- Nel 2019 il reddito medio irpef è stato di 40mila euro, ma 55mila avvocati hanno dichiarato meno di 11mila euro l’anno e poco più di mille hanno superato il tetto dei 500 mila euro.
- La previdenza forense è il riflesso di una determinata organizzazione della professione. Se questa è inadeguata, anche il sistema previdenziale sarà inadeguato. Va ripensata l’obbligatorietà dell’iscrizione a Cassa Forense e le modalità di iscrizione all’albo e agli albi.
- Va disciplinata la figura dell’avvocato dipendente da altro avvocato e le collaborazioni tra un avvocato e altro avvocato, con garanzie minime per tutti. Inoltre va rivisto integralmente il regime delle incompatibilità con l’esercizio della professione.
Il coraggio di una visione. Le difficoltà, causa covid-19, anche dei lavoratori autonomi. Le proposte da formulare con la legge annuale sulla concorrenza. Le riforme del Next Generation EU.
Pochi concetti, quelli illustrati dal neo presidente del Consiglio Draghi, per comprendere l’evidente necessità di allargare lo sguardo e il contenuto del Recovery Plan ai liberi professionisti.
Abbandonare la politica del “sussidio” e avviare una stagione di riforme, con una visione a tutto campo, che si traduca in un intervento complessivo volto a delineare un assetto dinamico e un’organizzazione moderna delle libere professioni.
La professione di “avvocato” non sfugge a questa necessità.
Il reddito
Guardiamo i numeri dell’avvocatura al 31.12.2020: sono 245.030 gli avvocati iscritti all’ente previdenziale forense rispetto ai 244.952 dell’anno precedente (127.471/117.559 è il rapporto uomini/donne).
Il reddito medio IRPEF riferito all’anno 2019 è di € 40.180, leggermente migliore del dato di € 39.670 del 2018.
Sempre con riferimento al 2019: 23.616 avvocati non hanno nemmeno inviato il modello 5; 1.411 avvocati hanno dichiarato reddito negativo; 12.177 avvocati hanno dichiarato reddito zero; 55.895 avvocati hanno dichiarato redditi tra 1 e 10.300 euro; 43.626 avvocati hanno dichiarato redditi tra 10.301 e 19.828 euro; 69.141 avvocati hanno dichiarato redditi tra 19.828 e 50.050 euro; 22.284 avvocati hanno dichiarato redditi tra 50.050 e 100.200 euro; 7.644 avvocati hanno dichiarato redditi tra 100.200 e 150.000 euro; 5.166 avvocati hanno dichiarato tra 150.000 e 250.000 euro; 2.711 avvocati hanno dichiarato redditi tra 250.000 e 500.000; 1.359 avvocati hanno superato il tetto dei 500.000 euro.
"Gli avvocati sono tanti”
Una prima considerazione è diretta a sfatare e confutare il più classico dei luoghi comuni: gli avvocati sono tanti. Pochi o tanti che siano, il numero complessivo non ha nulla a che fare con la crisi della giustizia civile in Italia, dal momento che il tasso di litigiosità del nostro paese è pari a quello di paesi (Francia e Spagna su tutti) nei quali il numero di avvocati è di gran lunga inferiore.
Viceversa, sgombrare l’approccio al tema da slogan e facili comunicazioni significa manifestare una precisa ed espressa volontà di affrontare problemi e individuare criticità che l’incuranza degli ultimi vent’anni ha reso molto difficili da superare (accesso, welfare, reddito, innovazione, occupazione) e che presuppongono una nuova organizzazione della professione (e, più in generale, delle professioni).
Il reddito di ultima istanza o il sovvenzionamento di quota parte del canone di locazione degli studi, per esempio, necessari per la fase di emergenza, sono stati un palliativo che, oltre a prestarsi ad applicazioni distorte, non hanno ingenerato alcuna reazione e/o desiderio di cambiamento nonostante la conclamata fragilità strutturale e organizzativa della professione (e, più in generale, delle professioni).
