L’imprenditore Vittorio Farina è finito ai domiciliari nell’indagine della procura di Roma sulle forniture di mascherine e camici alla regione Lazio. Farina, re delle tipografie, in passato, ha finanziato con 100mila euro la fondazione Open di Matteo Renzi ed era  in ottimi rapporti con Luigi Bisignani.

Farina ha ottenuto uno dei mega affidamenti di dispositivi individuale dall’ente guidato da Nicola Zingaretti, che risulta parte lesa.

I filoni di inchiesta sono due, il primo riguarda un presunto traffico di influenze. Nelle carte dell’inchiesta si fa proprio riferimento alla rete di rapporti di Vittorio Farina che «vanta rapporti con personaggi noti, come Roberto De Santis, l’ex senatore Saverio Romano (entrambi indagati per traffico di influenze, ndr), grazie ai quali riesce ad avere contatti con pubblici amministratori che in questo periodo si occupano delle forniture pubbliche di dispositivi medici e di protezione individuale», scrive il giudice Francesca Ciranna nella richiesta cautelare.

Saverio Romano è stato ministro dell’Agricoltura nel governo Berlusconi mentre Roberto De Santis è imprenditore pugliese, da sempre descritto come molto vicino all’ex presidente del Consiglio Massimo D'Alema. Ma c’è di più.

La ricostruzione dei magistrati continua con i colloqui che Farina intrattiene con i suoi sodali nei quali mostra soddisfazione per la promessa «verosimilmente ottenuta dal commissario Domenico Arcuri di inserire Ent (European network, società di cui Farina è delegato, ndr) quale fornitore sussidiario rispetto a Luxottica e Fca per l’approvvigionamento di un’ingente quantità di mascherine chirurgiche da destinare alle scuole».

È il 15 luglio quando Vittorio Farina chiama Massimo Cristofori, non indagato, e giura di aver parlato con Domenico Arcuri per inserire la sua società nell’affare mascherine per le scuole. Cristofori dice: «Tu che sei grande amico di Arcuri, lanciati nel business delle scrivanie, hai sentito questa storia delle scrivanie?».

Farina gli spiega le sue intenzioni: «Quello delle mascherine, stiamo, quello che non fornisce Luxottica e fiat, sai che gli hanno fatto, che sono grandi produttori no, se non ce la fanno, subentriamo noi, adesso sappiamo tra qualche giorno, sono stato ieri giuro».

L’incontro con Arcuri

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I finanzieri seguono Farina e scoprono che si reca, il primo settembre, in via Valadier, a Roma dove ha sede la Proger di Roberto De Santis. Ricostruiscono che la società Ent ha fatto un bonifico di 30 mila euro a favore di De Santis, ma non si conosce la natura della prestazione resa.

Poi il giudice scrive: «Il 3 settembre 2020 in occasione di un ulteriore viaggio a Roma, Vittorio Farina è riuscito a incontrare il commissario straordinario Domenico Arcuri come sembra emergere dai puntuali aggiornamenti effettuati da Farina ad Aleksic (suo socio, ndr)».

Al telefono Farina dice: «Domenico mi ha promesso  che se gli arriva la lettera, autorizza quell’acquisto, la dovrebbe fare oggi, oggi la deve fare e oggi pomeriggio ci deve fare l’ordine (…) sto sopra ste cose (…) sto facendo un buon lavoro (…) avanti indietro avanti indietro».

Farina chiama Marco Ottino, non coinvolto nell’indagine, avvocato della Federfarma, dicendogli di avere «una promessa dal commissariato unico, dal commissariato straordinario, che se va in rottura di stock con i due fornitori principali che so fiat e luxottica, e le prende da me».

La società Ent riesce ad avere una commessa anche dalla protezione civile Sicilia per la fornitura di un milione di guanti. La stessa Ent versa 58 mila euro sul conto corrente intestato ai coniugi Saverio Romano e moglie, segnalato come operazione sospetta dalle fiamme gialle. Una segnalazione sarebbe arrivata dall’ufficio preposto dalla Banca d’italia anche per un contratto sottoscritto con la regione Veneto.

Farina ai domiciliari

Farina finisce ai domiciliari per un affare con la regione Lazio che fa parte del secondo filone di indagine. Farina risulta, secondo le indagini delle fiamme gialle, delegato della società European network, e avrebbe commesso una frode nella fornitura alla regione di 5 milioni di mascherine e 430 mila camici per un importo complessivo di oltre 20 milioni di euro, cifra oggetto di sequestro preventivo.

La frode, reato per il quale è indagato con il titolare della società, deriverebbe dalla mancata certificazione dei prodotti, presentati per mascherine ffp2, ma che, invece, non erano classificabili quali dispositivi di protezione. 

Farina avrebbe mostrato «all’ufficio delle dogane (…) un certificato di ‘compliance’ (…) rilasciato da una società non accreditata» e omesso «di riferire al committente pubblico che il prodotto non aveva superato la necessaria procedura di validazione presso l’Inail». Mascherine che sono state consegnate e utilizzate.

Non è andata meglio con i camici «sprovvisti delle certificazioni richieste ed omettendo di comunicare che il prodotto non aveva superato il procedimento di validazione presso l’Inail». In entrambi i casi la Protezione civile del Lazio ha pagato in anticipo metà dell’importo.

I co-indagati

Farina è indagato con Andelko Aleksic, titolare della società, Piergiorgio Sposato, consulente della società, Domenico Romeo, soggetto che avrebbe procurato la falsa certificazione Ce per i dispositivi di sicurezza. Farina, Romeo e Aleksic sono finiti ai domiciliari. Tutti rispondono del reato di truffa  perché per ricevere l’intero pagamento dei prodotti consegnati hanno indotto in errore la protezione civile regionale alla quale sono stati consegnati certificati contraffatti per i camici e certificati relativi ad un altro prodotto nel caso delle mascherine.

L’indagine nasce dalla segnalazione di Carmelo Tulumello, dirigente della protezione civile della regione Lazio, che segue un controllo dell’agenzia delle dogane che blocca momentaneamente una parte residua di mascherine importate dalla società di Farina. 

La pubblica accusa, però, sottolinea che la protezione civile, al contrario di quanto disposto dalle norme, ha anticipato non il 20 per cento, ma il 50 per cento dell’importo complessivo.

A marzo dello scorso anno aziende di ogni genere, venditrice di gadget, di vino, profumi, hanno cominciato a fare affari con i dispositivi individuali. E anche l’European network, ispirata da Farina, ha cambiato oggetto sociale dall’originaria attività di editoria alla commercializzazione di dispositivi individuali.

Dalle telefonate intercettate emerge chiaramente, secondo gli inquirenti, la consapevolezza degli indagati circa la falsità della documentazione prodotta non riferibile alla merce consegnata e presentata, anche se falsa, solo per ottenere il saldo del pagamento.

Il rapporto tra la società e la Protezione civile regionale ha riguardato anche un’altra commessa, non oggetto di indagine, per la fornitura di ulteriori mascherine. La società ha, inoltre, presentato una polizza assicurativa emessa da una società non autorizzata all’attività di intermediazione.

L'inchiesta chiarisce che l’Inail, come il comitato tecnico scientifico, ha espresso pareri in base a certificati riferiti ad altri prodotti o basati su «test report di un laboratorio non accreditato»

I domiciliari sono stati giustificati dal giudice con il pericolo di reiterazione del reato visto che il certificato falso è stato prodotto a ottobre e la liquidazione del saldo dei camici è avvenuto a dicembre e «va rilevato che Farina Vittorio ha un precedente per bancarotta fraudolenta risalente al 2015».

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