Basilico è presidente della commissione del Csm che, dopo forte polemica, ha indicato i nomi dei componenti del direttivo della Scuola superiore della magistratura: «Abbiamo scelto diverse sensibilità»
La nomina dei componenti del direttivo della Scuola superiore della magistratura è stata uno dei momenti di maggiore contrapposizione recente al Csm, con accuse di correntismo tra i togati e astensioni e voti contrari in plenum. A pratica chiusa, il presidente della Sesta commissione e togato di Area, Marcello Basilico, spiega cosa è accaduto.
La sua commissione si è occupata di selezionare i nomi da portare in plenum. Si è parlato di rallentamenti e ritardi, è così?
Ci abbiamo messo molto perché abbiamo ricevuto 85 domande, ci sono state numerose audizioni e, inutile nasconderlo, non è stato facile arrivare a una soluzione condivisa. Io come presidente ho cercato di trovare l’unanimità, perché credo che in queste pratiche sia fondamentale per dare la massima legittimazione possibile a chi è chiamato a lavorare per l’istituzione. Non è stato possibile, ma le attestazioni unanimi per la professionalità dei nominati restano.
Eppure le contestazioni, venute dai togati Andrea Mirenda, Roberto Fontana e Domenica Miele, hanno riguardato l’indeterminatezza dei criteri di selezione, che potevano favorire “logiche correntizie”.
Il bando è stato votato all’unanimità da tutti i consiglieri, quindi chi critica i criteri critica anche sé stesso. Inoltre non si tratta di un concorso per titoli, ma di una procedura amministrativa con discrezionalità del Csm. L’obiettivo era di scegliere come membri della Scuola magistrati che fossero espressione di una pluralità di rappresentanza per territori, professionalità, genere e visioni culturali.
Nessuna logica spartitoria di corrente, quindi?
Chiariamo. La logica spartitoria dell’uno a te, uno a me è da rigettare e non è stata praticata con la Scuola. Si è trovato invece un compromesso su nomi che dovevano convincere una pluralità di sensibilità. In commissione e in plenum i consiglieri di Magistratura indipendente, Unicost e Area e alcuni laici hanno trovato un accordo su persone che, per curriculum e per visione sulla formazione, sono all’altezza della funzione cui sono chiamati.
Quali sono queste pluralità di sensibilità?
Esistono due visioni antitetiche, sia per la Scuola superiore sia all’interno della giurisdizione. Da una parte quella del magistrato interprete della legge in senso letterale, cui fornire una formazione esclusivamente tecnico-giuridica. Dall’altra quella di un magistrato che interpreta il processo come un fenomeno calato nella realtà, in un mondo di diritti in continua evoluzione, da leggere anche con le lenti della Costituzione e delle norme sovranazionali, e che chiede una formazione ad ampio spettro culturale. AreaDg si riconosce in quest’ultimo modello e in Consiglio opera in tale direzione.
Nella polemica sulla Scuola, l’appartenenza a una corrente è risultato quasi un elemento penalizzante.
A tutti quelli che hanno provato ad accusare i candidati di essere correntizzati io ho replicato che questa appartenenza non poteva essere di ostacolo, e ho agito perché non lo fosse. Credo che una militanza associativa, quando espressa con lealtà e su un piano di confronto di idee, debba essere rivendicata anche nelle sedi istituzionali, perché è espressione di trasparenza. Al contrario, temo piuttosto che finge di non avere rappresentanze di riferimento, rendendo così opaco il proprio apporto nell’istituzione.
Come ha vissuto le astensioni nella sua commissione?
Le astensioni di Domenica Miele e di Roberto Fontana mi hanno amareggiato, perché sono derivate non da critiche specifiche sui nomi, ma da un rifiuto di ogni mediazione, per quanto inevitabile quando occorra trovare un accordo tra visioni opposte. Me le spiego con un’unica necessità: quella di dare risposta ai loro gruppi di riferimento. Nel caso di Miele a Magistratura democratica, in quello di Fontana, che si definisce indipendente, ai magistrati che lo hanno eletto.
Anche nel plenum i laici di centrodestra si sono astenuti sulla nomina dell’ex presidente della Consulta Giuliana Sciarra e hanno votato contro quelle dei sei magistrati.
Questo Csm sta mostrando alcune novità nel comportamento dei laici che, siccome eletti con maggioranza qualificata, sono espressione del parlamento. La componente laica di centrodestra, organizzata in modo uniforme, dichiara invece di rappresentare il governo, schierandosi sistematicamente con i togati di Magistratura indipendente. Questa è un’anomalia che dovrebbe far riflettere innanzitutto i magistrati. Oggi si mette in discussione la politicizzazione del ruolo di un magistrato che appartiene a una corrente, ma forse bisognerebbe considerare che uno di questi gruppi ha scelto come compagno di viaggio in Consiglio chi fa riferimento al governo.
Eppure non è stato così per la Scuola superiore.
In questo caso Mi ha dimostrato che, quando vuole, può emanciparsi da questa alleanza con la componente laica di centrodestra. La speranza è che in futuro continui a esserci la possibilità di ragionare con gli uni e con gli altri, a geometrie più variabili.
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