Il decreto legge sul carcere approvato dal consiglio dei ministri e oggi in gazzetta ufficiale contiene sì norme che dovrebbero diminuire il sovraffollamento carcerario, ma curiosamente prevede anche l’introduzione di una nuova fattispecie di reato.

Si tratta del cosiddetto peculato per distrazione, che viene previsto all’articolo 314 bis e deve necessariamente essere letto in modo sistematico con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, appena approvata in via definitiva dalla Camera.

Il nuovo reato prevede che «il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

Si tratta dunque di una fattispecie che colma una lacuna che altrimenti sarebbe rimasta nell’ordinamento con la cancellazione del reato di abuso d’ufficio, la cua approvazione si è resa necessaria perchè una direttiva europea adottata nel 2022 prevede l’obbligo di contestare l’abuso d’ufficio nei casi di peculato per distrazione, esteso anche all’ambito europeo.

Questo nuovo reato, però, è anche un modo per evitare un effetto di pena potenzialmente più pesante di quello dell’abuso d’ufficio nei confronti dei pubblici ufficiali che commettano illeciti abusando della loro posizione.

Da dove viene

Il reato di peculato è modellato sulla fattispecie della appropriazione indebita. In altri termini, il peculato di fatto una appropriazione indebita commessa da un pubblico ufficiale, che abusa della sua qualità.

Il punto focale del reato è quella dell’utilizzo di un bene altrui come se fosse proprio, attraverso la sua apprensione in via diretta dal pubblico ufficiale o la sua distrazione per destinarlo ad altre finalità o a terzi.

Secondo la giurisprudenza fino agli inizi degli anni Novanta, quello che oggi è diventato il reato autonomo di peculato per distrazione era semplicemente una declinazione del peculato e veniva fatto cadere sotto questa fattispecie. Per fare un esempio: se un sindaco spostava indebitamente alcune voci economiche da un capitolo di spesa ad un altro nel bilancio comunale, la giurisprudenza considerava questo comportamento illecito una distrazione di beni pubblici e dunque cadeva sotto il reato di peculato, che ha una pena prevista che va dai 4 ai 10 anni.

Successivamente, questa linea interpretativa è cambiata e questo stesso comportamento – che integrerà da oggi in poi il reato di peculato per distrazione – è stato fatto rientrare nella fattispecie meno grave di abuso d’ufficio, con una pena da 1 a 4 anni. 

Cosa succede ora?

Ora che l’abuso d’ufficio è stato abrogato, dunque, il legislatore si è posto l’interrogativo di cosa succeda a tutti quei comportamenti messi in atto da pubblici ufficiali, in cui un bene è stato destinato ad un uso improprio.

Prima del decreto legge che ha introdotto il peculato per distrazione, le ipotesi erano due: o si faceva rientrare il comportamento nel reato di peculato disattendendo la recente giurisprudenza; oppure si sarebbe ricaduti nel reato di appropriazione indebita con l’aggravante dell’abuso di potere, punta con una pena fino a 6 anni e 10 mesi.

Il risultato, dunque, sarebbe stato quello che uno stesso comportamento illecito di un pubblico amministratore sarebbe stato punto in modo più severo rispetto a quando era ancora in vigore l’abuso d’ufficio.

Ecco dunque che il legislatore ha introdotto la nuova figura di reato autonomo del peculato per distrazione, la cui pena è fino ai 3 anni e dunque più bassa di un anno rispetto al vecchio abuso d’ufficio.

Il problema comunque non è risolto così: l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, infatti, apre ad un ampio ventaglio di condotte improprie dei pubblici ufficiali che oggi non sono più reato, come per esempio i casi di abuso in danno (il pubblico ufficiale che adotta una misura in modo scorretto per arrecare danno a un terzo) o lo speculare abuso in vantaggio.

Rimane anche aperta la questione sulla costituzionalità dell’abrogazione, nonostante la convenzione di Merida contro la corruzione – un trattato internazionale – preveda l’esistenza del reato che nel nostro ordinamento era appunto l’abuso d’ufficio.

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