorni. Appena due settimane fa, su Twitch, aveva minacciato che se fosse tornato in Serie A l’avrebbe «smontata». Manca dal campionato 2019-2020. Quando Hirscher aveva convocato la stampa per dire che smetteva, Balotelli aveva appena firmato per il Brescia, la squadra della sua città. Non andò bene, nei matrimoni la sola passione non basta. Segnò appena 5 gol e il rapporto si interruppe malamente. «Ero andato lì per amore ma ho sbagliato, affetti e lavoro non vanno messi insieme», ha spiegato Mario. Dopo ci sono stati il Monza, in B, senza neanche la soddisfazione di una promozione in A, i neopromossi dell’Adana Demirspor, in Turchia, gli svizzeri del Sion e il ritorno al mittente ad Adana. Balo ha raccontato di aver dovuto combattere con se stesso in questi anni: da una parte l’idea di continuare a giocare, dall’altra la tentazione di ritirarsi. Cinque anni dopo torna in Serie A, in una squadra terz’ultima in classifica, con un tecnico che appena pochi mesi fa era una rivelazione e adesso è un problema. La gloria passa veloce nel calcio. Ci vuole molta immaginazione a vedersi ogni volta ricominciare da capo, incrociare gli sguardi di nuovi tifosi di là dalla rete, trovare parole da dire che non suonino vuote. Tutto, pur di non dover cominciare la vita vera.

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Francesco Totti

Il più bravo a raccontare il ritorno è stato Omero, ma alla fine anche Itaca era diversa da come Odisseo se la ricordava. E lui era così cambiato che l’unico che lo riconobbe fu il suo cane, Argo: mosse la coda e abbassò le orecchie ma anche lui era talmente vecchio che non riuscì neanche ad andare incontro al suo padrone.

Quando Francesco Totti ha smesso di giocare sembrava già vecchio, avrebbe compiuto 41 anni dopo pochi mesi, aveva voluto la moglie e i tre figli sul campo con lui, mentre leggeva faticosamente la lettera che aveva scritto. Al suo giocattolo preferito, il pallone. Al tempo, «maledetto tempo» lo aveva chiamato: quel tempo che quando sei giovane non vedi l’ora che passi in fretta per sapere quello che succederà, e a un certo punto ti accorgi che invece passa troppo in fretta e vorresti fermarlo. Totti quel giorno raccontò che si sentiva come se qualcuno avesse interrotto bruscamente un sogno. «Avete presente quando siete bambini, state sognando qualcosa di bello e vostra madre vi sveglia per andare a scuola? Mentre voi volete continuare a dormire e provate a riprendere il filo di quella storia e non ci si riesce mai? Stavolta non era un sogno, ma la realtà». Quel giorno, era il 28 maggio 2017, Totti disse con sincerità quello che provava, «non sono pronto a dire basta e forse non lo sarò mai», ammise che «spegnere la luce non è facile», non si vergognò di dire che aveva paura. Da allora molte cose sono cambiate. Dopo il calcio, Francesco ha lasciato Ilary, e adesso è disposto a lasciare anche Roma. Aveva detto che non avrebbe mai giocato in un’altra squadra italiana, invece sì. A 48 anni prova a ritornare indietro, a vedere se rimettendosi a dormire torna quel sogno che si era interrotto di colpo. Non succede mai. Come avevano scritto su quello striscione? Speravo de morì prima. Deve averci creduto.

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