La magistratura italiana stava cercando di risalire la china dopo il caso Palamara del mercato delle nomine nelle procure. Invece sul Consiglio superiore della magistratura si è abbattuto un altro scandalo, che per proporzioni sembra addirittura maggiore e di cui la vicenda Palamara potrebbe essere solo un filone minore. Visto che è molto intricata, proviamo a fare ordine.

La vicenda esplode nei giorni scorsi e a dare il via è la pubblicazione sul nostro giornale di un inchiesta giornalistica sugli affari segreti dell’ex premier Giuseppe Conte quando lavorava ancora come avvocato. Il primo accenno alle consulenze di Conte per importanti società e presunte raccomandazioni – di cui Emiliano Fittipaldi trova poi prove e riscontri – emerge dalle parole dall’avvocato a lungo in rapporti con Eni, Piero Amara. Le sue parole sono contenute in verbali segreti di dichiarazioni davanti ai magistrati della procura di Milano, Paolo Storari e Laura Pedio, che hanno condotto l’inchiesta sul cosiddetto “falso complotto Eni”, un presunto tentativo di depistaggio ai danni del processo milanese sul giacimento nigeriano Opl245 (Eni e i suoi manager sono stati assolti, a marzo, dall’accusa di corruzione internazionale). In verbali diversi da quelli citati da Domani – sette in tutto e redatti a fine 2019 – Amara racconta anche di una presunta loggia segreta, chiamata “Ungheria”, di cui farebbero parte un centinaio di magistrati, politici, ufficiali delle forze dell’ordine e vertici delle istituzioni. Affermazioni gravi ma tutte da dimostrare.

Chi è Piero Amara

Piero Amara è un avvocato siciliano, il cui nome compare nella maggior parte dei più importanti processi degli ultimi anni. Arrestato nel 2018, è uno degli ingranaggi del “sistema Siracusa”, una sorta di illecito comitato di affari (composto da giudici e avvocati) messo in piedi con lo scopo di condizionare indagini e procedimenti giudiziari capace di condizionare indagini e procedimenti giudiziari. Dopo l’arresto e il patteggiamento a 2 anni e otto mesi per corruzione in atti giudiziari, Amara inizia a collaborare con i magistrati e racconta come avrebbe ordito, per conto di Eni, un complotto con l’obiettivo di sabotare l’inchiesta di Milano sulla corruzione internazionale in Nigeria.

Il nome di Amara emerge anche nel caso Palamara: il processo è cominciato la settimana scorsa davanti al tribunale di Perugia. L’ex magistrato romano Luca Palamara è accusato di aver acquisito informazioni riservate e di averle rese note dietro pagamento al lobbista Fabrizio Centofanti, il quale a sua volta le avrebbe girate ad Amara e all’avvocato Giuseppe Calafiore. Nasce così l’indagine per corruzione, perchè Amara e Calafiore sarebbero stati interessati ottenere da Palamara favori nelle nomine di alcuni capi di uffici giudiziari. Così si arriva ai verbali oggi al centro dello scandalo. Nel corso delle indagini milanesi sul caso Eni, Amara collabora con i magistrati e viene considerato parzialmente attendibile. Sulle sue dichiarazioni, infatti, si regge una parte dell’impianto accusatorio contro Eni, oltre che il processo di Perugia (Centofanti era il lobbista del gruppo Acqua Marcia che incarica conte di seguire una parte del concordato, nel 2012-2013, a fronte di compensi per centinaia di migliaia di euro).

I verbali

I verbali del dicembre 2019 con le dichiarazioni di Amara, in cui l’avvocato racconta della loggia segreta “Ungheria”, sono al centro di uno scontro interno alla procura di Milano. Secondo le ricostruzioni emerse in questi giorni, il pm Storari voleva che si procedesse all’iscrizione formale della notizia di reato in modo da accertare se i fatti fossero veri oppure se si trattasse di gravi calunnie. Storari avrebbe presentato richiesta anche per iscritto, e questo avrebbe prodotto una differenza di vedute con il procuratore capo Francesco Greco e la collega Laura Pedio.

