Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti


Il processo si sviluppa da questo punto della classificazione giuridica di questa associazione e dei suoi compiti nella quale Spiazzi era crocevia di rapporti con l’eversione e con i Servizi Segreti dell’epoca.

Emerse quindi che Spiazzi finanziava il gruppo ordinovista di Verona alla cui testa era Elio Massagrande, dirigente nazionale dell’organizzazione, paracadutista e titolare di una palestra di karate. I rapporti tra Spiazzi e Massagrande erano assolutamente certi e pacifici, ammessi dallo stesso Spiazzi; nella palestra di karate venivano dirottate le reclute militari con orientamento di destra che accedevano alla caserma di Montorio veronese.

I ragazzi venivano arruolati e addestrati come componenti del gruppo neofascista nel quale venivano inseriti. Massagrande guidava Ordine Nuovo insieme al fondatore Graziani. All’atto della perquisizione dell’abitazione di Spiazzi, alla quale il giudice volle essere personalmente presente, fu trovato un arsenale con un’ascia bipenne, un quadro, con un cavaliere medievale del Graal, con l’ascia bipenne simbolo di Ordine Nuovo e in mano.

Nell’ambito dell’indagine il magistrato ebbe modo anche di incrociare il Generale Nardella e in particolare il Movimento Nazionale di Opinione Pubblica, che aveva una sua attività a Verona, e al quale partecipava anche Spiazzi. A dette riunioni partecipava anche Mario Tedeschi. Il Generale Nardella non poté essere interrogato perché si eclissò prima di essere catturato.

Il Nardella non era un elemento minore. Era stato responsabile dell’Ufficio di Guerra Psicologica della Nato, un ufficio la cui importanza nell’ambito della strategia della tensione è di evidente centralità, come abbiamo detto all’inizio. Suo successore era stato Colonnello Dominioni, che assieme a Nardella e a Spiazzi aveva partecipato a un incontro con i finanziatori genovesi.

Emesso il mandato di cattura, Nardella scomparve. Il Movimento Nazionale di Opinione Pubblica, le cui iniziali sono le stesse, sia pure in diverso ordine di quelle del Movimento Politico Ordine Nuovo, era una mezza copertura di altre realtà, di una diversa realtà ed era del tutto analogo alla Maggioranza silenziosa di Milano, di Adamo Degli Occhi. In tutti questi movimenti - ha spiegato il magistrato - l’elemento cardine, era risultato il Principe Alliata di Montereale, che era un grande capo massone che aveva organizzato, appunto, questi due movimenti e tantissime altre iniziative.

Costui si incontrava con Spiazzi e con Nardella a Verona, nel circolo ufficiali di Verona. Il riferimento è di grande importanza, perché quello di Alliata è un nome ricorrente nel nostro processo, come elemento di congiunzione tra massoneria occulta e ambienti militari e dell’eversione nera. Il magistrato ha quindi spiegato come alla fine del 1974 il processo fu trasferito a Roma dalla Cassazione, a seguito di un conflitto di competenza sollevato dal giudice romano. Ma anche qui è interessante seguire dalle parole di uno dei protagonisti il percorso che portò la procura di Roma ad agire proceduralmente per sottrarre l’indagine a chi la stava proficuamente sviluppando. Ha dichiarato dunque il magistrato che il conflitto di competenza fu sollevato da "alcuni Magistrati di Roma" perché vi sarebbero stati elementi di connessione probatoria tra i due procedimenti (Golpe Borghese). Il che era vero, "alcuni personaggi si ritrovavano là e si ritrovavano qua, perché la galassia di questo mondo è sempre quella insomma".

In realtà in un incontro di coordinamento tra i vari uffici svoltosi nell’ottobre del 1974 ad Abano Terme, presente anche il giudice di Torino Violante che indagava nella direzione del "Golpe bianco", l’iniziativa politico militare promossa dal "partigiano bianco" Edgardo Sogno per un pronunciamento militare finalizzato a mettere fuori legge sia il partito comunista che il partito fascista, si era opportunamente concordato tra i partecipanti di procedere nella fase investigativa in maniera coordinata, ma tenendo ciascun ufficio il proprio segmento di indagine.

