I giudici costituzionali hanno stabilito che la Camera dovrà esprimersi di nuovo sull’utilizzabilità delle intercettazioni del deputato e toga in aspettativa, che erano state acquisite attraverso il cellulare di Luca Palamara e sono l’elemento fondamentale del procedimento. L’autorizzazione era stata negata a gennaio 2022 e la Consulta l’ha annullata
La Corte costituzionale riapre il procedimento disciplinare al magistrato ed ex deputato Cosimo Ferri, oggi toga fuori ruolo al ministero della Giustizia.
Nel gennaio 2022, infatti, la Camera aveva negato al Csm l’autorizzazione a utilizzare nel procedimento disciplinare contro Ferri le intercettazioni del cellulare di Luca Palamara e acquisite nell’ambito del procedimento penale promosso dalla procura di Perugia.
Secondo Montecitorio, infatti, le conversazioni tra Palamara e Ferri e quelle ambientali, captate grazie al trojan, erano state acquisite «illegittimamente» e per questo erano inutilizzabili nel disciplinare a carico del magistrato in aspettativa. Nelle registrazioni si sentiva la voce di Ferri e la commissione per le autorizzazioni era stata chiamata ad esprimersi sulla casualità o meno delle registrazioni (se gli inquirenti sono a conoscenza che le captazioni riguardano un parlamentare, infatti, sono tenuti a sospenderle per chiedere il consenso alla camera di appartenenza).
Nel caso di Ferri, è stato valutato che chi era all’ascolto fosse al corrente che il parlamentare sarebbe stato presente al dopocena dell’hotel Champagne e che dunque, se il trojan fosse stato attivato, lui sarebbe finito nella rete delle captazioni.
Per questo il Csm aveva sollevato un conflitto di attribuzioni alla Consulta contro la decisione della Camera.
La decisione
Ora i giudici costituzionali hanno annullato la deliberazione della Camera perchè in ritenuta «in contrasto con l’articolo 68 terzo comma della Costituzione» e stabilito che «la richiesta di autorizzazione avanzata dalla Sezione disciplinare richiede una nuova valutazione, da parte della stessa Camera dei deputati, della sussistenza dei presupposti ai quali l’utilizzazione delle intercettazioni effettuate in un diverso procedimento è condizionata».
Nel comunicato della Consulta viene ricostruito che «l’utilizzo delle intercettazioni non richiedesse, come invece sostenuto dalla Camera dei deputati, l’autorizzazione preventiva a norma dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, non risultando che l’attività di indagine “fosse univocamente diretta a intercettare anche le comunicazioni dell’on. Ferri”».
Quindi, secondo i giudici costituzionali, è sbagliato il presupposto su cui la Camera si è basata per negare l’autorizzazione: «l’autorizzazione preventiva» per intercettare Ferri in quanto deputato, che è invece «in realtà non necessaria».
Invece, scrive la Consulta, la Camera non si è pronunciata «sulla richiesta di autorizzazione successiva a norma dell’art. 6 della legge n. 140 del 2003».
Di qui la necessità di una nuova valutazione da parte della Camera, anche se nel frattempo Ferri non è più deputato.
Il disciplinare
Le incolpazioni di Ferri nel procedimento disciplinare sono molto simili a quelle di Palamara (che è stato radiato), ma senza la prova regina delle intercettazioni sostenere l’accusa è quasi impossibile. L’incolpazione, infatti, riguarda il tentativo di pilotare la nomina del procuratore capo di Roma attraverso accordi tra correnti presi proprio durante il dopocena intercettato e di cui le voci registrate sono l’elemento centrale.
Infatti nel procedimento contro Palamara la procura generale di Cassazione aveva dichiarato che senza le intercettazioni il caso di fatto non sarebbe esistito. Contro di lui, però, le intercettazioni erano pienamente utilizzabili.
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