Stiamo distribuendo le dosi di vaccino alla stessa velocità dei nostri vicini europei, ma il timore delle regioni di trovarsi in fondo alla classifica ha spinto a gonfiare i numeri invece che raggiungere i più bisognosi
- Con circa il 75 per cento delle dosi somministrate sul totale di quelle distribuite, l’Italia è in linea con gli altri grandi paesi europei per quanto riguarda la velocità di vaccinazione.
- Ma nel nostro paese gli anziani vaccinati sono ancora una percentuale più bassa di molti altri paesi, nonostante siano quelli che ne hanno più bisogno.
- Il problema è che per vaccinare rapidamente, molte regioni continuano a distribuire i vaccini a categorie non prioritarie, sfruttando un piano vaccinale non abbastanza stringente.
Il problema del piano vaccinale anti Covid-19 italiano non è una questione di quantità, ma di qualità. Vacciniamo alla stessa velocità dei nostri vicini europei, ma non stiamo vaccinando le stesse persone. I dati mostrano che a volte vacciniamo chi è più facile da raggiungere rispetto a chi ne ha più bisogno.
Le somministrazioni
Con circa il 75 per cento delle dosi somministrate sul totale di quelle consegnate, l’Italia è vicina alla media europea ed è praticamente appaiata a Francia e Germania. Ma nelle vaccinazioni agli over 80, il gruppo più fragile e che avrebbe maggiore bisogno del vaccino, il nostro paese si trova nella parte bassa delle classifica, con il 45 per cento degli appartenenti alla categoria che ha ricevuto almeno una dose di vaccino, un dato vicino a quello francese, ma più di dieci punti dietro alla Germania. Il divario si allarga ulteriormente se si guarda a quanti over 80 hanno ricevuto la seconda dose e se guardiamo quanti sono i vaccinati nella fascia 70-79.
Non è una situazione uniforme nel nostro paese. Alcune regioni, come Lazio ed Emilia-Romagna, con più di metà degli over 80 vaccinati, hanno numeri simili alla Germania. Altre sono molto indietro. La Toscana ad esempio è ancora ferma a circa il 30 per cento degli anziani vaccinati.
Questi divari sono frutto di un piano vaccinale nazionale che lascia ampia libertà alle regioni di organizzarsi come preferiscono. Sta a loro scegliere i luoghi dove vaccinare e le persone incaricate delle somministrazioni. E di fatto spetta a loro anche la scelta di chi vaccinare.
Le indicazioni del piano vaccinale, infatti, sono piuttosto vaghe e non c’è alcune meccanismo per farle rispettare. La prima versione del piano, ad esempio, conteneva pochissime righe e una descrizione molto vaga dell’ordine di priorità con cui le regioni avrebbero dovuto procedere alle somministrazioni. A febbraio e marzo sono stati pubblicati due aggiornamenti che hanno definito meglio alcune categorie, ma continua a mancare non solo un meccanismo per sanzionare le regioni che non rispettano questi elenchi prioritari, ma una struttura incaricata di monitorare cosa le regioni stiano facendo con le indicazioni del piano.
Le conseguenze
Le regioni hanno sfruttato in modo più o meno virtuoso questa libertà. Quando Aifa ha autorizzato il vaccino AstraZeneca soltanto per chi aveva meno di 65 anni, obbligando così le regioni a “saltare” l’ordine di priorità e iniziare a vaccinare i più “giovani”, la regione Lazio ha deciso di dare il vaccino ai medici di medicina generale dando indicazioni di distribuirlo ai loro pazienti 65enni, per poi passare ai 64enni e così via.
La Campania, invece, ha preferito utilizzare un sistema di categorie, coinvolgendo tra gli altri avvocati, magistrati e giornalisti di ogni età. Quando l’8 marzo Aifa ha autorizzato AstraZeneca per tutta la popolazione (eccettuate le categorie più fragili), il Lazio ha immediatamente sospeso la distribuzione alle categorie non prioritarie, mentre molte altre regioni proseguono ancora oggi a vaccinare, ad esempio, insegnanti di ogni età e appartenenti ad altre categorie.
La Campania ha annunciato lo stop alle vaccinazioni delle categorie professionali non prioritarie, come magistrati e giornalisti, soltanto pochi giorni fa.
La competizione
Numerosi medici e dirigenti sanitari coinvolti nel piano vaccinale hanno detto a Domani che una delle ragioni di questa situazione è la feroce competizione che si è instaurata tra le regioni, nessuna delle quali vuole apparire in fondo alle classifiche di somministrazione dei vaccini. Pur di restare alti nella classifica viene spesso deciso di vaccinare chiunque è a disposizione nel più breve tempo possibile, piuttosto che rallentare la somministrazione occupandosi degli anziani, che spesso sono anche i più difficili da raggiungere.
Alcune regioni, ad esempio, hanno distribuito una percentuale altissima di vaccini al cosiddetto “personale non sanitario”, una categoria che comprende soprattutto gli impiegati amministrativi degli ospedali, ma che è diventata una sorta di “pigliatutto”.
Le regioni che hanno vaccinato meno anziani sono allo stesso tempo quelle che hanno vaccinato più “personale non sanitario”, e viceversa. Il Piemonte, che ha vaccinato un numero record di over 80, in percentuale ha vaccinato un terzo del “personale non sanitario” della Campania, la metà della Sicilia e poco più di metà della Toscana.
La situazione, mostrano i dati, è migliorata nelle ultime settimane e dalla fine di febbraio abbiamo recuperato una buona parte della distanza che ci separava dagli altri paesi, almeno per quanto riguarda il numero di anziani che hanno ricevuto la prima dose.
Governo e regioni potranno fare ancora meglio nelle prossime settimane, ma nel pieno della terza ondata, ogni ulteriore ritardo significa altri decessi che si potevano evitare.
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