Il responsabile della vaccinazione nell’ospedale di Orbassano spiega che non ci sono ritardi, ma che gestire appuntamenti e certificati è più impegnativo delle iniezioni
- L’ospedale universitario di Orbassano è uno dei primi ad aver iniziato le vaccinazioni e metà del suo personale è già stato vaccinato.
- Nella sala convegni, il dottor Gallone e i suoi collaboratori fanno iniezioni a quattro persone ogni otto minuti.
- Gallone spera che nella seconda fase, quella della vaccinazione di massa, gli ospedali saranno tenuti fuori «altrimenti non recupereremo mai i ritardi accumulati nelle prestazioni a causa del Covid».
Da pochi giorni, in Italia è iniziata quella che viene definita la “prima fase” del piano vaccinale anti Covid-19, quella in cui a ricevere il vaccino saranno medici, infermieri e operatori sanitari, oltre agli ospiti e ai dipendenti delle Rsa.
L’azienda ospedaliera universitaria San Luigi di Orbassano, in Piemonte, è una delle prime ad aver iniziato il programma (e il piemonte è una delle regioni che hanno vaccinato di più). Il dottor Gabriele Gallone, che coordina le vaccinazioni dell’ospedale ed è responsabile organizzativo del sindacato dei medici dirigenti Anaao, spiega come si sta svolgendo questa prima fase e quali sono le difficoltà che potrebbero emergere nelle prossime settimane.
Quando sono cominciate le vaccinazioni nella vostra struttura?
Sono cominciate il 31 dicembre. In tutto, dovremo vaccinare circa 1.800 dipendenti dell’azienda e il personale esterno che lavora nell’ospedale: addetti alle pulizie, alla mensa, alla lavanderia. Anche se non sono strettamente dipendenti, il nostro obiettivo è comunque essere un ospedale “Covid free”. Poi, visto che siamo un ospedale universitario, dobbiamo vaccinare anche studenti dei corsi di medicina e infermieristica. In tutto potremmo arrivare fino a duemila, forse duemila e duecento vaccinazioni.
Come vi siete organizzati?
Abbiamo creato un sistema sul web nel quale i dipendenti possono accedere e scegliere l’orario di vaccinazione, con una certa flessibilità, e il giorno, nell’ambito dei sette giorni in cui intendiamo procedere con il piano. Il sistema è del tutto automatico. Quando arriva il giorno e l’ora, la persona si presenta nella sala convegni dell’ospedale dove abbiamo sistemato quattro poltrone per le vaccinazioni. Siamo quattro vaccinatori, più io che mi occupo di coordinare e due amministrativi. I nostri tempi sono quattro persone vaccinate ogni otto minuti. Dopo la vaccinazione, le persone vengono tenute sotto osservazione per un quarto d’ora, così possiamo assicurarci che non abbiano immediate reazioni allergiche. A quel punto, consegniamo loro un certificato vaccinale e gli diamo un appuntamento per la seconda dose dopo 21 giorni. Siamo molto rigidi sull’assegnare questo appuntamento. Trattare per trovare il giorno migliore per tutti si può fare se devi vaccinare trenta persone, ma se ne devi vaccinare 1.800, lei capisce, è un altro discorso…
E qual è stata la risposta del personale?
Abbiamo percentuale di adesione del 70 per cento, ma io ritengo che dopo che avremo vaccinato una buona parte dei dipendenti anche altri si aggiungeranno. Sono quelli che io chiamo gli “attendisti”.
Chi si occupa di vaccinare gli ospiti delle Rsa?
Sul territorio sono le Asl ad occuparsi del vaccino. Sono loro a trattare Rsa, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e di tutto il resto della medicina del territorio.
Avete ricevuto indicazioni su come comportarvi con le dosi che avete ricevuto?
Ci è stata prospettata l’ipotesi di creare una riserva per essere sicuri di avere abbastanza vaccini per somministrare la seconda dose. Noi al momento dobbiamo ancora vaccinare circa metà del personale e decideremo in questi giorni se continuare a questi ritmi di vaccinazione o rallentare in attesa della prossima consegna, che dovrebbe ammontare a 960 dosi. Probabilmente però decideremo di andare ad esaurimento perché siamo abbastanza sicuri che entro 21 giorni, quando dovremo fare il richiamo, riceveremo un nuovo carico. Diciamo che un’aziende che deve fare molte più vaccinazioni di noi, ad esempio perché si occupa anche di vaccinazioni sul territorio, nelle Rsa, tra i medici di medicina generale, probabilmente farebbe meglio ad adottare qualche cautela in più rispetto a noi.
Vi aspettate di essere coinvolti anche nella seconda fase del piano vaccinale, quella che riguarderà la popolazione generale?
Io spero vivamente che l’ospedale non sia coinvolto nella vaccinazione di massa. Abbiamo già accumulato enormi ritardi nell’erogazione di tutte le prestazioni a causa del Covid e se dovessimo anche gestire la campagna di vaccinazione non recupereremo più. Anche perché noi siamo già molto tirati come personale, insomma non sarebbe possibile.
Qual è l'aspetto più problematico che avete individuato?
Noi siamo stati tra i primi a iniziare e quello che abbiamo scoperto è che ciò che porta via più tempo non è la vaccinazione in sé, l’iniezione dura pochi minuti, ma tutto il lato organizzativo e burocratico che ci sta intorno. Preparare e gestire la piattaforma per le prenotazioni, dare gli appuntamenti, fornire le certificazioni, organizzare i richiami. Io spero che chi ha preparato il piano di vaccinazione abbia previsto abbastanza risorse anche per questo.
La sua impressione è che in questi primi giorni le vaccinazioni procedano lentamente?
A livello europeo dopo la Germania e la Danimarca ci siamo noi. La polemica forse andrebbe spostata oltralpe, dove i nostri cugini francesi sono stati impressionanti per l’inefficienza. Praticamente, in tre giorni in tutta la Francia hanno fatto 300 vaccinazioni, quante noi in ospedale in un solo giorno. L’errore è stato decidere di vaccinare prima gli anziani. Ma vaccinare nelle Rsa può essere problematico, come stiamo scoprendo anche in Italia. Perché ci sono molte persone non in grado di intendere e di volere senza parenti facilmente rintracciabili. A chi si chiede il consenso in quei casi? Ora i francesi stanno pensando di tornare all’idea di vaccinare prima gli operatori sanitari. Per il resto, io posso parlare del nostro ospedale, è vero che c’è qualche differenza tra regione e regione. I numeri molto bassi della Lombardia, ad esempio, sono sorprendenti. Ma nonostante ferie e altri problemi, siamo comunque tra i primi in Europa.
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