Davanti al susseguirsi di casi in cui i post dei magistrati sui social network diventano fonte di polemiche o di imbarazzi, il Consiglio superiore della magistratura ha deciso di intervenire con un convegno per riflettere.

L’ultimo caso mediatico in ordine di tempo ha riguardato il cosiddetto caso Apostolico, ovvero il caso della giudice di Catania la cui ordinanza in materia di custodia dei migranti nei cpr ha scatenato lo scontro col governo. Nei giorni seguenti alla decisione, i media hanno pubblicato alcuni suoi post su Facebook in cui esprimeva posizioni critiche nei confronti dell’esecutivo Conte I per la gestione del problema migratorio.

Vista la centralità della questione, anche i gruppi associativi nelle scorse settimane si sono interrogati sul tema. Ora, però, il dibattito si è spostato anche nel Consiglio, in una due giorni dal titolo “La magistratura e i social network”, che è una tappa in direzione dell’obiettivo finale di elaborare delle linee guida che prevedano avvertenze sull’uso dei social.

L’intervento di Pinelli

Il vicepresidente Fabio Pinelli ha introdotto il convegno, dicendo che di fronte alla comunicazione social la magistratura «non si deve porre solo nell'ottica tradizionale dell'esercizio dei diritti, di quale siano i diritti dei magistrati al riguardo e di quali limiti possano essere configurati», ma anche e soprattutto «nell'ottica delle crisi reputazionali, soprattutto della reputazione dell'istituzione e della sua legittimazione costituzionale, che tale comunicazione può innescare».

Esistono quindi nuove responsabilità in capo alla magistratura, per «prevenire, gestire e comunicare le crisi reputazionali, nella consapevolezza delle conseguenze che queste possono avere sugli stessi equilibri istituzionali e costituzionali».

Anche perchè, ha spiegato Pinelli, sul web «non vige la regola dell’uno vale uno, al contrario importa chi parla, forse ancor più di cosa dice e di come lo argomenta. In fondo, si potrebbe proporre, a livello di provocazione intellettuale, di pensare al magistrato come a un influencer, con tutto ciò che questo significa e può significare in punto di innesco, gestione e comunicazione delle crisi reputazionali».

Il punto di caduta del discorso riguarda l’apparenza di imparzialità di chi indossa la toga: «Se l'imparzialità assume un ruolo costituzionale decisivo nella magistratura tutta, giudici e pubblici ministeri, sia come garanzia di autonomia e indipendenza, sia come dovere del magistrato, per ottenere quella fiducia e quell'affidamento della collettività che deriva dall'autorevolezza dell'agire, allora la magistratura deve avere consapevolezza che nell'era della comunicazione digitale l'imparzialità è, e sarà sempre più, imparzialità percepita e che ogni crisi nella percezione dell'imparzialità potrà funzionare da innesco di una crisi reputazionale non solo del singolo ma addirittura dell'istituzione».

Le parole di Basilico

Il presidente della sesta commissione, Marcello Basilico, nel suo indirizzo di saluto, ha ripreso il tema dell’imparzialità del magistrato e dell’impatto dell’utilizzo dei social network. «Non è casuale che il dibattito pubblico sull'apparire imparziali dei magistrati sia oggi dilatato a dismisura: esso è il portato non solo delle contingenze politiche, ma anche o soprattutto da una rivoluzione digitale che costringe ad aggiornare lo strumentario del diritto, per primo quello del diritto costituzionale».

Basilico si è soffermato sul rapporto tra imparzialità e diritto alla libera manifestazione del pensiero: «I Costituenti hanno voluto rimarcare che la giurisdizione non si amministra 'per' il popolo, non è dunque sensibile al consenso della pubblica opinione. Ma vale la pena interrogarsi su come si ponga il magistrato quando, attraverso blog, post, forum o comuni like, diffonda messaggi che dimostrino la sua aspirazione all'approvazione sociale nel mondo virtuale».

Proprio la questione del valore dei comportamenti online è diventata di cruciale importanza e Basilico ha ricordato un recente intervento del capo dello Stato Sergio Mattarella alla Scuola superiore della magistratura, dove ha invitato «alla maggiore sobrietà nei comportamenti e nelle esternazioni sui social, e dall’altro a dipanare la matassa concettuale dell’apparenza d’imparzialità, sfuggendo al pericolo che questa offuschi il primo e vero pre-requisito del magistrato, che è l’indipendenza, nelle sue componenti di dovere essere e responsabilità».

La tavola rotonda

La seconda giornata ha avuto al centro i limiti alla comunicazione dei magistrati ed è stata presieduta dal Direttore dell’Ufficio Studi e Documentazione e Vicepresidente della Sesta Commissione, Roberto Romboli, che ha posto l’accento sulla legittimazione del magistrato.

Nel merito è entrato il costituzionalista Massimo Luciani, secondo cui è vero che «il magistrato è titolare dei medesimi diritti che sono riconosciuti a tutti i cittadini. Tra questi diritti vi è la libertà di manifestazione del pensiero», ma «la delicatezza della funzione impone al magistrato di esercitare quel diritto di libertà con lo stile, la prudenza e l’intelligenza che devono essere propri di chi è gravato da compiti di grandissima importanza».

Secondo la Prima Presidente della Corte di Cassazione Margherita Cassano, «serve uno sforzo di ciascuno di noi nell’uso di un linguaggio diverso all’interno dei nostri provvedimenti: un linguaggio che rifugga -laddove possibile- da inutili tecnicismi e sfoggi di erudizione, semplificando senza banalizzare. È questa la nuova prospettiva culturale che ci viene richiesta, quella del dovere etico di comunicare nel rispetto delle regole processuali».

Il Procuratore Generale della Cassazione Luigi Salvato si è invece concentrato sui limiti nella comunicazione extra istituzionale stabiliti da norme di diritto positivo e la cui violazione può dare luogo a responsabilità disciplinare e ha sottolineato l’importanza di agire sulla formazione, «abbandonando la tentazione dell’autoreferenzialità, riscoprendo invece il significato della funzione come dovere e rafforzando il sistema deontologico e di valutazione della professionalità».

Per il Presidente del Consiglio di Stato Luigi Maruotti ha portato invece la prospettiva della magistratura amministrativa, dopo l’approvazione nel 2021 della delibera sulla comunicazione e i Social. «I magistrati devono non solo essere, ma anche apparire imparziali e vanno evitati quei comportamenti sui social, che possano far dubitare della loro imparzialità» e «l'obiettivo è quello di prevenire comportamenti inappropriati, attraverso la formazione dei magistrati, al fine di rendere le sentenze immuni da considerazioni concernenti la composizione dei collegi».

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