In tantissime città italiane stanno spopolando i locali che fanno conoscere al pubblico italiano gusti diversi da quelli mediterranei, come quelli tedeschi, belgi o scandinavi. Il Kaffee und kuchen è per i tedeschi ciò che il thè è per i britannici. “Non abbiamo dimenticato quello dei nostri nonni e cerchiamo di rifarlo a Milano”, racconta Andreas Mazzola di “Dolce Kerstin”
Brioche al cardamomo, torte al rabarbaro e al vino rosso. Ma anche caffè molto poco italiani, sfogliati alla mandorla e ananas e anche bomboloni germanici ripieni di marmellata ai frutti di bosco. Sono sempre di più in tutte le città italiane le pasticcerie e i locali che offrono dolci decisamente poco mediterranei, dalla colazione fino alla merenda e all’aperitivo.
Dietro ci sono spesso storie familiari, viaggi ed esperienze personali che hanno influenzato ma, a volte, anche la semplice volontà di aprire qualcosa di diverso dal semplice bar, dove si consuma caffè e cornetto, perlopiù in piedi, o da una pasticceria come tante.
«La nostra idea era quella di aprire qualcosa che fosse differente da un comune bar italiano, più simile ai caffè letterari che ci sono in Germania, ma anche in Austria o a Praga. Nel nostro piccolissimo cerchiamo di riprodurre quell’idea lì», racconta Andreas Mazzola, titolare insieme ai fratelli Kristian e Roman di Dolce Kerstin, pasticceria che sforna lievitati e dolci di ispirazione tedesca in zona Niguarda a Milano.
Un’influenza sempre più forte che però mantiene ancora i gusti ben distinti, come racconta Stefano Ferraro, ex pastry chef del celebre Noma di Copenaghen e oggi titolare insieme al socio, il sommelier Lorenzo Cioli, del Loste Cafè, che ha aperto ben due locali sempre nel capoluogo lombardo.
«Credo che il nostro modo di intendere la cucina sia ancora troppo legato alla tradizione, ai pasti che prepara la nonna o la mamma. Manca la flessibilità e anche l’apertura mentale di offrire anche altro, manca la capacità di fare qualcosina di più, di diverso: un principio che vale anche per i ristoranti, forse pure per gli stellati Michelin. E questo resta un peccato, visto il bacino d’utenza e i prodotti di qualità che si possono reperire in tutte le regioni italiane. Non vuole essere una critica alle nostre abitudini, ma penso che ancora non ci stiamo aprendo abbastanza a quanto viene dall’estero e non stiamo sfruttando appieno il potenziale della nostra penisola».
Arriva “Kaffee und kuchen”
Per chi si reca in Germania e visita Berlino, Monaco, Dresda o persino la Foresta Nera, c’è una tradizione che spicca immediatamente. Esattamente come i britannici con il tè delle 5, i tedeschi amano riunirsi il pomeriggio per il “Kaffee und kuchen”, il tradizionale caffè con una fetta di torta.
Sia che ci si trovi tra colleghi oppure tra amici o familiari, la cultura del “Kaffeeklatsch” (l’atto di recuperare le due delizie, magari scambiando due chiacchiere) gode di una popolarità nazionale ed è solitamente organizzata tra le 15 e le 16.
Le origini di questa usanza risalgono probabilmente al XVII secolo, quando il caffè giunse per la prima volta in Germania. Un passatempo che allora si poteva concedere soltanto l’aristocrazia ma che si è successivamente allargato a partire dal XIX secolo.
La pausa pomeridiana è sacra a livello nazionale, ma da regione a regione cambiano le torte che l’accompagnano: ad esempio nella Foresta Nera c’è la Schwarzwälder Kirschtorte, composta da strati di panna montata e pan di spagna al cioccolato, imbevuto di liquore alla ciliegia, ricoperti da scaglie di cioccolato e ciliegie.
A Francoforte, invece, la fa da padrone il Frankfurter Kranz, un ciambellone a strati con marmellata e crema al burro e cosparso di noci caramellate. Torta diversa, invece, quella che c’è in Baviera, dove si mangia la Prinzregententorte, che unisce sette strati di pan di spagna e crema al burro al cioccolato, per simboleggiare i sette distretti regionali, rifiniti con marmellata di albicocche, cioccolato fondente e panna.
