- In caso di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, l’articolo 15 consente di adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla Convenzione.
- Però devono essere rigorosamente limitate alla situazione che lo richiede e che vengano prontamente notificate al segretario generale del Consiglio d’Europa tanto le misure che le loro motivazioni.
- L’Italia, invece, non ha comunicato nulla e questa non può essere derubricata a una mera mancanza formale.
Una nuova ondata della pandemia si è abbattuta sull’Italia e il governo, a mezzo di decreti-legge e atti regolamentari del presidente del consiglio, ha adottato nuove misure restrittive dei diritti e libertà personali. Le feste natalizie e di fine d’anno sono state ridotte alla sfera strettamente familiare con forte impatto sulle manifestazioni pubbliche, civili e religiose, sulla manifestazione libera del pensiero, laico religioso e artistico, sulla libertà di circolazione fuori e dentro i confini nazionali e persino sulla famiglia stessa, se solo la si allarghi al di fuori dei confini del matrimonio celebrato, con effetti sulla non discriminazione di genere e di inclinazione sessuale.
A dispetto della fama di popolo incostante, riottoso e indisciplinato, i nostri concittadini hanno imbracciato le misure con una grande maturità, dando di loro una prova eccellente di coesione e di rigore. Poche le manifestazioni di reale dissenso, limitate e fisiologiche le furbizie e gli aggiramenti, soprattutto pochissime le adesioni a fenomeni pubblici di rigetto di tipo libertario come altri paesi hanno invece proposto con esiti infausti in termini di violenze e di decessi (Stati Uniti in testa). I politici che hanno provato a cavalcare l’onda anti restrittiva sono progressivamente rientrati nei ranghi e il Presidente del Consiglio gode di una approvazione pubblica tanto inconsueta quanto solida.
Il sistema di protezione dei diritti individuali
Ci sono senz’altro molte ragioni che sottendono a questo comportamento sociale per molti versi (anche se non in tutti) virtuoso. Esiste un aspetto che è stato sinora poco evocato che mi pare abbia una influenza non marginale: gli italiani, come molti europei, hanno introitato nel loro inconscio profondo da oramai 3 generazioni l’esistenza di un sistema di protezione dei diritti individuali contro gli abusi dello stato. Tale sistema si basa sulla indipendenza della nostra magistratura ma anche sulla supervisione esterna di organi e istituzioni internazionali di cui abbiamo imparato l’utilità e l’efficacia nell’imporre comportamenti più virtuosi al nostro Stato talvolta distratto, riottoso o immemore del suo passato di prevaricazioni.
Mi riferisco in particolare alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo del 1950 (CEDU) ed alla sua Corte. Essa svolge ed ha svolto un ruolo costante di monitoraggio stimolo e condanna del nostro Paese a difesa dei suoi cittadini abusati nei loro diritti. Cito, come esempi influentissimi tra mille, le condanne contro la eccessiva durata dei processi, contro le condizioni disumane nelle carceri, contro l’assenza del reato di tortura nel nostro ordinamento, contro il maltrattamento e il respingimento abusivo dei richiedenti asilo. Decisioni giudiziarie esterne che hanno imposto cambiamenti significativi interni al nostro ordinamento portando più democrazia a protezione dei cittadini e a discapito di forze e comportamenti di tipo autoritario.
In qualche modo, gli italiani e tanti europei hanno acquisito la convinzione profonda che qualcuno vegli su di loro e che il brocardo latino “cui custodet custodes” abbia trovato una risposta sufficientemente convincente da indurre fiducia nella tenuta democratica complessiva del sistema Italia. La disciplina e il rigore di questi giorni non sarebbero figli quindi solo di paura o d’innato senso civico (certamente ambedue presenti) ma anche della fiducia nella democrazia multi-livello e multi-sistema che abbiamo costruito dalla Seconda Guerra Mondiale in poi.
Ma nel caso della pandemia e delle restrizioni che ne derivano tale fiducia è davvero giustificata? Credo ci siano motivi per avanzare qualche dubbio e qualche preoccupazione.
La fiducia è giustificata?
