- Nel 2011, esattamente dieci anni fa, un gruppo di cittadini, guidato da Franca Valeri e Urbano Barberini, ha fermato il tentativo di realizzare una discarica a meno di un chilometro dalla zona di protezione della villa di Adriano, a Tivoli.
- La villa, dal 1997, è patrimonio dell’Unesco. Oggi, a distanza di due lustri, quel pericolo è di nuovo alle porte tra principi ribelli, imprenditori sotto indagine e funzionari regionali arrestati.
- La sentenza del tribunale amministrativo boccia l’atteggiamento pilatesco della regione, incapace di gestire una pratica così delicata.
Nel 2011, esattamente dieci anni fa, un gruppo di cittadini, guidato da Franca Valeri e Urbano Barberini, ha fermato il tentativo di realizzare una discarica a meno di un chilometro dalla zona di protezione della villa di Adriano, a Tivoli. La villa, dal 1997, è patrimonio dell’Unesco. Oggi, a distanza di due lustri, quel pericolo è di nuovo alle porte tra principi ribelli, imprenditori sotto indagine e funzionari regionali arrestati.
«Attualmente il rischio è doppio perché ci sono due cave per le quali i gestori hanno avviato due contenziosi legali per realizzare due discariche», dice Urbano Barberini, attore, imprenditore agricolo e principe. Barberini, pur di difendere la sua terra, si è trasformato in una guida, accompagna cittadini e personalità del mondo della cultura a visitare il gigante dell’acqua: Ponte Lupo. Alto 30 metri, uno spessore di 18, è il più importante sistema di ingegneria idraulica romana risalente al 144 avanti Cristo. Quel gigante è collocato nel cuore dell’agro romano tiburtino prenestino, una delle poche aree, salvate dalla speculazione, grazie all’impegno dei proprietari delle tenute. «Noi abbiamo resistito a varie proposte indecenti, la prima era quella di farci una discarica, mi dissero “c’è una valle stupenda, riempiamola di rifiuti”. Noi attorno a Ponte Lupo vorremmo costruire un distretto rurale archeologico che comprenda i percorsi dei giganti dell’acqua», dice Barberini. Un progetto che deve fare i conti con l’idea, mai tramontata, di realizzare discariche in zona.
Gli interessi dei privati si incrociano con il potere che in regione aveva costruito la dirigente Flaminia Tosini che ha seguito la pratica per una delle due discariche. «In conferenza dei servizi Flaminia Tosini era la nostra interlocutrice istituzionale, abbiamo sempre avuto la percezione che considerasse irrilevanti le nostre istanze», dice Viviana Broglio, portavoce dei comitati di zona. Tosini, per altre vicende, sempre relative a rifiuti e autorizzazioni, è indagata per corruzione ed è finita, nel marzo scorso, ai domiciliari.
La discarica del prefetto
Nel 2011 un largo fronte popolare, con interventi di Adriano Celentano e articoli di denuncia sui giornali di mezzo mondo, ferma la discarica proposta dall’allora prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, commissario delegato alla ricerca di un invaso. A sostenere convintamente l’idea di Pecoraro c’era anche Renata Polverini, presidente di regione. L’idea era di sostituire Malagrotta con una cava a 700 metri dalla zona di protezione della villa di Adriano. Quando la mobilitazione popolare e del mondo della cultura boccia quell’ipotesi a difesa del sito patrimonio dell’umanità, Polverini allarga le braccia e sbotta: «Ma ora cosa c’entra l’Unesco?». Una storia che fa il giro del mondo. Quella cava nascondeva anche un giro di misteri e interessi, a partire dalla proprietà che era di una società anonima svizzera. L’affare finisce male per i proponenti, il governo dei professori, guidato da Mario Monti, boccia la discarica e Giuseppe Pecoraro si dimette da commissario. A distanza di dieci anni, non è ancora finita. In atto c’è un contenzioso amministrativo. La conferenza dei servizi, indetta da città metropolitana di Roma, si è chiusa con esito negativo e l’impresa che gestisce la cava ha presentato ricorso al Consiglio di stato dopo la bocciatura del tribunale amministrativo. La società chiede il rinnovo delle autorizzazioni per movimentare rifiuti inerti, ma c’è un’altra cava a minacciare l’area.
