I clan e il Covid. La condanna di Messina Denaro per le stragi. Le fasi finali di mafia capitale. La camorra in Veneto e la ‘ndrangheta al nord. Storie spesso dimenticate, ma che sono rilevanti per comprendere quanto ancora sia forte il potere criminale per eccellenza nel nostro Paese
- Nell’emergenza le mafie si adattano, proliferano, gestiscono potere e affari. È accaduto per le ricostruzioni del dopo terremoto, del post alluvione. I clan sfruttano le regole ammorbidite dalla fretta di agire e si insinuano in silenzio, proponendo affari a costi più vantaggiosi.
- Ma nel 2020 sono emerse anche le complicità con la magistratura in Calabria, la presenza della ‘ndrangheta in luoghi che credevano di essere immuni dal contagio criminale come Trentino e Valle d’Aosta.
- Infine, è stato l’anno in cui il processo ultimo sul “Mondo di mezzo” di Carminati sta per chiudersi definitivamente, quella conosciuta come Mafia capitale per la Cassazione non è mafia, ma solo un gruppo di malavita. Mentre in Emilia quasi cento imputati appartenenti alla ‘ndrangheta emiliana sono stati riconosciuti colpevoli del reato associativo.
Il 2020 è l’anno del Covid, della pandemia, dell’emergenza. E nell’emergenza le mafie si adattano, proliferano, gestiscono potere e affari. È accaduto per le ricostruzioni del dopo terremoto, del post alluvione. I clan sfruttano le regole ammorbidite dalla fretta di agire e si insinuano in silenzio, proponendo affari a costi più vantaggiosi.
Ma è stato anche l’anno in cui sono emerse le complicità con la magistratura in Calabria, la presenza della ‘ndrangheta in luoghi che credevano di essere immuni dal contagio criminale come il Trentino o la Valle d’Aosta. È stato l’anno in cui il processo ultimo sul “Mondo di mezzo” di Massimo Carminati sta per chiudersi definitivamente, quella conosciuta come Mafia capitale per la Cassazione non è mafia, ma solo un gruppo di malavita. Il 2020 ha visto la fine di un altro importante processo sulla mafia al Nord: in Emilia quasi cento imputati sono stati riconosciuti colpevoli del reato associativo, appartenenti alla ‘ndrangheta emiliana.
Giudice corrotto
A metà gennaio Marco Petrini, presidente di sezione della corte di appello di Catanzaro, viene arrestato con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. La procura di Salerno guidata da Giuseppe Borrelli, competente per i reati commessi dalle toghe di Catanzaro, scopre un sistema fatto di sentenza comprate, consulenze e perizie affidata a avvocati e commercialisti amici. Sullo sfondo personaggi legati ai clan della ‘ndrangheta che avrebbero dovuto beneficiare di verdetti favorevoli.
Mafie e Covid
Da Federico Cafiero De Raho, a capo della procura nazionale antimafia, ai procuratori di Roma, Reggio Calabria e Napoli, l’allarme è stato lanciato già durante il primo lockdown: attenzione, i tentativi dei clan di inserirsi nell’emergenza Covid sono già in atto. Poche parole a cui sono seguiti molti fatti: inchieste giornalistiche e indagini giudiziarie hanno svelato questi interessi. Mascherine, tute, camici, ma anche laboratori privati di analisi, l’usura usata per acquisire aziende decotte dalla crisi seguita alla pandemia. Le mafie si muovono su questi e molti altri piani dell’emergenza.
Lazio 2020
Il rapporto presentato dalla regione “Mafie nel Lazio” ha fornito i numeri delle operazioni antimafia: il dato più rilevante è quello fornito dalla Banca d'Italia, che evidenzia come nella regione sono state segnalate 10.567 operazioni bancarie sospette, di cui 9037 a Roma. Insomma, la capitale si conferma con Milano la centrale del riciclaggio nazionale, luoghi in cui le cosche di tutte le mafie trasferiscono i propri capitali illeciti per ripulirli.
Mafia alpina
La ‘ndrangheta in Trentino si è insediata «negli anni Ottanta», scrive il giudice per le indagini preliminari che ha firmato l’ordinanza di arresto, il 15 ottobre 2020, per 19 persone, coinvolte nell’inchiesta condotta dalla procura antimafia di Reggio Calabria, dal Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri guidato da Pasquale Angelosanto e dalla guardia di finanza. Tra gli indagati oltreché imprenditori, cavalieri del lavoro, anche tre politici: sindaci in carica, ex primi cittadini ed ex parlamentari. E c’è anche un’ex senatore della Lega, ma solo citato nell’intercettazioni.