Né la necessità di riforme strutturali può essere aggirata con la riforma delle pensioni e l’adozione del sistema contributivo puro, che Cassa Forense sta portando avanti in termini di discussione (solo interna) ed elaborazione; la previdenza forense è il riflesso di una determinata organizzazione della professione. Se questa è inadeguata, anche il sistema previdenziale sarà inadeguato.
L’equo compenso
Infine, una riflessione sull’equo compenso è più che mai necessaria: veramente crediamo che sia l’unica risposta efficace (quanto efficace è?) per riorganizzare strutturalmente la professione?
Non credo vi sia bisogno di conoscere i dati reddituali del 2020 per decidere se agire o no; ecco, allora, dieci possibili proposte.
Uno. Armonizzare tutte le norme oggi esistenti, dal punto di vista sostanziale (L. 4/2013, L. 247/12, L. 183/11) e fiscale (qualificare i redditi prodotti dalle società quali redditi di lavoro autonomo, estendere il regime forfettario alle aggregazioni), per agevolare le aggregazioni multidisciplinari professionali e il ricorso alle società (anche con socio di capitali).
Due. Disciplinare la figura dell’avvocato dipendente da altro avvocato e le collaborazioni tra un avvocato e altro avvocato (per questi ultimi, anche con un “Accordo Collettivo Nazionale Forense sulla disciplina del lavoro Autonomo”, da allegarsi al CCNL per gli studi professionali, che ne disciplini il trattamento economico, i requisiti di forma e le fattispecie ritenute di maggiore rilevanza), con garanzie minime per tutti.
Tre. Riconoscere rilevanza esterna alle “reti pure” tra avvocati e tra professionisti con un adeguato sistema di pubblicità, anche presso le Camere di Commercio, ampliando la portata delle disposizioni della L. 22.5.2017 n. 81 (Jobs Act Autonomi) e superando le limitazioni contenute nel DL 10.2.2009, n. 5.
Quattro. Riformare il sistema di accesso alla professione (università, pratica ed esame di stato), approfittando, peraltro, dell’imminente intervento della neo Ministra della Giustizia per assicurare il regolare svolgimento delle prove di esame di abilitazione all’esercizio della professione forense.
Cinque. Introdurre, indipendentemente dalla vigenza del DM n. 163 del 2020, un’idea di specializzazione realmente rispondente alle esigenze della società e degli avvocati e che si caratterizzi per la libertà di formazione e aggiornamento.
Sei. Rivedere integralmente il regime delle incompatibilità con l’esercizio della professione.
Sette. Incentivare e sostenere nuovi modelli di organizzazione e d’innovazione tecnologica degli studi.
Otto. Interrogarsi sulla possibilità che possano coesistere, come avviene per esempio in Inghilterra, diverse “figure” di avvocato a seconda dell’ambito in cui la professione è esercitata.
Nove. Ripensare l’obbligatorietà dell’iscrizione a Cassa Forense e le modalità di iscrizione all’albo e agli albi.
Dieci. All’esito di tutto quanto sopra rappresentato, ridisegnare il codice deontologico, ripensare il sistema di welfare, rivedere l’assetto previdenziale forense interrogandoci se ancora convenga mantenere quello attualo o se sia opportuno ricorrere al modello contributivo o a modelli differenti per tipologie diverse di avvocatura.
Molte delle considerazioni e delle proposte formulate in questa sede hanno una portata anche più generale, non relegata unicamente alla professione di avvocato; le “libere professioni” condividono, purtroppo, la mancanza di una visione di insieme che permetta di resistere a gruppi di pressione, anche all’interno delle stesse professioni, che lavorano per avvantaggiarne alcune a discapito di altre, in ogni caso a discapito delle giovani generazioni.
Dinanzi a noi c’è l’ennesima opportunità. Coglierla o meno è solo questione di volontà. Il resto sono chiacchiere.
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