È la seconda volta in due settimane che Banca Progetto viene coinvolta in casi di cronaca giudiziaria, dopo che lo scorso 24 ottobre è stata commissariata per alcuni prestiti erogati a società legate alla ‘ndrangheta. In questo caso, però, l’istituto di credito sembra essere parte lesa perché finito al centro di una frode milionaria con epicentro in Lombardia.

Due distinte operazioni della Guardia di Finanza di Brescia e di Como hanno sgominato ieri un’associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato. I finanziamenti ottenuti in maniera illecita – nella maggior parte dei casi tramite Banca Progetto – erano garantiti dal Mediocredito centrale, il fondo di garanzia del ministero delle Imprese e del Made in Italy. Nelle indagini coordinate dalla procura di Brescia e Monza sono state emesse in totale 22 misure cautelari e sequestrati oltre 21 milioni di euro.

Si individuavano società costituite da poco e senza problemi con il fisco che diventavano il veicolo per chiedere i finanziamenti. Si acquisivano quote di maggioranza tramite prestanomi. Si falsificavano i bilanci facendo figurare aumenti di capitale inventati per mostrarsi in grado di restituire i prestiti che sarebbero stati chiesti alle banche. «Dopo questo maquillage contabile – spiegano le fiamme gialle – la società di turno era pronta per presentato la domanda di finanziamento».

Il ruolo di Savio

Il trait d’union tra le due inchieste è il broker Marco Savio, fratello del magistrato antimafia Paolo Savio (totalmente estraneo all’indagine), finito in carcere su richiesta del gip di Monza. Amministratore della Marfin Srl e agente monomandatario di Banca Progetto, riusciva a ottenere i finanziamenti «avvalendosi dell’expertise e dei buoni uffici» della sua società, proprio perché Banca Progetto «opera sul territorio tramite (…) mediatori creditizi che svolgono un’attività istruttoria per suo conto». Savio è uno di questi. Per l’«intermediazione illecita» – scrivono gli inquirenti – incassava «una percentuale sugli importi» e il denaro veniva «in parte trasferito sui conti correnti (...) tramite bonifici giustificati da operazioni commerciali non coerenti».

L’inchiesta è partita da una costola dell’operazione Atto finale del 2021. In quell’occasione, sotto la lente degli inquirenti erano finiti «ingenti finanziamenti» intermediati da Savio, per conto di Banca Progetto, a favore di una società – la Euro Trading Srl – che operava «in un contesto connotato da un sistema fraudolento gestito, anche in maniera occulta, da imprenditori prossimi ad ambienti mafiosi calabresi». Pur defilata, la ‘ndrangheta è uno dei fili rossi che lega le due inchieste all’istituto di credito e al broker.

La truffa

A capo dell’organizzazione sgominata ieri, l’«ideatore dello schema criminoso e coordinatore di tutte le fasi» della frode era Ernesto Cipolla, già coinvolto in altri procedimenti per bancarotta e truffa, ora in carcere come altri due vertici dell’organizzazione, Simone Iacone e Remo Contini. In totale dietro le sbarre sono finite sette persone, altri otto ai domiciliari (uno di questi è il braccio destro di Savio, Diego Galli), mentre per sei persone è stato disposto l’obbligo di firma.

Per dissimulare «l’esistenza di un effettivo apparato produttivo», scrive il gip di Monza, gli indagati allestivano «una messa in scena con affitto di capannoni, macchinari e falsi operai apparentemente indaffarati». Tutto per fare credere alle banche che le aziende che chiedevano finanziamenti avessero una vera operatività. Un «vero e proprio cinema da creare a beneficio degli eventuali funzionari ispettori». La base del gruppo era a Cinisello Balsamo, periferia nord di Milano.

Quando i finanziamenti arrivavano nelle casse delle società, la maggior parte dei soldi erano spesi «per esigenze personali». In particolare, continua la Guardia di Finanza, «il denaro era prelevato in contanti e movimentato a mezzo di “spalloni” oppure bonificato sui conti correnti intestati ai sodali o ai loro prestanomi, a società italiane ed estere» tramite fatture fase. Uno dei soggetti che, mettendo a disposizione le sue società, consentiva il riciclaggio delle truffe era Maurizio Ponzani, imprenditore vicino alla locale lombarda di ‘ndrangheta di Legnano/Lonate Pozzolo.

C’era poi da giustificare l’assenza di liquidità dai conti correnti per ripagare i prestiti alla banca. In questo caso, spiegano le fiamme gialle, Cipolla «istruiva i suoi prestanome in vista del colloquio con i funzionari bancari, simulando situazione di difficoltà finanziaria». In alcuni casi si è anche arrivato a dare la colpa a ritardi dei fornitori per i disagi dell’alluvione nel modenese del 2023.

La posizione di Banca Progetto

«Banca Progetto Spa precisa di essere parte lesa nella vicenda» e di non essere indagata, sottolinea in una nota l’istituto di credito, ribadendo «la propria volontà di collaborare con la GdF» che, nella mattinata di ieri, si è presentata nei suoi uffici per acquisire i modelli organizzativi in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti. Che Banca Progetto sia parte lesa e sia stata «indotta in errore» lo confermano gli stessi inquirenti.

L’istituto controllato fino a settembre da Oaktree, il fondo proprietario dell’Inter, è dallo scorso 24 ottobre in amministrazione giudiziaria per aver concesso «con disinvoltura» prestiti garantiti dallo Stato a imprese controllate da due soggetti legati alla ‘ndrangheta, Enrico Barone e Maurizio Ponzoni (ora in carcere perché coinvolto nell’operazione di ieri), già condannati per «diverse condotte di bancarotta fraudolenta con l’aggravante del metodo mafioso». 

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