Edirne (Turchia)–Salonicco, 600-800 euro. Il fiume Evros da guadare in zattera o a nuoto e venti giorni a piedi, tra  boschi e prati. Prezzo basso ma con scarse possibilità di successo e rischi gravissimi, anche di morte. Fonte: anarchici impegnati in operazioni di supporto che operano lungo il confine, lato turco.

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Mercoledì scorso dodici cadaveri, denudati e scalzi, sono stati recuperati poco distante da Ipsala, confine sud tra Truchia e Grecia, dopo un respingimento da parte delle forze di frontiera greche. Iskenderon una delle isole greche poco distanti, circa seicento euro: probabilità di successo semi nulle e rischi gravissimi, anche di morte. Fonte: L.V, siriana di 34 anni respinta durante il suo tentativo nel 2020. La sua barca con venti persone a bordo è stata raggiunta «nella notte da uomini totalmente vestiti di nero che urlavano in una lingua gutturale: hanno smontato il motore e lo hanno gettato in mare, dopo di che sono scomparsi, lasciandoci lì in mezzo al mare. È venuto lo smug a prenderci, vedevamo l’isola che volevamo raggiungere».

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Kabul–Berlino, con documenti falsi – quelli veri arrivano a destinazione – 20.000 euro a testa. Fonte: profughi afghani di Erzurum, Turchia, bloccati da anni, più volte respinti al confine con la Grecia. Si passa lungo la cosiddetta “via dei lapislazzuli”, si arriva a Istanbul e poi avanti. È il massimo presente sul mercato, garantisce comfort, sicurezza e tempi rapidi, tra le due e tre settimane. Si viaggia in furgoni con doppi fondi, taxi, si attraversano frontiere durante orari stabiliti e “sicuri”. Cioè dove ci sono delle guardie corrotte, lungo l’intera rotta, parte della struttura.

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Sarajevo–Austria da qualche parte, nel retro di un camion, 1.500 euro. Fonte, il povero Amin, due anni fermo in Bosnia, poi la moglie gli ha mandato i soldi per raggiungerlo in Francia ma è andata in maniera diversa.

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Belgrado–Berlino, 3.500 euro. Fonte: smuggler, trafficanti afghani della stazione di Belgrado.

Il prezzario che gli smuggler, i trafficanti di uomini, novelli Caronte del terzo millennio, utilizzano per i viaggi destinazione Europa segue il principio dell’offerta flessibile e della qualità. 

Dopo la strage di Ipsala di mercoledì scorso il confine greco-turco vedrà salire i prezzi e raggiungerà la sinistra primazia di confine più pericoloso d'Europa, e quindi più caro. Se sei un uomo o una donna forte della tua giovinezza, delle tue gambe e del tuo coraggio, sappi che non servono a niente. Per il “dream” servono i soldi. «Il tuo viaggio finisce qua», usano dire le guardie di frontiera, magari mentre assestano una manganellata o spaccano un telefono.

Tutto ha un prezzo

Poco distante dalla stazione degli autobus di Belgrado ci sono due giardini. Il primo termina in un cantiere apparentemente fermo dove piccoli alberelli crescono tra cumuli di macerie. Il secondo si trova al di là della strada ed è più raccolto, qualche aiuola facente funzione di latrina e, in un angolo, un paio di chioschi intorno ai quali si formano capannelli di uomini che mercanteggiano con altri uomini, e donne, che hanno uno zaino sulle spalle.
Nel triangolo formato dalla stazione e da questi due giardini, venerdì dodici novembre è “nata” la rotta Belgrado–Minsk, costo 3.500 euro, sola andata.
Mentre i media mondiali lanciavano la notizia della Bielorussia come «porta di accesso» all’Europa, nel “triangolo degli afghani” nasceva una nuova offerta pensata per tutti coloro che vogliono raggiungere il nostro continente. 

Poi però sono arrivate le immagini dei poliziotti polacchi che sparavano con gli idranti sull’umanità ammassata lungo le reti del confine con la Bielorussia o sparpagliata nei boschi. E quindi, in una settimana, la Belgrado–Minsk è crollata.

Eccolo qui il mercato totale, dove tutto ha un valore e tutto può essere comprato e venduto. Una “mappa” online non vale nulla e quindi non costa quasi nulla. Una mappa che ti dà l’intera logistica necessaria per raggiungere l’Europa costa molto: sempre che tu voglia avventurarti a piedi.

Hanno un costo i depositi di vestiti lungo il viaggio, i depositi di cibo, i passaggi (numeri di telefono di tassisti sicuri), magazzini dove dormire al sicuro, e non come una bestia nei boschi o nelle fabbriche diroccate, le powerbank. Perché non puoi andare nei bar coperto di fango e chiedere se gentilmente ti fanno ricaricare il telefono. 

Al confine tra Ungheria e Serbia, al di là delle spaventose reti di separazione, girano dei gruppi di persone, spesso anziani, che controllano. C’è chi va a caccia di lepri e chi di esseri umani. E ne vanno anche orgogliosi. Su YouTube si possono trovare piccoli video girati durante questi safari.

