- Dopo circa tre settimane dal decreto-legge che ha previsto l’obbligo di “green pass” per l’accesso all’interno dei ristoranti e dopo 9 giorni dall’effettiva operatività dell’obbligo stesso, con una FAQ il Governo ha chiarito che il pass serve anche nelle mense aziendali.
- Il quadro delle regole vigenti portava a una conclusione diversa da quella della FAQ, e ciò aveva trovato conferma in una serie di atti, da una nota del Viminale a una della Regione Piemonte, che confermavano l’esclusione della certificazione verde nelle mense aziendali.
- Il contenuto della FAQ solleva problemi circa la disciplina dei locali ove i dipendenti consumano il pasto portato da casa o acquistato presso distributori automatici. Inoltre, sarà difficile che il datore di lavoro non tragga conclusioni circa lo stato vaccinale dei dipendenti, vedendo chi è escluso dalla mensa.
Dopo circa tre settimane dall’emanazione del decreto-legge (n. 105) che ha previsto l’obbligo di “green pass” per l’accesso, tra l’altro, all’interno dei ristoranti e dopo 9 giorni dall’effettiva operatività dell’obbligo stesso (6 agosto), con una FAQ (Frequently Asked Question) il Governo ha sciolto i dubbi circa la necessità del pass anche nelle mense aziendali.
Non sono bastati un decreto del presidente del Consiglio (Dpcm 17 giugno), un decreto del governo (23 luglio) e due atti del ministero dell’Interno (24 aprile e 10 agosto) per disciplinare l’uso delle certificazioni verdi in una serie di luoghi e attività.
È servita una FAQ, cioè una delle domande pubblicate a fini di chiarimento sul sito istituzionale di Palazzo Chigi, per dirimere la questione. «Per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde COVID-19, analogamente a quanto avviene nei ristoranti. A tal fine, i gestori dei predetti servizi sono tenuti a verificare le certificazioni verdi COVID-19 con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021».
Ancora una volta, come spesso accaduto dall’inizio della pandemia, una FAQ è stata resa impropriamente “fonte del diritto”, per correggere il tiro circa un particolare profilo normativo. Infatti, una ricognizione del sistema delle regole in materia di ristorazione portava a un risultato diverso.
Le norme sul “green pass” a mensa
Come spiegato in un articolo precedente, il decreto-legge di fine luglio, che prevede l’obbligo di “green pass” per l’accesso ai servizi di ristorazione al chiuso, fa riferimento espresso a un decreto-legge di aprile (n. 52) il quale, a propria volta, richiama un Dpcm del 2 marzo scorso secondo cui «le attività delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro», non sono soggette alle limitazioni previste per la ristorazione ordinaria e proseguono nel rispetto di protocolli e linee guida.
Dunque, la ricognizione del puzzle normativo portava alla conclusione secondo cui la disciplina per i due tipi di ristorazione – commerciale e aziendale - fosse diversa. Tale conclusione trovava riscontro anche nella nota (prot. n. 4073) con cui il ministero dell’Interno, il 5 agosto scorso, nel fornire indicazioni riguardanti «l’accesso del personale dipendente alle mense di servizio, alle attività di bar/ristorazione, nonché ai circoli ricreativi», disponeva che «le attività connesse con la fruizione del vitto sono consentite a tutto il personale, fermo restando il rispetto dei protocolli o delle linee guida dirette a prevenire o contenere il contagio». Dunque, il “green pass” non serviva.
Invece - diceva la nota - per l’entrata alla mensa «di persone esterne/ospiti si avrà cura di far rispettare le disposizioni (…) in merito al possesso delle certificazioni verdi Covid-19», confermando così che queste ultime non erano richieste per l’accesso dei dipendenti.
Del resto, la mensa rientra tra i servizi che si svolgono in azienda, riguardo a cui il datore di lavoro assolve ai propri obblighi con l’osservanza - oltre che del Testo Unico Salute e Sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/2008) e di specifiche normative - del protocollo di regolamentazione delle misure di contrasto e contenimento del Covid-19, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra governo e parti sociali e aggiornato il 6 aprile 2021. Tant’è che la responsabilità del datore per contagi in azienda è esclusa legislativamente qualora egli rispetti le discipline citate (l. n. 40/2020, art. 29-bis).
