Trentadue anni, portoghese di Vila Nova da Gaia, mago dell’informatica grazie a un percorso da autodidatta, Rui Pinto è l’inventore dell’operazione Football Leaks ma anche dei Luanda Leaks e dei Malta Files. Da sei mesi è sotto processo a Lisbona ma nel frattempo è diventato testimone sotto protezione
- Football Leaks, la più spettacolare operazione di divulgazione di documenti riservati mai avvenuta nel calcio, parte a ottobre 2015 da un blog aperto nella piattaforma Wordpress. In quella prima stagione vengono pubblicati i documenti segreti.
- Dal 2016 l’operazione viene coordinata da un consorzio di testate europee capeggiato dal settimanale tedesco Der Spiegel. Le rivelazioni colpiscono i giochi offshore di Cristiano Ronaldo, le irregolarità di Paris Saint Germain e Manchester City in materia di Fair Play Finanziario e il presdidente Fifa, Gianni infantino.
- Venerato dai giornalisti d’inchiesta e dalle tifoserie di tutta Europa, Rui Pinto non sa ancora se potrà avvalersi del profilo da whistleblower. Un caso che dovrà spingere a rivedere la legislazione in materia.
Il ragazzo è un tipo testardo. È minuto, ha un’aria mite, dimostra meno dei suoi 32 anni. A vederlo non si crederebbe che sia proprio lui il signor Rui Pedro Gonçalves Pinto. L’inventore dell’operazione Football Leaks, ma anche l’artefice di altre due vaste campagne di rivelazioni denominate Luanda Leaks e Malta Files. Da oltre cinque anni è nel cuore di una tempesta mediatica e giudiziaria. E da sei mesi si trova al centro di ciò che in Portogallo è stato enfaticamente etichettato come «il processo del secolo».
Nelle aule del Campus da Justiça di Lisbona, Rui Pinto siede in una veste ibrida. Formalmente imputato per 90 crimini che nella quasi totalità sono reati informatici, più un presunto tentativo di estorsione; ipotesi di reato, quest’ultima, che ha consentito alla giustizia portoghese di mantenerlo per un anno e mezzo in detenzione preventiva, come si trattasse di un criminale della peggior risma. Ma nei fatti il ragazzo, nel processo, ci è entrato da collaboratore della Procura generale e della Policia Judiciária, sottoposto a un programma per la protezione dei testimoni. Una condizione che ha fatto crescere la fibrillazione di quanti credevano di avere disinnescato il pericolo. E che invece adesso si ritrovano più che mai coinvolti. Tanto più che proprio nei giorni scorsi le rivelazioni sono ripartite, colpendo in modo particolare il Real Madrid. Ma chi è Rui Pinto? E cosa lo ha portato a essere il protagonista di un caso internazionale?
500mila bibbie
Rui Pinto nasce nel 1988 a Vila Nova da Gaia, città del distretto di Oporto che è anche la seconda più popolosa del Portogallo. Contrariamene a quanto si penserebbe guardando alle sue straordinarie abilità informatiche, il ragazzo compie studi universitari in Storia. Dapprima a Oporto, successivamente a Budapest dove si trasferisce a partire dal 2013 nel quadro di un programma di scambio studentesco. Continuerà a far base nella capitale ungherese fino al giorno degli arresti domiciliari, operati il 16 gennaio 2019 dalla polizia magiara in esecuzione di un ordine di cattura spiccato dalla magistratura portoghese, e alla successiva estradizione avvenuta nel mese di marzo 2019.
Quanto alle sue abilità informatiche, le sviluppa da autodidatta. E da grande appassionato di calcio (tifa per il Porto), disgustato dalla sua deriva turbo-finanziaria, prende a indagare sui retroscena che nessuno vuol raccontare. Grazie alla capacità di destreggiarsi nella rete si procaccia i documenti riservati riguardanti i soggetti che orchestrano l’economia parallela del calcio globale: i club innanzitutto, ma anche le società degli agenti, gli studi legali che montano gli schemi dell’economia offshore, le banche che entrano nel business in modo promiscuo, e soprattutto i fondi d’investimento che colonizzano l’affare dei diritti economici dei calciatori attraverso le formule di Tpo (Third party ownership).
Quando il lavoro di collezione cominci e fin dove si spinga, non è dato sapere con precisione. Di sicuro, le cifre divulgate a proposito del materiale raccolto sono impressionanti. Quando a dicembre 2016 l’operazione Football Leaks entra in una seconda fase, si parla di 1,9 terabyte di materiale, con stima approssimativa di 18,6 milioni di documenti. C’è chi azzarda un paragone per fare intendere quale sia la mole e dice che il materiale raccolto da Rui Pinto in versione digitale equivalga a 500mila esemplari della Bibbia. Ma già a novembre 2018 le cifre si spostano nettamente al rialzo, poiché circola una stima di 3,4 terabyte e oltre 70 milioni di documenti.
C’era una volta un blog
Proprio la mole di documenti convince Rui Pinto a cambiare passo nell’operazione. Quando i primi documenti vengono fatti circolare, a ottobre 2015, l’operazione viene condotta attraverso un blog aperto nella piattaforma Wordpress e denominato Football Leaks, con sottotitolo “Football and TPO whistleblowing”. Viene usato un server russo per renderne difficile la censurabilità. Per chi volesse andare a dargli una sbirciata, quel blog è ancora esistente ma ormai ridotto a guscio vuoto. Tutti i documenti caricati tra ottobre 2015 e aprile 2016 sono stati rimossi.