I ritardi della regione
Al fianco di quella cava ne sorge un’altra. I terreni sono della San Vittorino, di proprietà di Simon Pietro Salini, parente dei più noti titolari di Impregilo. Ma a gestire il sito c’è la Daf di proprietà dei Donzelli, imprenditori milanesi. Quella cava era destinata allo smaltimento delle terre di scavo della metro B1, poi tutto si è fermato per un contenzioso. Da tempo i gestori chiedono il rinnovo delle autorizzazioni, scadute nel 2018, concesse un decennio prima. L’idea è di realizzare una discarica per rifiuti inerti. I cittadini temono che sia il primo passo prima di portare anche il pattume urbano. Tre anni fa la dirigente Flaminia Tosini convoca la conferenza dei servizi per discutere l’istanza di rinnovo. «Di quella conferenza non ci sono i verbali nonostante le nostre richieste di accesso agli atti», dice Viviana Broglio. La Regione Lazio, guidata da Nicola Zingaretti, non risponde scontentando cittadini e impresa. Così la Daf presenta ricorso al tribunale amministrativo perché la regione non chiude la conferenza di servizi, ma soprattutto non dà una risposta alle legittime richieste dell’impresa e anche a quelle dei cittadini. La sentenza del tribunale amministrativo boccia l’atteggiamento pilatesco dell’ente, incapace di gestire una pratica così delicata. «Dichiara illegittimo il silenzio dell’amministrazione regionale e ordina alla stessa di provvedere nei termini in motivazione», scrive il tribunale nella sentenza che deposita lo scorso settembre. La regione viene condannata a pagare le spese legali della Daf, mille euro, perché piuttosto che rispondere, ha atteso lasciando la pratica inspiegabilmente aperta. Successivamente il tribunale amministrativo, con un’ordinanza, visto il silenzio della regione, indica il commissario ad acta: il capo della protezione civile, Angelo Borrelli. Per l’ennesima volta la politica viene commissariata. Nel gennaio di quest’anno, la direttrice regionale del settore Flaminia Tosini finalmente decide e chiude la conferenza di servizio.
L’esito è negativo per l’azienda, ma lascia aperto uno spiraglio: «Daf presenti nuova istanza con la documentazione necessaria richiesta dagli enti», si legge nella determinazione. La vicenda non si chiude perché Daf si rivolge nuovamente al tribunale amministrativo. L’azienda impugna la decisione della regione e chiede i danni all’ente guidato da Zingaretti «nella misura di 3 milioni e mezzo di euro o nella diversa misura ritenuta di giustizia» per «il danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa e dal mancato esercizio di quella obbligatoria».
Contro il ricorso si sono costituiti il ministero dell’Ambiente, le aziende agricole e il comune di Tivoli.
I guai dell’imprenditore
Intanto il sito è finito sotto sequestro per alcune opere realizzate nonostante l’assenza di autorizzazioni e i vincoli in zona. «C’è un procedimento penale a mio carico, il comandante dei carabinieri si è pure scusato, io avevo obblighi di ripristinare il sito e fare dei lavori, ma visto che le autorizzazioni non c’erano mi hanno denunciato», dice Fabio Pierangelo Donzelli. Daf è pronta a fare causa alla regione o a Salini che aveva detto che le autorizzazioni c’erano. «La nostra non è una discarica di rifiuti, ma di inerti. Se vogliono essere tranquilli devono dare il lavoro a gente come noi che la riempie di terre e macerie prima che arrivi qualcuno che voglia metterci rifiuti urbani», rassicura Donzelli. Donzelli, però, deve fare i conti anche con un altro problema: quello giudiziario. È imputato in un’inchiesta della procura di Milano per turbativa d’asta, nel fascicolo che vede coinvolto anche Gioacchino Caianiello, uomo forte di Forza Italia a Varese, indagine che ha terremotato la regione Lombardia. «Ci trovavamo su un marciapiede con altri imprenditori per discutere di un appalto di scarso valore», minimizza Donzelli. Secondo gli inquirenti, diversi imprenditori, tra questi i Donzelli, avrebbero costituito un cartello tra imprese al fine di concordare prima il contenuto delle offerte per partecipare a una gara, indetta dalla società pubblica Amsa, che si occupa della gestione dei rifiuti a Milano, per «spartirsi l’aggiudicazione dei lotti». Nel 2018, Donzelli viene condannato, in via definitiva, per gestione di rifiuti non autorizzata. «Era una mia proprietà, un autista ha scaricato terra senza formulario, un peccato veniale», dice Donzelli. La sentenza dice: «Gestione di rifiuti non autorizzata, consistente nella messa in riserva di rifiuti speciali non pericolosi derivanti dalla attività svolta dalla predetta società di demolizione e simili».
Donzelli ora aspetta la decisione del tribunale amministrativo, intanto i cittadini lavorano a un distretto rurale e a un festival per celebrare e difendere la villa dell’imperatore e Ponte Lupo.
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