Il voto per eleggere il quindicesimo giudice costituzionale stava diventando una conta per la maggioranza di centrodestra: per questo motivo, nonostante la premier Giorgia Meloni fosse decisa a eleggere il suo consigliere giuridico Francesco Saverio Marini, che è anche l’autore della riforma del premierato, dal voto delle camere in seduta comune a Montecitorio sono arrivate 323 schede bianche, nove voti dispersi e dieci schede nulle.

Troppo risicati i numeri, per avere la certezza di mandare Marini alla Consulta. Dal momento che Meloni non intende bruciare il nome del suo consigliere giuridico, anche oggi è arrivata una fumata nera. Sara dunque necessario un nono scrutino per eleggere il quindicesimo giudice della Corte costituzionale, che manca ormai da nove mesi.

Tutti i parlamentari erano stati precettati e ogni gruppo avrebbe dovuto votare indicando il candidato con un nome diverso così da identificare i voti e scongiurare i franchi tiratori.  

Le opposizioni, invece, sostengono che per aver partecipato alla stesura della riforma del premierato il giurista sia in conflitto di interessi e hanno criticato il metodo autoritario con cui la maggioranza intende eleggere il giudice che sostituirà Silvana Sciarra, che ha concluso il suo mandato più di un anno fa.

In Transatlantico, Elly Schlein ha auspicato che dopo il fallimento di oggi parta un dialogo tra maggioranza e opposizione. Tra i più animati c’è Giovanni Donzelli, di Fratelli d’Italia: punta il dito contro le opposizioni, colpevoli di «voler eleggere solo i giudici che la pensano come loro». Nel flusso del discorso, emergono due dati politici: FdI non considera il nome di Marini bruciato e fa capire che rimane nella lista dei papabili e «alla fine qualcuno nelle opposizioni si accorgerà che non si può sempre rimanere fuori».

Tradotto: la speranza - che in realtà è più una necessità, considerando che serve una maggioranza qualificata - è che un pezzo dell’opposizione infine si stacchi. Magari dietro compensazione.

Quanti voti mancano alla destra

Per eleggere il giudice, all’ormai ottava votazione, servono però i tre quinti del parlamento in seduta comune: 363 voti in totale. La maggioranza può contarne 355, considerando le astensioni dei due presidenti delle camere, ma altre defezioni ci saranno per i ministri in questo momento non in Italia e per parlamentari malati.

Risultato, serviranno almeno una quindicina di voti in più per raggiungere il quorum. La manciata di voti – una decina per essere tranquilli, ma virtualmente anche meno – si dovrebbe trovare nel Gruppo misto di entrambi i rami del parlamento, dove a favore di Marini potrebbero votare le ex Azione Mara Carfagna, Giusi Versace e Maria Stella Gelmini, Lorenzo Cesa, Andrea De Bertoldi (ex Fratelli d’Italia), Francesco Gallo e Antonino Minardo.

Per una mera ragione di calcolo, dunque, i restanti voti andranno trovati in altri gruppi. Uno degli “indiziati” è quello delle Autonomie, dove vige il principio della libertà di orientamento. Non saranno in aula i due senatori trentini, Piero Patton e Luigi Spagnolli, il quale ha commentato che «dopo essere stato diligentemente presente e votante le volte precedenti non andate a buon fine per mancanza di volontà di trovare un nome concertato, ritengo non sia serio andarci un'altra volta nelle stesse condizioni. Se la maggioranza trova i numeri per votarselo, lo faccia; ma se ha bisogno del mio voto non può dare per scontato un suo candidato di parte, peraltro non privo di criticità».

Meno chiaro, invece, è il comportamento che terranno l’eletto valdostano e i cinque altoatesini della Svp, dove però due non voteranno.

Le opposizioni non ritirano la scheda

In mattinata, le opposizioni hanno reso nota la loro posizione: non voto. Anche per loro, infatti, non entrare in aula è il modo per scongiurare che qualcuno della loro compagine, nel segreto dell’urna, favorisca il centrodestra.

Il Pd ha fatto sapere che non ritirerà la scheda: «Abbiamo provato in tutti i modi a costruire momenti di confronto con la maggioranza. Sarebbe stato opportuno un confronto che non c’è stato. Non c’è stato un confronto, ma una improvvisa accelerazione da parte della maggioranza. Con convocazione via chat, manu militari, da parte dei partiti di governo», ha detto il capogruppo del Pd al Senato Francesco Boccia.

«La maggioranza ha rifiutato il dialogo e a fronte di un nome appreso sulla stampa non potevamo che opporci», ha detto Elly Schlein in Transatlantico. «Spero che di fronte a questo fallimento un dialogo parta».

Anche i gruppi parlamentari del M5s non parteciperanno alla votazione per l'elezione di un nuovo giudice. I parlamentari non ritireranno la scheda.

Sulla stessa linea anche Più Europa, Italia Viva e Azione, che fa sapere come «lo schema di rapporti tra maggioranza e opposizione così non regge, non c'è mai uno spazio di dialogo. Il fatto che anche su un nome di valore non ci sia alcun lavoro che porti alla condivisione di una proposta, dimostra che così non si può andare avanti».

© Riproduzione riservata