Gli uomini dei giardini

La regola è semplice: se sei ricco passi, se sei povero rimani parcheggiato da qualche parte nei Balcani, o lungo il confine tra Grecia e Turchia per mesi, a volte anni. Stai lì a marcire. Magari in un campo profughi dove mangi, dormi al caldo, ti impigrisci e così finalmente quella smania di “assaltare” l’Europa armato di stracci e sogni ti passa.

Oppure ci si può sempre buttare in qualche fabbrica dismessa, tra copertoni, rifiuti, topi grossi come gatti e miserabili come te, in attesa che qualcuno ti porti una coperta, un po’ di provviste. Oppure fai lo smuggler, il passeur, il contrabbandiere, il trafficante. Oppure fai entrambi, il migrante e lo smuggler, che prima o poi arriva il momento buono.

Chi arriva alla stazione dei bus di Belgrado, di solito, lo fa perché non sa più dove andare: i Balcani sono un flipper truccato in cui la pallina umana rimbalza sempre, da un lato all’altro, e a un certo punto qualcuno ti dice che a Belgrado, in quei giardini, c’è la soluzione perché lì ci sono gli smuggler più bravi di tutta la rotta.

Una bufala messa in giro dagli uomini dei giardini, o da chi si occupa della loro “promozione”. Anche perché la stessa cosa si dice degli smuggler di Sarajevo, di Cettigne in Montenegro, di Salonicco, e di Edirne, in Turchia. La pubblicità è l’anima del commercio. E dato che il mercato tira sempre, le varie organizzazioni ci tengono a far conoscere servizi e prezzi.

TikTok pare che sia il media preferito, mentre WhatsApp è troppo controllato. Pochi secondi in video dove far vedere l’offerta e un contatto “signal” in calce – una chat criptata non perforabile, pare – se si è interessati. 

C’è tutto: dalle traversate in barca a vela in partenza da Iskenderon, Turchia, ai van di Belgrado, i truck game di Sarajevo e, ultimissimo, i furgoncini con targa est europea che girano il continente portando merci di ogni tipo. Questi, per chi è già dentro l’area Schengen, sono i mezzi migliori per spostarsi da una capitale europea all’altra.

Lo smuggler ti ha mollato nel parcheggio di una stazione di benzina austriaca mentre tu pensavi che ti portasse a Parigi come è successo ad Amin? Non c’è problema, l’importante è anzitutto non litigare. Poi avere vestiti puliti e una mascherina Ffp2 immacolata, quindi avere una powerbank per il telefono e, ovviamente, ancora un po’ di soldi nel portafoglio visto che il rischio di essere derubati dalle guardie di frontiera è più che concreto.

Il resto è facile: si viene accomodati tra la merce di un furgoncino che ti porta fino a pochi chilometri dalla frontiera da superare. Ottima quella di Basilea, in assoluto la più perforabile e geograficamente la migliore se devi andare a Berlino o a Parigi. Inesistente o quasi quella tra Slovenia e Italia, ma qui devi passare per i meravigliosi boschi della val Rosandra, a piedi, scendere verso Trieste e prendere il treno.

Identikit di un trafficante

Ma chi sono questi smuggler? Un’umanità ricca di sofferenze che vive una vita senza grazia, senza decoro, piena di selvaggia risolutezza. Gli sconfitti della storia, chi non ce l’ha fatta. Perlomeno questo è l’identikit di quelli che si arrampicano su per le montagne, caricano gente sui furgoni o stazionano nei giardini intorno alle più importanti stazioni dei Balcani.
I loro racconti mettono in luce dei prototipi umani. Intorno ai venti anni, partiti da lontano – Afghanistan e Pakistan molto spesso – a una frontiera, prevalentemente Turchia, Grecia o al confine tra Bosnia e Croazia, sono incappati in un respingimento che li ha “marchiati a sangue”. Non è un modo di dire. Ossa rotte, furti, teste spaccate. Altri hanno tratti criminali più marcati e violenti. Sono quelli che in Italia si muovono sul confine italo francese di Ventimiglia.

A volte sono integrati nel tessuto sociale, come quelli che si vedono girare a Edirne, ultima città turca prima del confine greco, che tutti salutano cordialmente. E loro rispondono ostentando come pavoni il loro benessere, fatto di giacche di pelle e tagli di capelli da calciatore. Il loro ruolo economico e sociale è riconosciuto: sono parte integrante di una industria.

Il racconto

Ne abbiamo incontrato uno in Bosnia, dove vive da due anni e aggirandosi nelle “jungle” vicine al confine croato. Uno dei mercati migliori data la crudeltà della polizia di frontiera. Si muove come un piazzista alla ricerca di clienti. La prigione è stato il momento più duro della sua vita e lo ha segnato in maniera indelebile. Spesso litiga col padre per la sua attività.

«Considero il mio un lavoro? Sì, non faccio altro da qualche tempo a questa parte. Anche il mio big smuggler, big agent, lo definisce un lavoro, perché è così. Ormai è tanto tempo che lo faccio, non voglio più andare in Italia, sto qua in Bosnia con il mio agent. Non ha senso andare in Italia, è lo stesso, almeno qui faccio i soldi».

