Giuliano Amato non è diventato presidente della Repubblica, ma a giudicare dalle sue parole non sembra essersene accorto. Il presidente della Corte costituzionale è intervenuto in modo irrituale per dettare se non un’agenda almeno un metodo interpretativo denso di significati in vista dei referendum su cui la Corte si esprimerà la settimana prossima. In un’occasione privata ha chiesto agli esperti della Corte di prestare più attenzione al peso della mobilitazione popolare referendaria che al rigido formalismo giuridico.

La presa di posizione ha spiazzato due volte gli interna corporis della Corte costituzionale. La prima volta è stata quando, durante il suo saluto agli assistenti di studio (un evento riservato, a cui partecipano professori associati e giuristi che coadiuvano i giudici costituzionali nella preparazione delle decisioni), ha detto che «davanti ai quesiti referendari ci si può porre in due modi: o cercare qualunque pelo nell'uovo per buttarli nel cestino oppure cercare di vedere se ci sono ragionevoli argomenti per dichiarare ammissibili referendum che pure hanno qualche difetto.

Noi dobbiamo lavorare al massimo in questa seconda direzione, perchè il nostro punto di partenza è consentire, il più possibile, il voto popolare». Indicazione di lavoro inaspettata, per chi contribuisce a produrre la giurisprudenza della Consulta, che è giudice delle leggi ed è chiamata a orientarle alla luce dei principi costituzionali.

La seconda volta, quando ieri queste frasi così dirompenti sono state pubblicate in un comunicato stampa e poi riprese anche dai social media della Consulta. La presa di posizione del presidente, infatti, rompe qualsiasi regola non scritta della Corte, che è e deve anche apparire come organo imparziale. Ma soprattutto, è stata volontariamente resa pubblica ed è suonata come una sorta di appello a soprassedere sui cavilli giuridici di merito, dando rilevanza alla grande mobilitazione referendaria dell’estate scorsa, che ha prodotto in totale più di 7milioni di firme raccolte anche grazie alla possibilità di sottoscrizione con la firma digitale.

Il riferimento è ai referendum – eutanasia, cannabis e giustizia – su cui la Corte il 15 febbraio si esprimerà per dichiararne o meno l’ammissibilità. «Non è mai successo prima che un presidente intervenga in questo modo su una questione così delicata, pochi giorni prima della decisione», conferma un ex giudice costituzionale.

La strumentalizzazione

Le parole di Amato sono state immediatamente riprese dalla politica e il presidente ha incassato il plauso del leader della Lega, Matteo Salvini, che ha promosso i sei quesiti referendari sulla giustizia; del segretario di Più Europa, Benedetto Della Vedova, che ha appoggiato quelli sull’eutanasia e la cannabis e anche del ministro per i Rapporti con il parlamento, Federico d’Incà.

Tuttavia, l’iniziativa del presidente ha lasciato sbalorditi alcuni giudici della Corte, che nulla sapevano del comunicato stampa, non solo per il peso della dichiarazione ma anche per il fatto che «normalmente» prima di rendere pubblica una dichiarazione del presidente i colleghi vengono avvertiti, spiega un giudice emerito. Anche perchè la materia referendaria è considerata dai giudici la più spinosa, che genera altissima tensione interna perchè porta la Corte in contatto diretto con la politica, potenzialmente inimicandosela.

Difficile spiegarsi le ragioni dell’iniziativa. Un’ipotesi è che Amato, che conosce bene la politica, abbia voluto mettere le mani avanti: in passato la Consulta è stata spesso tacciata di essere troppo restrittiva in materia di referendum e di lavorare a servizio dei poteri costituiti e contro la volontà popolare.

Eppure, il rischio di un’eterogenesi dei fini è forte. Le parole di Amato sono subito state riprese dai promotori del referendum sulla cannabis, che hanno usato le sue argomentazioni per «augurarsi» che i giudici «diano seguito alla richiesta dei cittadini espressa tramite referendum». Dalla Consulta, infatti, circolano voci sulla quasi certa inammissibilità di tutti e otto i quesiti per ragioni formali legate alla loro formulazione e al rischio di aporie giuridiche, con in bilico solo quello sulla cannabis.

Con la sua uscita inaspettata, Amato può condizionare il collegio giudicante che presiede e che a breve si esprimerà: un conto è reggere la pressione esterna della politica, che pure spesso è entrata in contrasto con la Corte, un altro sarebbe dichiarare inammissibili i referendum per ragioni che lo stesso presidente ha appena definito un «pelo nell’uovo».

 

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