- Il procuratore di Milano, Francesco Greco, ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera che è da giorni commentata in tutte le chat di magistrati, in cui attacca Csm, i colleghi e i poteri forti.
- Nell’invettiva colpisce soprattutto l’ex collega Piercamillo Davigo, che ha ha diffuso i verbali segreti di Amara perché «era nel suo interesse» e non perché aveva a cuore le sorti del procedimento.
- Mai si era visto un procuratore capo che parla di indagini in corso accusando colleghi, chiedendo al procuratore di Brescia di archiviare l’indagine a suo carico e rivelando notizie che fanno parte di inchieste penali e disciplinari.
Il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, per tutta la vita è stato superbamente refrattario a parlare pubblicamente, invece questa volta sceglie un’intervista al Corriere della Sera per quello che suona come un suo testamento morale, in attesa del pensionamento a metà novembre. Il testo, in cui si entra nel merito del caso Eni e dei verbali trafugati di Piero Amara, è da due giorni al centro di fitte conversazioni via chat e newsletter interne alla magistratura e va decriptato in tutti i suoi riferimenti.
I principali accusati sono due. Il primo è l’ex collega di Mani Pulite Piercamillo Davigo, che secondo Greco ha diffuso i verbali segreti perché «era nel suo interesse» e non perché aveva a cuore le sorti del procedimento. Il sottinteso sembra far riferimento alla volontà di Davigo di danneggiare il consigliere del Csm Sebastiano Ardita, citato nei verbali, con cui era entrato in scontro.
Il secondo è il pm della sua procura, Paolo Storari, che ha consegnato i verbali a Davigo. Greco definisce il suo atto «irresponsabile» e la sua condotta fuori dal rispetto di tutte le regole. A lui imputa anche di aver indagato sulla fuga di notizie che lui stesso aveva provocato e di aver cambiato versione dei fatti davanti al Csm. Accuse pesanti, che parlano alla sua stessa procura, che ha difeso Storari firmando una lettera contro il suo trasferimento cautelare da Milano, chiesto dalla procura generale di Cassazione nell’ambito del procedimento disciplinare a suo carico. Greco attacca poi anche la procura generale, che aveva definito il processo Eni «uno sperpero di denaro pubblico» e a lei Greco rinfaccia la «mancata difesa di un sequestro da 100 milioni di dollari confermato in primo grado».
Sfida al Consiglio
Il procuratore capo, però, sfida anche il Csm che contro di lui ha aperto un procedimento disciplinare: un Csm che ha permesso la circolazione dei verbali di Amara e che avrebbe volontariamente mantenuto la procura di Milano sotto organico, così da inasprirne il clima di lavoro. L’attacco, poi, si estende a tutta la magistratura, «sempre più corporativa e autoreferenziale» e che ha il suo «contraltare nelle circolari del Csm». Il senso di queste parole va letto nella chiave della nomina del suo sostituto: Greco sottintende che il Csm, insieme alle «classi dirigenti politiche ed economiche», vogliano smantellare l’anomalia della procura di Milano, l’unica che avrebbe brillato per indipendenza e libertà di indagine. Eppure, aggiunge, «sono certo che questa procura non cambierà pelle». Il riferimento sembra essere alla regola non scritta per cui il vertice di Milano vada sempre a magistrati cresciuti a Milano (e legati all’area sinistra di Magistratura democratica), che oggi potrebbe essere sovvertita dalla nomina di Maurizio Viola, toga conservatrice e proveniente da fuori distretto, ma che metterebbe la pietra tombale sui due scandali recenti: il caso Palamara a Roma e le liti alla procura di Milano.
La sua tesi è di essere finito sotto attacco a causa della sua eccessiva indipendenza, rappresentata plasticamente dalla creazione di un dipartimento dedicato ai reati transnazionali (quello che ha indagato su Eni). Un dipartimento che l’Ocse ha indicato come l’unica best practice in Italia nel contrasto alla corruzione internazionale e che infastidirebbe politici, industriali e correnti della magistratura. Il teorema è quello dei poteri forti: nessun dubbio sorge in Greco sulla correttezza del proprio operato, sia nella gestione dei rapporti personali dentro la procura che del delicatissimo fascicolo Eni che Amara così abilmente ha sabotato mettendo i magistrati uno contro l’altro con le sue dichiarazioni.
La sua invettiva poi ha un neo di fondo, visto che l’accusa mossa a Davigo e Storari è di non aver rispettato le regole. Mai si era visto un procuratore capo che parla di indagini in corso accusando colleghi, chiedendo al procuratore di Brescia di archiviare l’indagine a suo carico e rivelando notizie che fanno parte di inchieste penali e disciplinari. Certamente gli attacchi gli sono piovuti da tutti i fronti, tentando di infangare una carriera brillante. La pagina finale così sopra le righe, però, Greco se l’è scritta da solo.
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