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Cospito, da oltre 135 giorni in sciopero della fame, è stato di nuovo trasferito nel reparto medico dell’ospedale San Paolo di Milano, in una stanza vicina alla terapia sub-intensiva.
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Il comitato ha deciso sui quesiti posti dal ministero della Giustizia su come gestire un paziente in stato di detenzione che rifiuta le cure mediche. Ci sono 10 punti condivisi e poi un parere a maggioranza: «Il medico non può contemplare passivamente la morte di un detenuto»
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Il parere non è vincolante e il comitato si divide tra i pro-vita e i pro-scelta, con i primi sottolineano la necessità del medico di intervenire se la volontà attuale non è certa e i secondi confermano che la Dat va rispettata.
A distanza di pochi giorni dalla manifestazione anarchica di Torino in suo sostegno, Alfredo Cospito, detenuto al 41 bis e in sciopero della fame da più di 130 giorni, è stato riportato dal carcere di Opera al reparto di medicina penitenziaria dell’ospedale San paolo di Milano.
Cospito, infatti, ha smesso nuovamente di assumere gli integratori dal 24 febbraio, quando la Cassazione ha rigettato il ricorso della difesa per la modifica del suo regime detentivo. Attualmente beve solo acqua e soprattutto tè e sta assumendo due cucchiai di zucchero e uno di sale al giorno e pesa 70 chili, che sarebbe la soglia limite per un uomo della sua altezza. La decisione di riportarlo in ospedale sarebbe stata presa «a scopo precauzionale» perchè i medici hanno riscontrato un mutamento dei valori del sodio e del potassio.
Questo secondo trasferimento nella struttura ospedaliera fa rialzare la tensione intorno alla salute dell’anarchico e soprattutto a come gestire l’eventualità di un suo improvviso peggioramento. Infatti è stato ricoverato nella stanza più vicina al reparto di terapia sub-intensiva e l’ipotesi è quella di un possibile inizio di acidosi, l’accumulo di acidi nell’organismo a causa del digiuno.
Il tema solleva una serie di quesiti delicati e complessi dal punto di vista giuridico, che riguardano sia il diritto all’autodeterminazione che la tutela della salute. Anche perchè Cospito ha consegnato al suo avvocato, Flavio Rossi Albertini, una dichiarazione anticipata di trattamento (Dat), in cui rifiuta il trattamento sanitario dell’alimentazione forzata e il documento è stato inoltrato anche al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Proprio in vista della fase più drammatica che è conseguenza inevitabile dello sciopero della fame, il 6 febbraio scorso il ministero della Giustizia ha investito il Comitato nazionale di bioetica di una serie di quesiti.
L’ente è un organo consultivo del consiglio dei Ministri ed è tenuto a rendere pareri che però non possono essere riferibili a casi specifici, ma può solo rispondere su quesiti astratti. Gli stessi quesiti, che non sono stati resi noti nella loro precisa formulazione da parte del ministero, riguardano in particolare il comportamento da tenere nel caso in cui un paziente, che si trovi in condizione di custodia da parte dello Stato, rifiuti le terapie sanitarie.
Il comitato di Bioetica
Il dibattito all’interno del comitato nazionale, composto da 33 membri, è proseguito nel corso di tutto il mese. Al suo interno, si è formato un diverso orientamento tra chi viene considerato più vicino alle posizioni pro vita, quindi alla possibilità dei medici di agire in scienza e coscienza per prevenire il decesso; e chi invece sostiene la libera scelta del detenuto.
Alla fine, la decisione è arrivata: il comitato si è trovato concorde su 10 punti votati all’unanimità. A maggioranza, invece, ha è stato votato un parere che chiarisce che, come scritto in una pronuncia della Cedu, «nè le autorità penitenziarie, nè i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna».
Altri 9 componenti del Cnb, invece, hanno ritenuto che non ci siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della Legge 219/2017, quella sulla Dat, nei confronti della persona detenuta in sciopero della fame, anche in pericolo di vita.
Nonostante il quesito non sia formalmente riferibile allo specifico al caso di Cospito, all’interno del comitato alcuni componenti hanno vissuto con apprensione la scelta del ministero di affidare loro una questione così spinosa che inevitabilmente viene letta come riferita alla situazione dell’anarchico detenuto a Milano, visto il contenuto dei quesiti.
Dentro al comitato c’è chi lo ha considerato una sorta di scaricabarile nella valutazione di una situazione delicatissima, a fronte di un ministero e di un governo che hanno mantenuto la linea dura del rigetto di qualsiasi revisione della misura detentiva. C’è però anche chi sottolinea come invece il comitato – nell’aver accolto i quesiti - implicitamente abbia accettato anche la legittimità del ministero a porli.
Il comitato, infatti, ha continuato a riunirsi in queste settimane e nei prossimi giorni dovrebbe pubblicare il suo parere. A prescindere dal suo contenuto, il valore formale è quello di orientamento per l’attività amministrativa e non è vincolante, anche perchè non potrà entrare nel merito del caso specifico. Tuttavia avrà inevitabilmente un peso di moral suasion, visto anche il peggiorare delle condizioni di salute di Cospito e l’eccezionalità del suo caso.
Con la decisione di rigetto della Cassazione, infatti, il detenuto ha di fatto esaurito le soluzioni percorribili dal punto di vista giudiziario, che avrebbero potuto fargli interrompere lo sciopero della fame. Rimangono solo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo e la nuova impugnazione davanti al tribunale di sorveglianza della decisione del ministro Nordio, che però hanno tempi incompatibili con l’aggravarsi del suo stato di salute.
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