Nel corso del 2020, nell’adottare le misure anti-Covid il governo (e parlo del governo perché esso è stato sinora il dominus assoluto dell’azione, relegando il Parlamento ad un ruolo spesso di certificatore a posteriori e di comprimario politico di facciata) ha violato una delle norme cardine della CEDU, in particolare il suo Articolo 15. In caso di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, questa disposizione consente di adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla Convenzione a patto che siano rigorosamente limitate alla situazione che lo richiede e che vengano prontamente notificate al segretario generale del Consiglio d’Europa tanto le misure che le loro motivazioni.
La corte di Strasburgo ha avuto modo di precisare in sentenze che la notifica deve essere effettuata prontamente intendendo che si tratti di giorni e non di mesi.
L’assenza di questo atto formale non è una mancanza burocratica, un fastidioso formalismo da liquidare con un “abbiamo ben altro a cui pensare”. Il suo effetto è molto grande e produce all’interno del nostro Paese degli effetti potenzialmente seri che dovrebbero preoccuparci. Di fronte a misure generalizzate che colpiscono la totalità dei cittadini, una democrazia deve assicurare in linea con l’Articolo 15 CEDU che tali misure siano rigorosamente proporzionate allo scopo ricercato (cioè le limitazioni non eccedano lo stretto necessario), siano limitate nel tempo e costantemente sottoposte a verifica, siano chiare e certe nell’editto e nella sanzione eventuale, siano motivate in forma pubblica e soggetta a verifica giudiziale, siano razionali e non discriminatorie e che non violino altri obblighi internazionali del nostro Paese (a parità di condizioni, ad esempio, non si può colpire più duramente i cittadini dell’Unione europea rispetto ai cittadini italiani). È un obbligo sottoscritto dall’Italia nel 1955 e solennemente ribadito nel 1978 con la ratifica del Patto sui Diritti Civili e Politici delle Nazioni Unite che contiene una identica disposizione.
L’obbligo di notifica del testo e delle sue ragioni impone quindi alla Stato di spiegare come intenda rispettare tutti questi chiari limiti mentre persegue la preservazione della vita della nazione. La CEDU lo impone a priori, cioè al momento di applicare le norme, e non solo a posteriori, a giustificazione di una sua azione dinanzi ad un giudice eventualmente chiamato a decidere su denuncia di un cittadino.
Nel caso italiano, le norme d’urgenza adottate in questi mesi soffrono palesemente su tre lati: le norme sono confuse, prolisse e mescolano elementi di divieto a raccomandazioni di buon comportamento; il Parlamento svolge un ruolo appena più che cerimoniale per cui il Governo che emana le norme è anche quello che ne comanda l’applicazione e l’interpretazione attraverso circolari ministeriali, creando così un corto circuito autoreferenziale; il controllo giudiziario esiste ma è inefficace perché destinato a produrre effetti su situazioni oramai estinte e quindi carente nel sanare serie violazioni di diritti fondamentali dell’individuo.
Trasparenza e rigore
Senza la trasparenza preventiva ed il rigore imposti dalla CEDU, il cittadino italiano si trova costantemente a dover giustificare di fronte all’autorità l’esercizio di un proprio diritto fondamentale. Si provoca cioè l’inversione del principio cardine della democrazia, tutto quello che non è espressamente vietato dalla legge è permesso senza necessità di giustificazione, a favore di una concezione paternalistica di libertà concessa in cui il poliziotto esercita il controllo non sulla applicazione della norma ma sui motivi avanzati dal cittadino di eccezione a un divieto, in balia di una interpretazione caso per caso di norme di varia e vaga natura. Ci avviciniamo cioè pericolosamente alla violazione sostanziale dell’articolo 7 della CEDU nullum crimen nulla poena sine lege che lo stesso articolo 15 dichiara inderogabile anche in condizioni di pubblico pericolo. Esempi tra i moltissimi: un cittadino italiano che rientra dall’estero da zone ad alto contagio per motivi di necessità è sottoposto a misure di tampone e quarantena mentre il cittadino italiano che esce da regione rossa in analoghe circostanze no. Perché? Due persone che si recano a visitare un parente non autosufficiente come devono provare tale non autosufficienza? E come possono provare la loro “coppia” in caso siano appartenenti alla categoria LGBTI? In che modo passeggiare a 2 km da casa è più dannoso per la salute che svolgere una attività sportiva in identiche circostanze?
La nostra democrazia è perfettamente in grado di fronteggiare emergenze gravi come la pandemia ma la CEDU ci impone di motivare, legiferare con prudenza e mantenere un rapporto equilibrato tra cittadini e autorità.
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