Nel commentare il cosiddetto decreto Caivano – daspo urbano agli over 14, divieto di avvicinamento a particolari luoghi pubblici, più carcere per i minori e altro – la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha affermato che non si tratta di «norme repressive, ma di prevenzione». Gli impatti di scelte fatte nel passato mostrano che il decreto legge va in senso opposto a quella prevenzione che Meloni vanta di perseguire, oltre a non conformarsi a princìpi sovranazionali in tema di minori.
I princìpi sovranazionali
Uno dei più importanti atti internazionali sul tema è la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite (n. 40/33) intitolata “Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile” (Regole di Pechino). Tra le altre cose, l’Onu invita gli stati a fissare una soglia di responsabilità penale non troppo bassa, in ragione della non completa maturità affettiva, psicologica e intellettuale del minore; a rendere residuale il ricorso al processo, per contenerne gli effetti stigmatizzanti; a preferire misure di integrazione sociale, educazione e prevenzione della recidiva rispetto alla privazione della libertà del minore.
Con successive risoluzioni, le Nazioni unite hanno precisato, tra l’altro, che la privazione della libertà dei minori dev’essere una misura eccezionale cui ricorrere per una durata strettamente necessaria e che l’attribuzione a un giovane dell’etichetta di “delinquente” rischia di produrre un «effetto predittivo dell’evento».
La giustizia minorile è stata oggetto anche di raccomandazioni da parte del Consiglio d’Europa, tra le quali, nel 2008, quella in tema di «diritti e sicurezza dei minori autori di reato destinatari di sanzioni o misure», che ne promuove «lo stato di salute psico-fisica e il benessere sociale» (08-11).
Oltre a ribadire i principi espressi dall’Onu, si sottolinea che l’interesse superiore del minore, principio sovraordinato, sancito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Onu (1989), dev’essere tutelato attraverso la proporzionalità della reazione dell’ordinamento rispetto alla gravità del reato. Tale reazione dev’essere individualizzata in considerazione dell’età, dello sviluppo, della maturità e della situazione personale del minore.
Questi princìpi smentiscono quanto auspicato dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, secondo cui un 14enne «se uccide, se rapina, se spaccia deve pagare come paga un 50enne». Il superiore interesse del minore richiede che ne vada valutata la possibilità di recupero attraverso percorsi di educazione e reinserimento nella collettività, essendo il carcere un luogo inadeguato a favorire l’evoluzione di individui non ancora del tutto maturi. Anzi, la reclusione spesso ha effetti di rinforzo delle traiettorie criminali che si pretendono di contrastare.
L’evoluzione normativa italiana
Fino 2018 vigeva la parificazione tra condannati adulti e minorenni, in contrasto con i principi costituzionali (artt. 27, c. 3 e 31, c. 2), nonché con i citati principi sovranazionali. Poi, l’ordinamento penitenziario si è evoluto verso un modello che «non incentri sul carcere la pretesa punitiva statale», come si spiega nella relazione di accompagnamento alla legge di riforma (d.lgs. n. 121/2028), nonché nelle Linee di indirizzo del ministero della Giustizia.
La detenzione in istituti penitenziari è prevista solo nel caso in cui altre misure – misure di comunità, come l’affidamento in prova al servizio sociale o con detenzione domiciliare e altro – non siano idonee a contemperare le istanze educative del minore con le esigenze sanzionatorie e di pubblica sicurezza.
In altre parole, misure extra moenia possono essere applicate a condizione che siano atte «a favorire l’evoluzione positiva della personalità» del minore, mediante un percorso educativo e di recupero, e che non vi sia un concreto pericolo che egli «si sottragga all’esecuzione o commetta altri reati».
I dati
I dati smentiscono quanto afferma Meloni, e cioè che prevedere più reati e più carcere per i minori possa avere effetti di prevenzione. È vero l’opposto. In confronto a paesi vicini, l’Italia fa un ricorso residuale alla reclusione dei minorenni, privilegiando il piano rieducativo, e ciò ha determinato un tasso di recidiva inferiore per chi fruisce di misure alternative rispetto all’iter ordinario.
Secondo il ministero della Giustizia, circa l’80 per cento dei progetti di messa alla prova si concludono positivamente, quindi con l’estinzione del reato; il tasso medio di recidiva dei minori che hanno intrapreso tali progetti è del 19 per cento, contro il 29 per cento di chi ha seguito percorsi tradizionali.
Nell’analisi di impatto della riforma del 2018 si individuava nella riduzione dei casi di recidiva uno degli indicatori di efficacia dell’approccio incentrato non più sul carcere, ma sull’educazione e inclusione sociale. Dunque, l’approccio funziona. Ma l’esecutivo vuole cambiarlo.
L’orientamento del governo
Dunque, con il decreto Caivano il governo sembra retrocedere rispetto a un modello di giustizia a misura di minore. E il fatto che, ai sensi del decreto, la messa alla prova potrà essere iniziata nella fase delle indagini preliminari, e non solo dopo l’inizio del processo, non è sufficiente a smentire questo cambio di rotta. Il nuovo approccio normativo è stato criticato dagli esperti.
Dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza fino all’Associazione Antigone si è spiegato che servono interventi educativi, «valorizzando il lavoro di rete tra scuole, autorità giudiziaria e servizi del territorio, creando percorsi di presa in carico che supportino l’intero nucleo familiare»; «lotta alla dispersione scolastica, che non può passare dal carcere per i genitori»; «investimenti sociali e culturali nelle periferie urbane e in tutti quei luoghi dove i contesti economici e sociali sono difficili».
Per svolgere azioni efficaci e mirate bisognerebbe sempre partire dalla ricognizione del reale, che non si realizza con fugaci passerelle nei luoghi del degrado o provvedimenti spot per contrastare emergenze di cui poi si perde traccia. Peccato che i governi spesso mostrino di non esserne capaci.
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