Per la prima volta in Italia, un giudice ha imposto ad una asl di verificare la sussistenza delle condizioni enucleate dalla Corte costituzionale per poter accedere al suicidio assistito.
Un malato di 43 anni residente in un paesino delle Marche potrebbe ottenere per la prima volta in Italia il diritto all’eutanasia, in applicazione della sentenza Cappato della Corte costituzionale.
Il caso
L’uomo, tetraplegico e con altre patologie da 10 anni dopo un incidente stradale che gli ha provocato la frattura della colonna vertebrale, versa in condizioni mediche irreversibili.
Il 28 agosto del 2020 ha chiesto alla struttura sanitaria di riferimento di verificare se nel suo caso sono presenti le condizioni fissate dalla Corte costituzionale per poter accedere al suicidio assistito. A ottobre gli viene comunicato il parere negativo, senza tuttavia che siano state attivate le procedure previste, ovvero la verifica delle quattro condizioni fissate dai giudici costituzionali: il fatto di essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale; la presenza di una patologia irreversibile e fonte di intollerabili sofferenze; la piena capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.
La Asl, nel suo diniego, non ha nemmeno attivato le procedure di verifica, che dovrebbero essere effettuate da parte di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
Per questo l’uomo, assistito dai legali dell’associazione Luca Coscioni, ha presentato un ricorso di urgenza al tribunale di Ancona.
Il primo esito è stato di conferma della decisione della Asl, perchè, anche se “il paziente ha i requisiti previsti dalla Corte Costituzionale”, non sussistono motivi per ritenere che “la Corte abbia fondato anche il diritto del paziente, ove ricorrano tali ipotesi, ad ottenere la collaborazione dei sanitari nell’attuare la sua decisione di porre fine alla propria esistenza; né può ritenersi che il riconoscimento dell’ invocato diritto sia diretta conseguenza dell’individuazione della nuova ipotesi di non punibilità, tenuto conto della natura polifunzionale delle scriminanti non sempre strumentali all’esercizio di un diritto” .
La pronuncia favorevole
Dopo la prima ordinanza di diniego e il successivo reclamo, il tribunale di Ancona ha modificato la sua cesione e ha stabilito di ordinare all’azienda sanitaria delle Marche di provvedere, previa acquisizione del relativo parere del Comitato etico territorialmente competente, ad accertare:
a) se reclamante sia persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili;
b) se lo stesso sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli;
c) se le modalità, la metodica e il farmaco prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile (rispetto all'alternativa del rifiuto delle cure con sedazione profonda continuativa, e ad ogni altra soluzione in concreto praticabile, compresa la somministrazione di un farmaco diverso)
La decisione del tribunale non permette ancora al malato di ricorrere all’eutanasia, ma riconosce il suo diritto a che gli accertamenti previsti dalla Consulta vengano svolti.
Una procedura, questa, che una volta eseguita con esito favorevole alla richiesta del malato, farà sì che chiunque lo aiuti nell’eutanasia non sia imputabile del reato di aiuto al suicidio, come è successo invece a Marco Cappato.
L’ Avvocato Filomena Gallo, Segretario dell’ Associazione Luca Coscioni e coordinatore del collegio difensivo ha spiegato: “Sono serviti 10 mesi passando per 2 udienze e 2 sentenze per vedere rispettato un suo diritto, nelle sue condizioni. Non è possibile costringere gli italiani a una simile doppia agonia. Occorre una legge”.
Manca la legge
La Corte costituzionale, infatti, aveva chiarito che serviva una legge per regolare la pratica del fine vita. Il parlamento, però, non ha ancora preso iniziative univoche in tal senso, dunque a fare fede a livello giurisprudenziale è solo la sentenza dei giudici di palazzo della Consulta.
Di fronte a questa inerzia del legislatore, l’associazione Luca Coscioni insieme al partito radicale, Più Europa e altre sigle sta promuovendo un referendum per l’eutanasia legale, che propone l’abrogazione di una parte dell’articolo 579 del codice penale, prevedendo che il reato avvenga solo se il suicidio assistito avviene contro una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno
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