- Esce di scena il cardinale Ladaria, gesuita fedele a Bergoglio ma conservatore cresciuto sotto l’ala di Ratzinger.
- Fernandez, il nuovo prefetto, amico personale di Francesco, è visto come il fumo negli occhi dagli oppositori più severi del papa; la sua nomina arriva a ridosso della fase finale del sinodo della Chiesa che sta affrontando molti temi caldi.
- La sfida per Fernandez sarà anche quella di misurarsi con gli equilibri interni al Vaticano,
«In questo Te Deum ecumenico e interreligioso, con sorelle e fratelli di diverse chiese e comunità religiose, siamo riuniti per ringraziare Dio per i 40 anni di recupero della democrazia. Sono 40 anni di democrazia ininterrotta, cosa che per l'America Latina non è poco… D'altronde lo diamo per scontato, come se non fosse possibile tornare indietro e perderla di nuovo. … Ecco perché è necessario ripetere con la stessa forza quel "Mai più!"».
Era il 25 maggio scorso, quando l’arcivescovo di La Plata, Victor Manuel Fernandez, celebrava il “Te Deum”, tradizionale ricorrenza dell’indipendenza dell’Argentina dalla Spagna; poche settimane dopo Fernandez, 61 anni, amico e teologo di fiducia di papa Francesco, veniva nominato a guidare il Dicastero per la dottrina della fede, l’ex Sant’Uffizio, un tempo ormai lontano noto come Santa inquisizione.
La celebrazione del “Te Deum” nasce in ambito cattolico, ma da qualche tempo nella diocesi di La Plata, è accaduto qualcosa di diverso fino, appunto, al 25 maggio scorso quando alla cerimonia hanno preso parte esponenti della chiesa metodista, della chiesa siro-ortodossa di Antiochia, rappresentanti dei Sikh e della chiesa dei santi degli ultimi giorni; mentre al termine della celebrazione, il pastore Juan Zuccarelli, presidente della Federazione dei pastori evangelici della provincia di Buenos Aires, ha pregato per la Patria.
Non è più tempo di eretici e di eresie, evidentemente, come ha fatto capire anche il papa nella lettera indirizzata al nuovo prefetto del Dicastero per la dottrina della fede: «Il Dicastero che lei presiederà – ha scritto Francesco - in altri tempi è arrivato a usare metodi immorali.
Erano tempi in cui, anziché promuovere la conoscenza teologica, si perseguivano possibili errori dottrinali. Quello che mi aspetto da lei è certamente qualcosa di molto diverso». Importante, infine, nelle parole di Fernandez al “Te Deum”, anche quel riferimento al “Mai più!”, che fu anche il titolo dello storico rapporto conclusivo redatto dalla Conadep (Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas) sui crimini commessi durante gli anni della dittatura argentina.
Si tenga anche presente che proprio nelle settimane scorse, la conferenza episcopale argentina ha pubblicato un poderoso studio in tre volumi, sul comportamento sul ruolo della chiesa negli anni delle giunte militari e delle violenze che hanno scosso il paese dagli anni ’60 agli anni ’80 del secolo scorso.
Un altro argentino
Ma certo Fernandez in Vaticano dovrà occuparsi di altro. Considerato un esponente di punta dell’ala riformatrice dell’episcopato, teologo e studioso appassionato, definito il ghost writer di Francesco, dal 2009 al 2018 è stato rettore della Pontificia universidad católica argentina, la sua nomina arriva a ridosso della fase finale di un sinodo generale della Chiesa che ha squadernato tutti i temi critici e controversi che spesso interessano la dottrina.
Riuscirà il nuovo prefetto a muoversi con la necessaria attenzione nei corridoi vaticani e a mediare fra le diverse anime che percorrono ormai a briglia sciolta la chiesa? Come si misurerà con quel cattolicesimo tedesco che ha aperto un cammino di riforma?
Di certo, negli ambienti più conservatori e tradizionalisti la sua nomina è stata accolta con toni apocalittici, quasi una rassegnata marcia funebre sulla fine della vera fede. Staremo a vedere. Nel frattempo esce di scena il card. Luis Ladaria, 79 anni, spagnolo, gesuita che prese il posto nel 2017 del ratzingeriano tutto d’un pezzo, Ludwig Gerhard Müller, tuttora fra critici più accesi di Bergoglio.
Gesuita conservatore
Per la verità lo stesso Ladaria ha fatto carriera in Vaticano con Joseph Ratzinger; conservatore ma senza eccedere nei toni, il suo ruolo è stato quello di traghettare il dicastero che più di ogni altro ha rappresentato una visione ecclesiale fortemente tradizionalista e a tratti oscurantista, verso un’epoca differente. In questa navigazione il gesuita spagnolo ha però continuato a tenere chiuse il più possibile tutte le porte. Ha detto no al diaconato femminile, no alla benedizione delle coppie omosessuali, no alla possibilità dell’intercomunione fa cattolici e protestanti chiesta dai vescovi tedeschi.
Ha dovuto gestire il nodo drammatico degli abusi sessuali in anni in cui lo scandalo è dilagato: qui, da una parte ha dato seguito alle indicazioni del papa fornendo vademecum e documenti aggiornati alle conferenze episcopali, tuttavia sul versante dei procedimenti concreti, la gestione Ladaria è stata caratterizzata dalla tradizionale assenza di trasparenza, una riservatezza costruita formalmente per tutelare accusati e vittime, e che però è sembrata sconfinare spesso nella classica opacità.
Da ultimo, nel maggio scorso, ha difeso a spada tratta l’enciclica di Paolo Vi “Humana vitae” (1968) spiegando che si tratta di un testo profetico perché si oppone all’antropologia della contraccezione da cui è derivata una disumanizzazione della sessualità.
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