«Il confronto tra uomini è fondamentale, perché possono riconoscere nell’altro, i comportamenti che loro stessi mettono in atto» dice Alessandra Pauncz, presidente di Cam, il Centro uomini maltrattanti. Negli ultimi due anni 250 soggetti sono stati rieducati nella gestione delle loro emozioni
Esiste una struttura che prova a interrompere la meccanica dell’odio contro le donne. Il Centro Uomini Maltrattanti (Cam) nasce nel 2008 e si costituisce come associazione nel 2019. L’obiettivo è quello di rieducare gli uomini autori di violenza, attraverso un percorso di assunzione di responsabilità e consapevolezza. Secondo i dati Istat nove donne su dieci subiscono maltrattamenti. Molti di questi rimangono spesso nascosti tra le mura di casa. «Il Cam nasce per chi si rende conto di avere un problema e vuole essere aiutato» afferma Alessandra Pauncz, la presidente. Il centro conta in tutto 4 sedi: a Firenze, Ferrara, Nord Sardegna, e Cremona. «La maggior parte degli uomini è motivato dal desiderio di cambiare e diventare un buon partner o un genitore migliore» afferma Pauncz. Circa un terzo degli uomini è arrivato volontariamente, mentre la maggior parte attraverso delle prescrizioni rilasciate dal tribunale o dagli assistenti sociali, altri ancora vengono indirizzati dalle stesse partner.
Il percorso Cam
Negli ultimi due anni il bilancio è stato di 250 uomini, che ogni anno hanno fatto visita al centro per uomini maltrattanti. Alcuni di loro sono arrivati al Cam e poi hanno improvvisamente cambiato idea: «Uomini che arrivano e dicono “questo non è per me, io non sono violento” ci capitano spesso» dice Pauncz. L’età media di chi si rivolge al Cam è di 45 anni. I reati per cui arrivano al centro, sono maltrattamenti in famiglia e violenze sia fisiche che psicologiche. La maggior parte sono lavoratori a tempo pieno e appartenenti a una fascia di reddito medio-basso. Inoltre, molti di loro hanno anche dei figli. Il percorso è strutturato attraverso un programma che prevede un incontro di 1 ora e mezza, una volta a settimana. Negli incontri si affrontano diversi argomenti. «C’è una sessione sulla definizione della violenza, una in cui si parla degli effetti sulla vittima, una in cui si vede un film, una in cui si parla delle emozioni» afferma la Presidente. Il momento più importante del percorso è il confronto degli uomini tra di loro: «È fondamentale, perché possono riconoscere nell’altro, i comportamenti che loro stessi mettono in atto» afferma Pauncz.
Quali le cause della violenza?
In base all’Impact Report del centro uomini maltrattanti, i soggetti erano consapevoli delle motivazioni della loro condotta violenta già prima di iniziare il programma. Tra le motivazioni principali 29 uomini su 65 affermano di essere stati violenti «perché si sentivano insicuri». In base al numero di uomini analizzato, 18 hanno usato violenza per obbligare la compagna a fare una determinata cosa. Tra le altre motivazioni emergono la mancanza di fiducia dell’uomo nei confronti della donna, la gelosia e la possessività. Altri ancora si sentivano legittimati ad usare la violenza «perché lei mi permetteva di percepire il controllo» oppure perché «rideva di me».
Dai dati emerge quindi un dato: l’uomo tende a dare la colpa a qualcuno o qualcos’altro per gli abusi commessi. «I meccanismi della violenza sono sempre i soliti: vittimizzazione, negazione, attribuzione della responsabilità all’altra persona», afferma Pauncz, «sono uomini che pensano: “se qualcosa mi ferisce, è colpa tua, lo fai apposta, sono io la vittima, mi devo difendere”, e utilizzano la violenza per controllare il comportamento e l’espressione dell’altro» afferma la Presidente. Secondo Pauncz, alla base c’è soprattutto «una cultura del privilegio, per cui agli uomini è dovuta la cura affettiva delle donne, e se queste non assolvono a questo dovere ne soffrono poi le conseguenze».
Anziani e violenza domestica
«La maggior parte degli anziani ha dei modelli di coppia molto tradizionali» afferma Pauncz «un pensionato per esempio è venuto da noi su consiglio del suo medico che conosceva sia lui che sua moglie». Una sfida molto difficile da affrontare per gli operatori del Cam. «Nonostante tutto però, hanno messo in discussione non solo loro stessi ma anche i modelli che avevano appreso», afferma Pauncz, «alla fine, il forte affetto che nutrivano per le loro compagne superava le ragioni che li portavano ad avere delle reazioni violente». Per una donna anziana uscire dalla violenza è molto più complesso rispetto a una più giovane. Per l’anziana significa intraprendere un nuovo percorso di vita, «come per esempio lasciare la propria casa: una scelta che molte non vogliono prendere» conclude Pauncz.
Come finisce?
Ma quali sono stati i progressi a conclusione del percorso? In base all’Impact Report gli esiti del programma sono stati positivi. La violenza fisica nei confronti della partner è stata quasi del tutto azzerata e si è riscontrata una riduzione della violenza psicologica. Tra l’inizio e la fine del programma, si registra anche una diminuzione significativa del numero di chiamate alle forze dell’ordine. Dopo un anno di percorso, 34 donne su 43 affermano che il partner ha smesso di agire con violenza, 9 che nulla è cambiato e 3 di loro hanno deciso di non chiudere la relazione.
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