Era una mossa intelligente che avrebbe consentito ai diversi uffici di indagare sui fatti di rispettiva competenza salvo unificare il tutto, facendo valere gli eventuali profili di connessione, quando tutte le potenzialità dell’indagine si fossero espresse. A Roma non furono però successivamente di questo avviso, anche se va detto che il teste ha riferito di un’iniziativa proveniente da soggetto che non aveva partecipato al coordinamento.

I magistrati della Procura generale hanno ritenuto di cogliere nella sottrazione delle indagini a chi le aveva avviate, giungendo a risultati conoscitivi importanti, una delle cause più eclatanti dell’esaurimento e della mancata conclusione positiva delle indagini su stragi e colpi di stato.

Il giudice Tamburino ha tenuto a precisare che la competenza naturale era del suo tribunale, non avendo mai contestato reati di competenza dell’a.g. di Roma come l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Era stata semplicemente formulata l’imputazione di associazione sovversiva, correttamente radicata in Veneto, mentre la connessione col Golpe Borghese era ancora da verificare in modo analitico per cui ben potevano le indagini proseguire ciascuna per proprio conto.

Il magistrato ha poi richiamato l’emissione del mandato di cattura nei confronti del capo del STO per concorso nell’associazione, poi derubricato in favoreggiamento confermato dalla Suprema Corte. L’esito fu quindi un’assoluzione generalizzata che con le conoscenze successivamente acquisite appare evidentemente discutibile.

Su questa vicenda disponiamo di innumerevoli fonti, a partire dalle dichiarazioni di Spiazzi citate in numerose sentenze e che a questo punto poco hanno da aggiungere a questa ricostruzione storica.

Ci limitiamo a richiamare la perizia predisposta dal prof. De Lutiis per l’autorità giudiziaria, prodotta dai pubblici ministeri, nella quale l’analista sottolinea la gravità di una delle affermazioni di Spiazzi allorché, pur definendo la struttura come avente carattere di ufficialità, seppur parallela, parla di un sistema fondato su "disposizioni orali" e di "organizzazione in funzione anticomunista", due affermazioni che pongono la struttura nella più aperta illegalità.

Si tratta di uno degli equivoci più ricorrente nelle organizzazioni eversive in ambito politico-militare del periodo: la convinzione degli appartenenti a tali strutture di obbedire a un principio di legalità superiore alla Costituzione repubblicana, uomini che in sostanza si muovevano al di fuori e contro la legge e la Costituzione, in nome di una legalità da attuare con una rivoluzione contro la Costituzione. Da qui il gravissimo pericolo corso dalle istituzioni nel quindicennio dell’eversione nera.

Nella perizia De Lutiis troviamo inoltre citata la più volta ricordata testimonianza del generale Rosseti. Interessante perché esprime il conflitto di fedeltà nel quale l’ufficiale è coinvolto nel momento in cui depone; esso si traduce nel dare conferma dell’attività eversiva nel momento stesso in cui si mente al giudice negandola.

Rosseti, dirigente del SIOS Esercito per l’Italia centrale, è chiamato dinanzi al giudice Tamburino. Stretto tra l’esigenza di non mentire dinanzi al giudice e il desiderio di non rivelare di essere al corrente dell’esistenza di strutture occulte, esordisce dicendo: "Pertanto posso affermare di ignorare completamente l’esistenza di una struttura di sicurezza parallela rispetto a quella ufficiale, di gruppi civili fiancheggiatori delle FF.AA, di deviazioni nel senso dell’appoggio di parti politiche anticomuniste o comunque di iniziative ufficiose ed occulte dirette alla creazione e al mantenimento di un efficiente apparato anticomunista".

Ma subito dopo aggiunge.- «Peraltro, nonchè sorprendermi dell’esistenza di una siffatta organizzazione e di deviazioni in questo senso di elementi delle FF.AA. e del Servizio, la mia esperienza mi consente di affermare che sarebbe assurdo che tutto ciò non esistesse (...) Ho detto che mi sorprenderebbe che non esistesse una organizzazione parallela e occulta con specifica funzione politica anticomunista: ritengo peraltro che un simile apparato non potrebbe correre sulla linea ufficiale della catena informativa, dato che, in tale ipotesi il rischio di individuazione sarebbe enorme. (..).

