- Trieste, all’estremo nord-est, geograficamente più vicina a Vienna che a Roma, diventa la capitale italiana dei “no green pass”. Trieste, città restia a ogni mobilitazione e che conta circa 200mila abitanti, ne vede scendere in piazza – in queste settimane – più di 15mila.
- Per una piccola città come Trieste si tratta di numeri inediti. E in mezzo alla protesta sono finite anche le elezioni amministrative, dove il Movimento 3V – l’unica forza politica apertamente No vax a presentarsi alle consultazioni – ha raggiunto il 4,5 per cento, superando persino il Movimento 5 stelle al primo turno delle comunali.
- Secondo il filosofo Rovatti la radice del loro successo va cercata nella storia individualista e isolazionista della città.
Trieste, all’estremo nord-est, geograficamente più vicina a Vienna che a Roma, diventa la capitale italiana dei “no green pass”. Trieste, città restia a ogni mobilitazione e che conta circa 200mila abitanti, ne vede scendere in piazza – in queste settimane – più di 15mila. Trieste, il cui porto è tra i primi in Italia per volume di merci movimentate, vede proprio i lavoratori portuali diventare protagonisti di una lotta che unisce sinistra e destra, vax e no vax. Com’è potuto accadere?
Le origini della protesta
«Le mobilitazioni a Trieste, anche se meno partecipate rispetto a oggi, sono iniziate già in primavera, ma i media locali e nazionali all’inizio non se ne sono accorti». A parlare è un membro del Coordinamento no green pass Trieste che preferisce restare anonimo: «In un primo momento quelle piazze potevano essere catalogate come anti vacciniste, persino negazioniste nei confronti del Covid-19, ma con il passare dei mesi il fulcro della lotta si è spostato sull’opposizione al green pass e sulla gestione socio-politica della pandemia».
In quei mesi a Trieste si sono svolte manifestazioni dei sanitari contro l’obbligo vaccinale (il Friuli-Venezia Giulia ha la percentuale più alta in Italia di personale medico-sanitario non vaccinato) e fiaccolate contro il coprifuoco, oltre ai sit-in organizzati dai gruppi no vax come il Movimento 3V o l’associazione Alister.
«Quel che colpiva di queste iniziative – continua il membro del Coordinamento – era la composizione trasversale della piazza: sinistra, destra, vaccinati e non vaccinati, non si trattava di sparute iniziative di gruppetti No vax».
È nato così, da questo insieme plurale e sfaccettato, il Coordinamento No green pass Trieste, realtà che nelle settimane successive ha preso in mano l’organizzazione delle piazze. La sintesi delle loro richieste è chiara. «Fermare l’applicazione del green pass, impedire l’imposizione dell’obbligo vaccinale e chiedere che siano favoriti, in generale, ulteriori approcci terapeutici», scrivono sul loro blog.
Nel mese di settembre è avvenuto un rapido cambio di passo: le manifestazioni, sempre più partecipate, hanno iniziato a coinvolgere più di 15mila persone. Per una piccola città come Trieste si tratta di numeri inediti. E in mezzo alla protesta sono finite anche le elezioni amministrative, dove il Movimento 3V – l’unica forza politica apertamente No vax a presentarsi alle consultazioni – ha raggiunto il 4,5 per cento, superando persino il Movimento 5 stelle al primo turno delle comunali.
Dai vaccini al lavoro
Alle manifestazioni, nel tempo, si sono aggiunti anche i lavoratori portuali, spinti in particolare dal sindacato autonomo Clpt (Coordinamento lavoratori portuali Trieste). Al loro fianco anche altre categorie, ben visibili con i propri striscioni: ferrovieri, tassisti, insegnanti, operai di Wärtsilä, Flex, Fincantieri e Illy.
La protesta si è così spostata, progressivamente, sul tema del lavoro. «Anche per questo motivo, rispetto a quanto si è visto in altre città italiane, per i movimenti neofascisti qui è più difficile entrare nella piazza ed egemonizzarla», osserva il membro del Coordinamento. Che continua: «Del Coordinamento non fanno parte i gruppi neofascisti, e se partecipano alle manifestazioni lo fanno senza simboli o bandiere di appartenenza».
A ridosso del 15 ottobre, in occasione dell’entrata in vigore dell’obbligo del green pass sui luoghi di lavoro, dalle piazze della città la mobilitazione si è spostata verso il porto. All’alba di venerdì 15 i manifestanti hanno iniziato un presidio al varco 4 che, nella volontà degli organizzatori, doveva proseguire «a oltranza» fino alla soppressione del certificato verde.
Dopo tre giorni e due notti, però, è arrivato lo sgombero. Ieri mattina la polizia ha usato idranti e gas lacrimogeni per disperdere la folla, che si è allontana dallo scalo per arrivare in piazza Unità, sotto il palazzo comunale. È in queste ultime giornate che si è vista una maggiore partecipazione di manifestanti provenienti da altre regioni italiane, a cominciare dal vicino Veneto fino ad arrivare a quelle del sud del paese. Trieste è diventata, a tutti gli effetti, la capitale della lotta al green pass.
Ragioni antiche
Resta da capirne il perché. Il filosofo Pier Aldo Rovatti, emiliano di nascita ma triestino di adozione (lavora nel capoluogo giuliano dal 1978 e ci vive dal 1990), collega quanto sta accadendo al carattere della popolazione: «Trieste è una città estremamente individualista, esattamente come la mobilitazione No green pass, che per questo motivo qui ha un così grande successo».
Rovatti si è a lungo occupato del pensiero di Franco Basaglia che, proprio a Trieste, ha aperto le porte del manicomio, prima ancora che venisse promulgata la legge 180: «Nelle manifestazioni di questi giorni si parla tanto di “libertà”. Qualcuno ci potrebbe vedere un legame con la lotta contro l’istituzione totale del manicomio, ma io sinceramente no. Basaglia era un medico, sarebbe stato favorevole al vaccino poiché aveva ben presente il carattere sociale della salute. Certo, non sarebbe stato insensibile ai rischi di un possibile controllo sociale, ma avrebbe considerato centrale l’aspetto terapeutico. Basaglia avrebbe piuttosto messo in gioco il concetto di responsabilità, di cui oggi non si parla: bisogna vaccinarsi per non far del male agli altri».
Secondo Rovatti non è un caso perciò che la città di Trieste non abbia accolto fino in fondo l’esperienza basagliana: «Qui l’egocentrismo è di casa, c’è ben poco di sociale». A proposito di libertà e fascismo, Rovatti chiosa: «La libertà rivendicata da queste piazze è del tipo “io faccio quel che voglio”. Ma in una situazione delicata come la nostra una posizione del genere non è socialmente accettabile».
«Bisognerebbe chiarire poi cosa intendiamo con la parola “fascismo” – conclude – Per me proprio l’individualismo, ben esemplificato dal motto “me ne frego”, costituisce il fulcro dell’ideologia di estrema destra».
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