Latitante stragista
Dal 21 ottobre 2020 c’è una certezza: Matteo Messina Denaro non è solo il boss in giacca e cravatta, l’elegante padrino che da giovane era famoso per essere uno sciupafemmine, frequentatore dei locali alla moda sulla costa trapanese. È vero che Il mammasantissima di Castelvetrano, tra Marsala e Agrigento, è stato capace di portare nella sua corte imprenditori affermati nel settore della grande distribuzione e delle energie rinnovabili. Ma è altrettanto documentato che Messina Denaro, latitante dal 1993, è soprattutto uno stragista, come conferma la sentenza della corte d’Assise di Caltanissetta, che lo ha condannato all’ergastolo per le stragi mafiose del 1992: le bombe al tritolo di Capaci e via D’Amelio, quelle cioè che hanno ucciso i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il verdetto del 21 ottobre, dunque, certifica il suo ruolo attivo nelle stragi. Al pari del sanguinario Totò Riina, Messina Denaro ha acconsentito al massacro dove hanno perso la vita oltreché la moglie di Falcone, Francesca Morvillo, anche gli agenti di scorta dei due magistrati: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Veneto di camorra
Eraclea è un comune che si affaccia sul golfo di Venezia. Era diventato la base logistica degli affari del clan, il cui capo, secondo gli investigatori, Luciano Donadio era riuscito, negli anni, a costruire un sistema di relazioni con imprenditoria, politica godendo del sostegno anche di alcuni infedeli esponenti delle forze dell’ordine. Un sistema criminale scoperto in un’inchiesta del 2019. Con il rito abbreviato l’11 novembre sono stati condannati a un totale di 130 anni di carcere 24 persone, tra queste l’ex sindaco Graziano Teseo, un avvocato e un poliziotto. Altri 46 hanno scelto il rito ordinario. I camorristi originari della Campania sono riusciti a godere del sostegno di imprenditori e politici locali, ma anche bancari e professionisti poi coinvolti nell’inchiesta. Gli interessi del clan erano legati al controllo dei locali, ai traffici di droga, prostituzione e al racket anche minacciando gli imprenditori con bombe e intimidazioni.
La sentenza tedesca che infanga la memoria
«A Salvatore, Falcone&Borsellino, Pizza-Pasta-Insalata» si legge sul sito di una pizzeria di Francoforte, e sulla homepage uno sfondo nero con un foro di proiettile. Per il tribunale di Francoforte sul Meno non c’è nulla di male: sono passati quasi trent’anni dalla loro scomparsa, e usarli per pubblicizzare la pizza non è lesivo della loro memoria, inoltre li conoscono solo «i criminologi». Questa in sintesi la sentenza depositata il 25 novembre che dà torto alla ricorrente, Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia nel 1992. Per i giudici tedeschi infine, nonostante sia l’unica erede, non ha diritto di contestare la pizzeria. Il ministro della giustizia Alfonso Bonafede ha deciso di ricorrere in giudizio «in Italia e in Germania», perché è «una grave e inaccettabile offesa».
Carminati non è mafia capitale
Nel 2019 la corte di Cassazione ha confermato che la banda di Massimo Carminati, detto il “Cecato”, non è mafia, ma un’associazione criminale semplice. La suprema corte ha rimandato il processo alla corte d’Appello per la determinazione delle pene. Il primo dicembre 2020 il procuratore generale ha chiesto 12 anni per Carminati e 10 anni per Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative, ritenuto il braccio economico del gruppo.
Aemilia
Il primo maxi processo contro la ’ndrangheta emiliana si è chiuso in appello il 17 dicembre. La sentenza della Corte d’appello ha confermato l’impianto accusatorio della procura antimafia di Bologna e le indagini iniziate quando alla guida dell’ufficio inquirente c’era l’esperto procuratore Roberto Alfonso, da poche settimane in pensione. I boss dell’organizzazione sono stati condannati per mafia. Gli uomini più fidati del capo Nicolino Grande Aracri, detto “Manuzza” o “Mano di gomma”, sono stati riconosciuti anche in secondo grado organizzatori e promotori delle attività del clan, trasferitosi nella pianura padana fin dagli anni Settanta.
Clan in Valle
Mancano pochi giorni a Natale. La notizia fa il giro del web e trova conferma negli atti depositati in un processo contro la ‘ndrangheta torinese: indagati per concorso esterno in associazione mafiosa due ex presidenti della Regione Valle d'Aosta, Renzo Testolin, attuale consigliere regionale dell'Union valdôtaine, e Laurent Viérin, con l'ex consigliere regionale Luca Bianchi. Un atto dovuto, da parte dell’antimafia di Torino, dopo la trasmissione degli atti della sentenza del processo Geenna da parte del Tribunale di Aosta, che segnala "indizi del reato" a loro carico. Non sono i soli, già l’anno precedente, sempre nello stesso periodo natalizio, altri politici valdostani erano finiti nelle inchieste su clan e politica.
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