E a Milano invece? «Vanno a ruba i krapfen che noi facciamo con la marmellata ai frutti di bosco ma c’è anche la variante alla crema vulcanica, tipicamente italiana. Poi c’è lo strudel che prepariamo con la frolla, e non con la pasta sfoglia come si prepara in Trentino-Alto Adige. A volte c’è chi confonde questa regione con la Germania, o l’Austria; è un po’ come confondere un lombardo con un siciliano», racconta Andreas Mazzola, illustrando i dolci di Dolce Kerstin.
La carta, però presenta anche altre ricette: «Prepariamo anche la Linzer, la torta più antica del mondo, ispirata alla città austriaca di Linz; la Sacher, più leggera rispetto alla tradizionale con marmellata di lamponi e amido di mais e, durante il periodo di Natale, anche il cosiddetto “panettone tedesco”, originario di Dresda, che è basso e piatto come impasto e ha dentro la frutta secca e i canditi macerati nel rum.
Poi c’è anche la torta al rabarbaro, che oggi non prepara quasi più nessuno e che unisce il gusto aspro dell’ortaggio al dolce della sfoglia. Ecco, quest’ultimo è un esempio di come sono i dolci tedeschi e anche di come li concepiamo noi, cioè mai pieni di zucchero e sempre attenti al bilanciamento», sottolinea Mazzola.
Il menù del locale è un po’ anche una storia di famiglia, come racconta un altro dei titolari della pasticceria. «Non prepariamo solo torte e piatti tedeschi, ma anche polacchi, come la torta di mele renette che proviene da una ricetta di una zia».
L’omaggio più grande, però, è alla mamma, Kerstin. «Siamo nati e cresciuti a Milano da madre tedesca e padre italiano e nel 2020 abbiamo deciso di lasciare i nostri lavori per aprire un locale che fosse anche un po’ la realizzazione del suo sogno, per questo glielo abbiamo dedicato.
D’altronde il nostro ricordo dei dolci deriva fin da quando eravamo piccoli: non abbiamo dimenticato il “kaffee und kuchen” che preparavano i nonni, con la torta rigorosamente preparata in casa» dice Mazzola, che evidenzia anche la differenza rispetto alle tradizioni milanesi. «Ormai qui la tradizione della merenda sembra essersi persa: oggi i grandi passano direttamente dal pranzo all’aperitivo».
L’influenza belga
A colazione, a brunch o anche a merenda poco cambia: in molti bar e pasticcerie italiane il waffle è ormai diventato imprescindibile. La vera chicca, però, è trovare la sua versione belga: infatti il waffle è di origine francese, ma ci sono diverse varianti a seconda del paese in cui ci si trova.
In Belgio è chiamato gaufre e assume forme diverse a seconda addirittura delle città: c’è infatti quello “in stile Bruxelles”, con contorno perfettamente rettangolare e un impasto a base di latte, acqua, burro, uova, farina, zucchero, lievito di birra e aromi, e quello “in stile Liegi”, con contorno smussato, a nido d’ape, e impasto a base di farina, poche uova, latte, burro, lievito di birra, sale, zucchero vanigliato e in grani (il sucré perlé, tipo particolare di zucchero, a forma di perle).
Decisamente più raro da trovare è invece il baulus, uno sfogliato tipico belga farcito con frangipane di mandorle, uvetta e polpa di ananas, caramellato nel suo stampo con burro e zuccheri. «Vengo da una famiglia di panettieri e pasticcieri e per tanto tempo mi sono mantenuta il più lontano possibile dall’attività di famiglia, ma a 26 anni ho deciso di dedicarmi al cibo, la mia più grande passione: insieme a due amiche, tre anni fa abbiamo deciso di aprire un nostro locale.
Abbiamo voluto che fosse un posto dalle chiare influenze sia nordiche che nordamericane e che avesse accanto una gastronomia vegetale, che un po’ contrastasse la dolcezza e la golosità del burro con pranzi più sani» racconta Tine Devriese, una delle titolari del Fòla, in zona Loreto, o per meglio dire NoLo, a Milano.
Rispetto ad altri prodotti, il baulus è oggi “a rischio estinzione”: «Abbiamo voluto omaggiare questo dolce nel nostro menù ma adesso anche in Belgio stanno cercando di recuperarlo, sebbene sia complesso da preparare sia per gli ingredienti che per la manodopera» dice Devriese.