E’ la primavera del 2020 e Storari decide in autonomia di portare i verbali a Roma, per consegnarli all’allora consigliere del Csm ed ex magistrato milanese Piercamillo Davigo. Secondo le ricostruzioni, la sua iniziativa, presa all’insaputa dei suoi superiori, avviene con l’obiettivo di tutelarsi da eventuali azioni disciplinari, perchè ritiene che l’immobilismo della procura di Milano possa compromettere le indagini. Del resto, che il palazzo di giustizia di Milano sia attraversato da tensioni interne proprio in merito al fascicolo sull’Eni è stato dimostrato dal duro scontro tra procura e tribunale, proprio all’indomani della sentenza. Tensioni sempre negate dal procuratore capo Greco, che anche ieri ha risposto: «Ma quale spaccatura?» a chi gli chiedeva conto della fuoriuscita dei verbali dagli uffici milanesi.

Il ruolo di Davigo

Da parte sua, Storari si sarebbe invece detto pronto a riferire al Csm della sua scelta di consegnare i verbali a Davigo. L’ex togato del Csm, invece, ha commentato non vedere nulla di anomalo nell’iniziativa di Storari, che non avrebbe commesso nessuna violazione perchè «il segreto non è opponibile ai consiglieri del Csm». Inoltre, a giustificazione della scelta del magistrato, ha aggiunto: «Cosa deve fare un pm se non gli fanno fare ciò che deve, cioè iscrivere la notizia di reato e fare le indagini per sapere se è fondata?». E ancora ha aggiunto: «C'è stato un ritardo a mio giudizio non conforme alle disposizioni normative nell'iscrizione della notizia di reato, e un ritardo conseguente nell'avvio delle indagini», riferendosi alla scelta della procura di Milano guidata da Greco di non aprire immediatamente il fascicolo. Dunque, Davigo conferma di aver preso visione dei documenti e di aver «informato chi di dovere». Ma chi?

Il Quirinale

Secondo una ricostruzione del Fatto Quotidiano, Davigo avrebbe informato di quanto letto e dei verbali il vicepresidente del Csm, David Ermini e anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in quanto presidente dell’organo di governo autonomo della magistratura. Inoltre, secondo una lettera anonima ricevuta dal Fatto (che l’ha rivelata), anche il consigliere giuridico del Quirinale, Stefano Erbani, sarebbe stato al corrente del contenuto dei documenti. La scelta di informare il Colle, avrebbe un precedente in quella di Gherardo Colombo e Giuliano Turone quando entrarono in possesso degli elenchi della loggia P2, nel 1981. Tuttavia, al momento in cui la notizia sarebbe stata portata a Mattarella non ci sarebbe stato ancora alcun fascicolo aperto e nessuna indagine. Dunque, il Quirinale sarebbe stato a conoscenza già nell’estate 2020 del contenuto dei verbali di Amara e della possibile esistenza di una loggia segreta. Alla richiesta di un commento, dal Colle hanno risposto di non aver nulla da dire su questa vicenza.

Anche Salvi sapeva

Davigo informa anche il procuratore generale di Cassazione e membro di diritto del Csm, Giovanni Salvi, ma senza fare riferimento a «copie o atti». Lo stesso Salvi, infatti, ha detto di essere stato sommariamente informato da Davigo della vicenda milanese: «Nella tarda primavera dell'anno passato, il consigliere Piercamillo Davigo mi disse che vi erano contrasti nella Procura di Milano circa un fascicolo molto delicato, che riguardava anche altre procure e che - a dire di un sostituto - rimaneva fermo».

Tuttavia, «nè io nè il mio ufficio abbiamo mai avuto conoscenza della disponibilità da parte del consigliere Davigo o di altri di copie di verbali di interrogatorio resi da Piero Amara alla Procura di Milano».

