- Sono passati 7 anni dall’avvio del progetto, ma il dragaggio del porto di Taranto resta fermo. Le difficoltà realizzative non sono state risolte malgrado commissariamento e decreto Semplificazioni.
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Il problema tecnico comporta rischi ambientali: la vasca di contenimento dei fanghi inquinati non dà garanzie di tenuta. La Via intanto è scaduta e l’Autorità portuale ne ha chiesto il rinnovo.
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L’istanza è però sprovvista delle migliorie progettuali necessarie ma, dopo la stazione appaltante, anche il ministero della Transizione ecologica ora fa finta di niente e manda avanti la pratica.
Il dragaggio del fondale del molo Polisettoriale di Taranto per 2,3 milioni di metri cubi, con la realizzazione di una vasca di colmata (cioè di una struttura a bordo banchina in cui conferire l’enorme quantità di fanghi inquinati), è un progetto da oltre 70 milioni di euro affidato nel 2014 ad Astaldi, previo un ribasso di circa 20 milioni.
L’opera doveva esser pronta in due anni per consentire l’approdo delle maxinavi di ultima generazione, ma è ancora in fase di realizzazione e il ritardo è stato il pretesto, usato nel 2015 dal concessionario del terminal container affacciato sul molo, per spiegare la decisione di andarsene lasciando disoccupati 500 lavoratori.
Il problema è che la vasca, per dimensioni e posizione, è risultata ben più complessa del previsto da realizzare. Soprattutto viste le accortezze necessarie a minimizzare il rischio di sversamenti.
A marzo Domani aveva raccontato i principali problemi riscontrati fino ad allora e le acrobazie amministrative tentate dalla stazione appaltante (l’Autorità portuale, il cui presidente Sergio Prete ha anche poteri commissariali) per terminare l’appalto ed problemi con il nuovo concessionario (il gruppo turco Yildirim per ora ha riassunto solo poche decine di persone mentre il resto fruisce dal 2016 di ammortizzatori sociali di vario genere).
Il collegio consultivo tecnico
Per superare le numerose “non conformità” rilevate dalla direzione lavori e le riserve avanzate da Astaldi, Prete, a inizio 2021, ha utilizzato uno strumento messo a disposizione dal decreto Semplificazioni, cioè la nomina di un collegio consultivo tecnico. Una sorta di collegio arbitrale dotato di poteri coercitivi inappellabili per la «rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche».
Subito, però, erano emerse delle problematiche legate alla scelta di chi doveva far parte del consiglio e alle sue determine, che fra l’altro riconoscevano le pretese di Astaldi (intanto passata a Webuild), tanto che fra gli atti pubblicati dall’Autorità portuale risulta un impegno di spesa, preso a luglio, di 12 milioni di euro.
Sul prosieguo dei lavori, invece, non si era saputo più niente. A maggio però il Rup (Responsabile unico del procedimento) aveva chiesto la consulenza di un professionista esterno (il terzo) per risolvere la non conformità n.18.
Nella delibera si spiegava che tale problematica «riguarda il marginamento a mare della realizzanda cassa di colmata e, nella fattispecie, l’insieme di numerosi casi in cui la geometria dell’appoggio del diaframma sul gargame del palo è inferiore al valore minimo indicato come tolleranza accettabile nel progetto esecutivo, determinando una condizione di trasmissione del carico non simmetrica e difforme da quella prevista in progetto».
Il documento conferma cioè che la parte a mare della cassa di colmata è stata realizzata difformemente dal progetto, con modalità che non rispondono alle garanzie di impermeabilità chieste per evitare il riversamento in mare dei materiali tossici.
Da qui la richiesta ad Astaldi di provvedere con una «una soluzione supportata da un progetto di intervento e relativo calcolo strutturale» e la nomina di un esperto in grado di valutare per il Rup l’idoneità di tale soluzione.
La soluzione non c’è
Passati oltre 7 mesi, emerge ora che la soluzione non c’è e che anzi, a fine luglio, il ministero della Transizione ecologica, ha «revocato la comunicazione di procedibilità della verifica di ottemperanza» relativa al «rispetto del requisito di permeabilità» della vasca e che a settembre la direzione lavori ha sospeso tutto.
La notizia è diventata ufficile perché al ministero è arrivata una richiesta di rinnovo della Via (Valutazione di impatto ambientale), che per legge va pubblicata per accogliere osservazioni di terzi.
La Via originaria è scaduta nel marzo 2019 ma per oltre due anni si è comunque lavorato, tanto che la nuova istanza ha il fine di «attestare la compatibilità ambientale dei lavori eseguiti successivamente al termine di validità del decreto di compatibilità ambientale 80/2014 e di quelli necessari al completamento dell’intervento».
La documentazione tecnica allegata alla nuova istanza è però pressoché la stessa presentata per la Via del 2014. Non ci sono gli aggiornamenti relativi ai nuovi esami tossicologici che si sono resi necessari a luglio sui sedimenti da dragare (ma il problema è se non altro menzionato).
Ma soprattutto si sorvola sul perdurante problema della permeabilità della vasca a mare, fatto salvo il fulmineo accenno della relazione della direzione lavori che parla di «attesa di approvazione» e, naturalmente, non si espongono le soluzioni progettuali chieste ad Astaldi per farvi fronte, proprio perché ancora non ci sono.
Il termine per le osservazioni scade a fine mese, ma come si possa attivare una procedura di Via in questa situazione resta una domanda senza risposta. Infatti né l’Autorità portuale né il ministero hanno voluto rispondere alle nostre domande.
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