- Si presenta come uno di successo Salvatore Palella, siciliano di Acireale, 34 anni ancora da compiere, autore di un’inarrestabile ascesa nel mondo della micromobilità.
- Nella biografia sul sito della sua società, però, manca qualcosa. Nel suo passato, infatti, c’è anche qualche passo falso.
- Per esempio aziende finite in indagini antimafia, rapporti con uomini della criminalità organizzata, e accuse di cambiali e stipendi non pagati.
Un imprenditore di successo: è questa l’impressione che si ha scorrendo i suoi profili social, tra foto della quotazione al Nasdaq di New York della sua Helbiz, viaggi lussuosi, copertine di Forbes, moglie – una modella di Sports Illustrated – e due figli sempre allegri e sorridenti. Si presenta come uno di successo Salvatore Palella, siciliano di Acireale, 34 anni ancora da compiere, autore di un’inarrestabile ascesa nel mondo della micromobilità. Che lui racconta sul sito della sua società, dove però manca qualcosa. Nel suo passato, infatti, c’è anche qualche passo falso: tra aziende finite in indagini antimafia, rapporti con uomini della criminalità organizzata, e accuse di cambiali e stipendi non pagati.
Milano, succhi d’arancia e clan
Palella lascia la Sicilia da giovanissimo, «si è trasferito a Dublino subito dopo il liceo all'età di 17 anni dove ha fatto la sua prima esperienza lavorativa nel settore del fast food», scrive di sé, in terza persona, nella sua biografia. Dopo qualche tempo va a Milano, «dove ha frequentato l'Università Cattolica del Sacro Cuore e contemporaneamente ha costruito la sua prima azienda, la Witamine, un produttore di distributori automatici di spremuta d'arancia fresca». Punto, non dice altro.
Con la Witamine però Palella ha la sua prima disavventura: la società viene sequestrata dalla procura antimafia di Milano, coinvolta in un’inchiesta sul clan di Cosa nostra comandato dal boss Guglielmo Fidanzati. Nelle carte il giovane imprenditore viene descritto come il prestanome di Michele Cilla, noto gestore di discoteche, ed ex braccio destro del boss Fidanzati.
Il sequestro dura poco, ma Palella decide di mettere in liquidazione la società e di lasciare Milano. Ha in mente una nuova avventura, nella sua Acireale.
Le cambiali e il boss
E così nel 2012, come racconta nella sua biografia, il 25enne Palella diventa «il più giovane proprietario di una squadra di calcio professionistica nel mondo», l’Acireale Calcio. Presentazione in grande stile, artisti di fama nazionale presenti allo stadio, promesse di una campagna acquisti stellare per far salire subito la squadra di categoria. Le premesse sembrano ottime, ma i fatti le smentiranno: i calciatori per mesi non ricevono gli stipendi e si mettono in autogestione.
Palella nel giro di un anno lascia la società, sull’orlo del fallimento. E lascia dietro di sé più di uno scontento. Come Enzo Ercolano, rampollo della famiglia di Cosa nostra degli Ercolano-Santapaola – recentemente condannato in secondo grado a 12 anni di carcere, fratello di Aldo, il killer del giornalista Pippo Fava. Ercolano ha interceduto per Palella per l’acquisto del marchio dell’Acireale Calcio: si è presentato con lui dall’imprenditore che lo possedeva, mettendoci una buona parola. Il futuro re dei monopattini, però, non avrebbe pagato, mandando su tutte le furie Ercolano, che in una telefonata si sfoga: «Ti sei mangiato il nome della tua famiglia e hai mischiato pure il mio, gran pezzo di merda… la verità è che fai le truffe… hai 23 anni ed è 5 anni che l’hai messo in culo a tutta Italia… quali fatti? …Che tu sei un disonore per te e per la tua famiglia!».
Non è l’unico pagherò non rispettato: ci sono anche quelli all’autista che lo scorrazzava nel periodo della presidenza, con cui aveva un debito di 87mila euro, solo in parte restituiti anni dopo. O come le cambiali che altri imprenditori lamentano di non aver potuto incassare.
Palella però ha sempre negato: «Non credo di aver fatto mai nessuna cambiale in Sicilia», ha detto nel corso di un’intervista a Report. Quando il giornalista della trasmissione di Rai3 gliele ha mostrate, con la sua firma, il fondatore di Helbiz ha risposto: «Questa non è la mia calligrafia». Disavventure che capitano, ma che non gli hanno impedito di rifarsi negli Stati Uniti.
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