Se si formula l’ipotesi anche questa verosimile, che il vertice di questa organizzazione si trovi o comunque dipenda da una certa forza istituzionale, sarà altresì logico pensare che la scelta degli elementi periferici sia correlata alla conoscenza degli elementi stessi avvenuta anche attraverso contatti o incarichi inizialmente ufficiali. Per ragioni analoghe ritengo che questa organizzazione occulta e non ufficiale non potrebbe avvalersi di altre strutture di sicurezza ufficiali eventualmente esistenti e collegate all’organizzazione difensiva multinazionale. In generale penserei che una qualche organizzazione di sicurezza ufficiale, specie se attribuiamo ad essa una certa qualificazione politica, potrebbe avere assolto alla fanzione iniziale di individuare elementi idonei per la costituzione dell’organizzazione di cui sopra. (... )

Il generale Miceli, se ha fatto qualcosa, ove non si tratti di errate valutazioni, di desiderio di lavare i panni in casa o di minimizzare responsabilità altrui, può avere operato soltanto se richiesto o innescato da centri di potere ben superiori; non si tratta quindi di un vertice ma semmai di un anello che deve immancabilmente portare ad altro. A mio avviso l’organizzazione è talmente vasta da avere capacità operative nel campo politico, militare, delle finanze, dell’alta delinquenza organizzata, ecc.»

Chiosa il perito che "la deposizione del generale Rosseti appare interessante sotto molti aspetti. Dopo la scontata petizione di principio sulla sua personale non conoscenza della struttura o di qualsiasi struttura parallela a quella ufficiale, egli in pratica ne delinea la dipendenza ("da una certa forza internazionale’’) ritiene che almeno la fase dell’arruolamento sia avvenuta attraverso contatti ufficiali e ritiene che l’ente preposto alla ricerca degli elementi periferici non possa essere che un servizio di sicurezza".

Il perito sottolinea l’affermazione del Rosseti secondo cui, se il generale Miceli ha operato in questo ambito, non può averlo fatto di propria iniziativa, ma «richiesto o innescato da centri di potere ben superiori».

Fino a questo punto il quadro delineato può adattarsi perfettamente alla struttura Stay Behind. L’ultima frase della testimonianza, con l’inquietante riferimento ad una capacità operativa in molti campi compresa la mafia, sembra alludere a qualcosa di ben più ampio dell’organizzazione Gladio, per come è stata poi conosciuta. Ne viene confermato dal perito quanto si osservava prima e cioè che dagli interrogatori di Spiazzi sembra delinearsi una struttura che corre parallela agli uffici "I" dell’Esercito, quindi una struttura analoga, ma non coincidente con la Stay Behind. La struttura delineata da Spiazzi, e da lui confermata

anche in sede di audizione dinanzi alla Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla Loggia P2, assume quindi un carattere tutto militare e con una marcata e ostentata funzione di selezione anticomunista all’interno delle forze armate. Se e come questa struttura fosse coinvolta nel piano insurrezionale consegnato da Porta Casucci alla Polizia, il giudice Tamburino non poté chiarirlo perché la pronuncia della Corte di Cassazione lo sollevò dalle indagini, fatte confluire nell’istruttoria in corso a Roma sul golpe "Borghese". Non fu consentito di chiarire, come il giudice intendeva fare con maggiore certezza, collocazione e compiti della struttura delineata nel quadro delle strutture di sicurezza ufficiali e quindi anche di quelle illegali.

Da ultimo leggiamo nella perizia: «Quello che comunque già allora poteva fondatamente ritenersi era che tale organismo fosse qualcosa di ben più serio di una mera deviazione dei servizi segreti, anzi chiari indizi lasciavano ritenere che la struttura avesse solidi legami in sede Nato. D’altro canto, il tenente colonnello Spiazzi nonostante ricoprisse un grado non molto elevato aveva il NOS "Cosmic", cioè aveva accesso al massimo livello di segretezza, nulla osta ottenibile solo con l’autorizzazione della Nato.»

Questa vicenda conferma l’esistenza di aree di infedeltà negli anni Settanta tra le forze armate, i servizi di sicurezza, con la protezione di forze politiche di riferimento e corrispondenti ambienti politici che a loro volta fornivano una manovalanza organizzata, disposta a tutto, nella certezza di godere di protezioni, complicità e sostegni ad altissimo livello. L’odio e il fanatismo politico erano poi giunti a livello tale, da rendere le stragi strumento ordinario di lotta politica, come vedremo per le stragi che saranno consumate nel corso dello stesso anno.

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