I primi a essere stati pubblicati riguardano lo Sporting Portugal, una delle tre grandi del portoghese. Tanto che sulle prime pare un’operazione disegnata per screditare la società leonina. Ma basta una manciata di giorni per rendere chiaro che non si tratti di una congiura contro lo Sporting, né di azione limitata al microcosmo del calcio portoghese. E a dare un segno chiaro del cambiamento di prospettiva è la condotta tenuta da Bruno de Carvalho (BdC), presidente dello Sporting nei giorni in cui vengono diffusi i primi leak. In quel momento BdC non esita a muovere gli avvocati per denunciare l’operazione e i suoi anonimi autori (nessuno immagina allora che dietro essa vi sia una sola persona). Ma poi, quando nelle settimane scorse è stato chiamato a testimoniare durante il processo presso il Campus da Justiça, l’ormai ex presidente ha affermato di essersi completamente ricreduto nei confronti di Rui Pinto e dell’operazione Football Leaks. Quando ciò avviene, Football Leaks è già diventata da tempo un’altra cosa.
Il consorzio europeo
A aprile 2016 i fedelissimi di Football Leaks, quelli che ogni mattina prima di colazione aprono il blog e scaricano immediatamente i documenti nel timore vengano rimossi, trovano un messaggio che dà l’idea di una fine dell’operazione. Il testo parla di un momentaneo congedo, della durata di almeno sei mesi. Vi si fa riferimento alla crescente ingestibilità del materiale raccolto e della sua mole, si aggiunge che la forma del blog sulla piattaforma Wordpress non è più praticabile.
Si avverte anche una nota di stanchezza per i molteplici attacchi di cui Football Leaks è fatta oggetto. Il punto massimo si registra a fine ottobre 2015. Dal fondo Doyen Sports Investments, uno dei soggetti più oscuri nel mondo delle Tpo e per questo fra i maggiormente colpiti dai leak, viene denunciato un tentativo di estorsione condotto da un individuo che afferma di chiamarsi Artem Lobuzov e di parlare a nome di Football Leaks. La vicenda è opaca. In seguito Rui Pinto dichiarerà che dietro il nome Artem Lobuzov si celasse lui, e che avesse soltanto provato a vedere fino a che punto Doyen fosse disposta a spingersi per salvaguardare i propri affari. L’atto di estorsione non si compierà mai, ma basta il confuso tentativo per consentire a Doyen di denunciare e alla magistratura portoghese di tenere Rui Pinto in regime di carcerazione preventiva fino a agosto 2020. Poi le cose cambiano. Arriva dapprima, a aprile 2020, il passaggio al regime di arresti domiciliari, quindi ad agosto 2020 la definitiva restituzione della libertà dopo quasi 19 mesi di limitazione della libertà.
Al raggiungimento dell’esito provvede una vasta mobilitazione di opinione pubblica nazionale e internazionale, che vede schierate in prima linea anche le tifoserie di tutta Europa e l’ex europarlamentare socialista Ana Gomes, giunta seconda lo scorso gennaio alle elezioni presidenziali che hanno confermato nella carica il moderato Marcelo Rebelo de Sousa. Ma contribuisce soprattutto la vasta eco suscitata dalla seconda ondata di Football Leaks.
Che riparte con modalità completamente diversa. Adesso a orchestrare la pubblicazione dei documenti è un consorzio di testate denominato European Investigative Collaborations (Eic), capeggiato dal settimanale tedesco Der Spiegel.
La nuova ondata produce vittime eccellenti.
A partire da Cristiano Ronaldo, che a causa degli schemi offshore costruiti per deviare altrove i guadagni da diritti d’immagine è costretto a patteggiare col fisco spagnolo una multa da 18,8 milioni di euro e 23 mesi di carcere con la condizionale (quest’ultima sanzione verrà convertita in multa da 300mila euro).
Non è questo il solo caso eclatante rivelato dalla nuova ondata di Football Leaks.
Clamorose sono anche la vicenda relativa alle violazioni del Fair Play Finanziario Uefa commesse da Paris Saint Germain e Manchester City, e quella dei rapporti troppo stretti fa il presidente Fifa, Gianni Infantino, e l’ex procuratore generale svizzero Michael Lauber.
Non soltanto Football Leaks. Le rivelazioni di Rui Pinto permettono di aprire il dossier dei Luanda Leaks, ossia il saccheggio cui l’Angola si è vista assoggettare dalla famiglia dell’ex presidente-autocrate José Eduardo dos Santos. La figura chiave dei Luanda Leaks è Isabel dos Santos, figlia prediletta dell’ex presidente nonché donna più ricca d’Africa nel momento del suo massimo potere. Adesso Isabel dos Santos se ne sta rifugiata a Dubai e da lì capita pure che accenda polemiche con Rui Pinto via Twitter. Al creatore di Football Leaks vengono accreditati anche i Malta Files.
E tuttavia, nonostante un contributo così vasto alla rivelazione di verità, bisogna superare difficoltà non indifferenti per riconoscere lo status di whistleblower al ragazzo di Vila Nova da Gaia. Motivo: non è mai stato una voce interna a nessuna delle organizzazioni di cui ha svelato i segreti.
È anche per via del suo caso che da più parti si leva l’appello a ridisegnare il profilo del denunciante cui garantire tutela. E se la cosa andasse come auspicato, per Rui Pinto sarebbe un’altra battaglia vinta.
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