«Lavoro con un’organizzazione – dice – siamo tanti, ma io seguo il mio agente che abita a Bihac. Da quando ho iniziato ho sempre lavorato tramite amici. Ho cominciato nel 2017  al confine tra Pakistan e Iran. Non so perché ho iniziato. Non per soldi, non è che mi servissero, o comunque potevo fare un altro lavoro. Adesso ho bisogno di soldi, ma all’inizio no. Forse per il potere, ma davvero non ti so dire. O forse perché mio papà mi diceva di andare in Italia, ma non ci stavo riuscendo. Allora mi sono messo a fare questo. Poi ho continuato anche tra Turchia e Grecia, portavo anche le famiglie. Ho preso tanti bambini in braccio per metterli sulla barca che attraversava il fiume Evros. Poi mi hanno beccato insieme ad altri smuggler e sono stato in prigione in Grecia per sei mesi. Sono impazzito, in quel periodo non ho mai visto la luce del sole. Non sono stato bene e, da quel momento, non sono più stato bene. Quando sono uscito ho continuato con la mia attività di smuggler. Prima dalla Grecia alla Macedonia, ora dalla Bosnia all’Italia». 

Un confine durissimo da attraversare: «La polizia croata ti picchia davvero tanto quando ti becca, come è capitato a me». Perché anche lui, come altre migliaia di disperati, ha tentato il “game”, il “gioco”, come lo chiama chi decide di giocarsi tutto nel cercare di attraversare il confine per entrare nel territorio dell’Unione europea. A volte possono volerci anni.

«Due o tre volte – dice – ho provato a fare il game dalla Bosnia e la polizia croata mi ha beccato, ha sentito che parlavo bosniaco e hanno capito che ero uno smuggler. Mi hanno picchiato tantissimo. Una volta mi hanno fatto inginocchiare e tirato un calcio in faccia rompendomi il naso. Vedi che ora è storto? In ospedale me l’hanno un po’ sistemato, mi hanno fatto malissimo. Ho tanti soldi. Della mia famiglia solo mio fratello sa che lavoro faccio, ma a lui gli smuggler non piacciono».

Sensi di colpa

Ali ha 22 anni ed è partito dal Pakistan a 15. «Sono stato uno smuggler nella tratta Turchia–Grecia – dice –Ho cominciato perché avevo provato il game lungo quel confine tantissime volte, sapevo come funzionava. Conoscevo un agente che aveva vari contatti e mi ha chiesto di lavorare per lui. Quando ho iniziato non avevo effettivamente bisogno di soldi se non per raggiungere la Grecia».

«La mia prima spedizione non ha avuto successo – prosegue –, ma la seconda sì. Ero tentato di andare insieme a quelle persone in Grecia, ma il mio lavoro, in quel momento, mi costringeva a tornare in Turchia. Avevo un patto con l’agente che era pakistano».

Anche lungo quella tratta i pericoli non mancavano: «La polizia mi ha preso varie volte ma, a differenza della Croazia, non mi ha mai picchiato. Comunque penso che il game più difficile sia quello tra Turchia e Grecia».

Guai, però, a definire il suo un “lavoro”: «No, non lo considero un lavoro. L’ho fatto perché mi trovavo in quella situazione e non riuscivo ad andare in Grecia. Tuttavia sapevo dove e come attraversare il fiume e dove sarebbe poi arrivato il taxi, non era troppo faticoso. Al tempo pensavo solamente che fosse figo essere parte di una “mafia”. Credo che questo tipo di attività sia per ragazzini che vogliono sentirsi parte di qualcosa. Non riuscivo nemmeno a mandare soldi a casa, il mio guadagno era il mio pocket money (la diaria che i migranti ricevono per far fronte alle spese quotidiane ndr). Una notte ho avuto un sogno rivelatore. Ho fatto un game e sono riuscito ad arrivare in Grecia. Non ho mai raccontato alla mia famiglia quello che ho fatto. Solo due o tre amici lo sanno. Non voglio farlo più».

Gli agenti

In questa vicenda un ruolo importante è quello degli agenti. «Non devi giocare con gli agenti – dice Ali – se ti comporti bene e dai i soldi che devi allora è tutto a posto, altrimenti ti vengono a cercare. Ti trovano sempre, hanno amici e una buona rete ovunque, in Italia, Macedonia, Serbia. Mi sento in colpa per aver fatto tutto questo. È una cosa brutta. Se vuoi dei soldi fai un lavoro serio. Secondo me è un periodo della vita in cui vuoi essere un po’ “mafioso” perché lo consideri cool. Se però quel periodo dura troppo tempo diventi un mostro a cui interessano solo i soldi. Se ti rendi conto di quello che stai facendo e riesci a smettere in tempo, nessun problema. Per me è stato facile lasciare il lavoro». Forse anche di questo l’uomo, parlando di sé, non si è mai definito uno smuggler. E quando si è trattato di descrivere il “lavoro” che svolgeva ha usato la frase inglse «when I was doing that» («quando stavo facendo questo»). Non una parola ha usato, per articolare cosa fosse quel «that».

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