A occuparsi di questo, nella terra di fiamminghi e valloni, sono soprattutto le pasticcerie, visto che il vero e proprio bar, così come è presente in Italia, lì non c’è. «L’idea di colazione all’italiana, nella quale ci si reca nel proprio bar di fiducia, in Belgio non esiste: esistono invece le pasticcerie, dove ci si reca per comprare dolci da consumare a casa» sottolinea Devriese.
Il Fòla, però, sembra seguire una strada molto italiana: «I clienti che arrivano ci chiedono tantissimo dolci un po’ diversi da quelli della tradizione mediterranea, come il banana bread e la carrot cake, alla quale si aggiungerà in autunno anche una torta con le zucchine. È incredibile questa curiosità italiana verso questi prodotti».
A sorprendere i clienti, però, è anche la provenienza di certi ingredienti. «Un esempio è il burro, che noi preferiamo rispetto a quello italiano per le nostre ricette.
A far la differenza è l’alimentazione delle mucche, che mangiano erba fresca quasi tutto l’anno, rendendo il latte molto più ricco rispetto a quello italiano. In Italia, poi, il burro è un elemento di seconda scelta rispetto al formaggio, mentre in Belgio è il contrario. Infine, nel mio paese c’è un altro metodo di produzione, ad affioramento o a centrifuga, rispetto all’Italia» continua Devriese.
L’hygge che spopola
Molto simile all’idea tedesca di pausa c’è quella scandinava, che si ritrova in un termine svedese, fika, che indica appunto il break di metà mattinata o di metà pomeriggio con amici o colleghi davanti a una tazza di caffè fumante, mentre si mangia qualcosa di dolce.
Una visione della pausa che in Danimarca assume un valore persino più filosofico, con la cosiddetta hygge, il momento di tepore e benessere che si percepisce in un picnic al parco come ad un barbecue tra amici, durante un concerto estivo all’aperto come nelle feste di Natale o in una chiacchierata sul più e il meno tra amici, magari davanti a una kardemummabullar, brioche al cardamomo che si trova tanto in Danimarca quanto in Svezia.
«La nostra idea era quella di ricreare quel benessere danese che io e il mio socio abbiamo conosciuto lì: nel 2018 abbiamo iniziato a immaginare il nostro locale e poi lo abbiamo aperto, dapprima come ristorante e poi come caffetteria e pasticceria» racconta Stefano Ferraro. «Serviamo tutto, ma ci sono due prodotti che non abbiamo mai tolto dal nostro menù: sono lo sfogliato al cardamomo, con glassa al caffè e arancia, e il cinnamon roll» precisa l’ex pastry chef del Noma.
Più internazionale è invece il Materia Cafè di Roma, un bar di ispirazione nordica aperto praticamente tutto il giorno. «L’ambiente che abbiamo scelto si rifà sicuramente alla Scandinavia, terre che abbiamo visitato durante i nostri viaggi, ma all’interno serviamo di tutto, dal tiramisù al toast all’avocado sino agli scrambled eggs e alla carrot cake, che piacciono soprattutto agli stranieri» racconta Marta Troia, titolare insieme a Laura Barbieri del locale in zona San Giovanni, nel primo municipio della Capitale.
Un posto internazionale, dove sostare e poter godere di un’atmosfera diversa da quella di altri posti.
«Abbiamo creduto che un posto del genere mancasse a Roma, un posto dove fermarsi per leggere un libro, lavorare, senza essere visti male. Un posto bello, che suscitasse benessere» rivendica Troia. Un posto che evocasse hygge, insomma.
A fare la differenza, poi, sono anche elementi tipicamente italiani, come il caffè. «Serviamo un caffè danese che è decisamente diverso rispetto a quello italiano: è 100 per cento Arabica e viene tostato molto leggermente, donando tutta una serie di sapori e sentori diversi da quello che siamo soliti assaggiare, visto che il nostro caffè viene tostato a lungo e a temperature molto elevate» sottolinea Ferraro.
A far la differenza tra le due pasticcerie sono due fattori, come grasso e acidità. «Il clima è importante: la pasticceria danese è un po’ più pesante ed è meno carica di zuccheri, a causa della mancanza di sole non permette alla frutta di svilupparli. Questo porta anche i popoli scandinavi in generale a preferire il gusto acidulo o salato rispetto a quello zuccherato.
Per questo amano pasti semplici, come una pagnotta, con tanti semi sopra, dove si spalma burro o formaggio tagliato finemente. Qui però noi non siamo ancora riusciti a presentarla» racconta. Ma chissà che in futuro non ci sia la possibilità.
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