La conclusione esposta trovava conferma anche nel parallelismo con la normativa vigente per gli hotel: si tratta di luoghi ove si accede senza “green pass”, come le aziende, e conseguentemente quest’ultimo non è richiesto nemmeno per entrare nei ristoranti interni.
I problemi sollevati dalla FAQ
Poi, nella serata del 14 agosto, è arrivata la FAQ riportata. E, conseguentemente, il ministero dell’Interno (Segreteria del Dipartimento della Pubblica Sicurezza) ha frettolosamente modificato la propria nota di dieci giorni prima, facendo un rapido dietro-front e disponendo - «sulla base delle indicazioni fornite dal ministero della Salute» - l’obbligo di “green pass” «per il consumo del pasto all’interno delle mense di servizio».
Ancora una volta, dunque, una FAQ è prevalsa sul quadro normativo esistente. Le mense aziendali sono state così equiparate ai ristoranti ai fini dell’obbligo di certificazione verde. Un chiarimento di portata tale da scombinare l’interpretazione fornita, a vari livelli, delle regole vigenti, arrivato diversi giorni dopo l’operatività del pass, non solo lascia perplessi, ma solleva una serie di problemi ulteriori.
Come dev’essere disciplinata la consumazione del pasto qualora avvenga nei cosiddetti locali refettorio, che talora le aziende mettono a disposizione dei lavoratori per mangiare cibi portati da casa? E gli spazi interni con distributori automatici di snack e bevande, a volte provvisti anche di posti a sedere? Entrambi i luoghi citati sembrerebbero esclusi dalla FAQ, che parla espressamente solo di locali dove si svolgono “servizi di ristorazione”.
Tuttavia, si ha notizia che alcuni datori di lavoro, dando un’interpretazione estensiva – e cautelativa - a tale FAQ, stanno disponendo l’obbligo di “green pass” anche per accedere a locali, diversi dalla mensa, ove i dipendenti fruiscono di sedie, tavoli e suppellettili forniti dall’azienda per consumare un pasto. In questi casi, però, tale obbligo resterebbe sprovvisto di controlli: come chiarito dal Garante Privacy, il datore di lavoro non può raccogliere «informazioni in merito a tutti gli aspetti relativi alla vaccinazione, ivi compresa (...) la avvenuta somministrazione (o meno) del vaccino, e ad altri dati relativi alle condizioni di salute del lavoratore».
Invece, in aziende ove si sta lasciando che i dipendenti senza pass si arrangino per il proprio vitto, vi sono iniziative sindacali tese a chiedere che pure chi non può accedere alla mensa abbia la possibilità di mangiare in locali ove siano assicurate condizioni di sicurezza e di dignità nella consumazione del pasto. Insomma, la FAQ ha creato un gran pasticcio.
La soluzione indicata dal governo – “green pass” non richiesto per entrare in azienda, ma obbligatorio per accedere alla mensa interna – pone anche un altro problema, rilevato in articoli precedenti. Con la mensa sita nella sede aziendale è difficile che il datore di lavoro – che, come detto, non può essere informato sulla situazione vaccinale e, in generale, di salute del dipendente - non venga a conoscenza di quali lavoratori sono ammessi e quali sono esclusi, a seguito dei controlli da parte del gestore del servizio di ristorazione. Peraltro, si suppone che, con l’obbligo di “green pass”, la mensa sarebbe frequentata solo da chi è vaccinato o guarito da Covid-19, poiché il costo di un tampone ogni 48 ore, in alternativa alla vaccinazione, renderebbe economicamente oneroso l’accesso per gli altri. E questa sarebbe un’indicazione per il datore di lavoro su chi è vaccinato o guarito e chi no.
Da molti mesi la pandemia porta a soluzioni discutibili sul piano giuridico. L’emergenza sanitaria si concluderà, forse, il prossimo 31 dicembre. Quella del diritto, invece, non si sa.
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