Inoltre, Salvi aggiunge di aver informato subito il procuratore Greco, con il quale il 16 giugno 2020 ha avuto un colloquio. Dunque Greco è venuto a conoscenza, almeno in modo generico, dell’iniziativa del pm Storari direttamente dal procuratore generale di Cassazione. «Greco mi informò per grandi linee della situazione e delle iniziative assunte. Si convenne sulla opportunità di coordinamento con le Procure di Roma e Perugia. Il coordinamento fu avviato immediatamente e risultò proficuo», ha spiegato Salvi, indicando dunque che un fascicolo sarebbe stato infine aperto sul contenuto dei verbali di Amara. Non risulta che all’epoca Greco abbia preso provvedimenti nei confronti di Storari, che ha continuato ad occuparsi del fascicolo sul “complotto Eni” nel quale Amara è considerato così attendibile che la procura di Milano voleva farlo ammettere come teste nel processo principale sull’Eni per corruzione internazionale.

Il corvo al Csm

Nonostante in tanti sapessero delle dichiarazioni di Amara su questa presunta loggia “Ungheria” e sulla differenaza di vedute dentro la procura di Milano, nulla accade: non ci sono sviluppi percepibili nelle indagini che indichino che Amara viene preso sul serio, ma neppure viene accusato di calunnia o arrestato. Piercamillo Davigo va in pensione nell’ottobre del 2020 e per questo decade anche dal suo ruolo di consigliere del Csm senza che del contenuto di quei verbali esca notizia. E’ a questo punto che, nel dicembre 2020, succede qualcosa. Partono tre plichi di fogli. I verbali – in versione Word e non firmati – vengono inviati, accompagnati da una lettera anonima prima alla redazione del Fatto Quotidiano, poi a Liliana Milella di Repubblica, la giornalista che segue il Csm, e infine, nel marzo 2021, al togato indipendente del Csm, Nino Di Matteo. L’invio sembra avere uno scopo preciso: sbloccare la situazione e rendere pubblico il contenuto delle dichiarazioni di Amara. Ma non succede. Sia il Fatto Quotidiano che Repubblica decidono di non pubblicare le informazioni contenute nei verbali perché temono di essere strumentalizzati e di danneggiare una indagine in corso. Antonio Massari del Fatto porta le carte e sporge denuncia alla procura di Milano, Milella fa lo stesso alla procura di Roma.

Di Matteo, invece, ne parla con il collega togato Sebastiano Ardita, il cui nome sarebbe contenuto nei verbali come membro della loggia segreta. Poi avverte il procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, i cui uffici sono competenti per le indagini sui magistrati di Roma. Infine, nel plenum del Csm di questa settimana, dopo gli articoli di Domani su Amara e Conte, racconta i fatti: «Nei mesi scorsi ho ricevuto un plico anonimo tramite spedizione postale contenente una copia informale, priva di sottoscrizioni, di un interrogatorio di un indagato davanti all'autorità giudiziaria. Nella lettera anonima che accompagnava il documento quel verbale veniva ripetutamente indicato come segreto. Nel contesto dell'interrogatorio l'indagato menzionava, in forma diffamatoria se non calunniosa e come tale accertabile, circostanze relative a un consigliere di questo organo», ha detto, spiegando di aver già contattato Perugia e di aver specificato «il timore che tali dichiarazioni e il connesso dossieraggio anonimo potessero collegarsi a un tentativo di condizionamento dell'attività del consiglio».

La posizione di Ardita

Ieri, inoltre, Di Matteo ha commentato la posizione del collega Ardita, definendo le dichiarazioni che lo riguardano «palesemente calunniose. La loro falsità è facilmente riscontrabile. L'illecita diffusione di quei verbali anche all' interno del Consiglio superiore rappresenta un vero e proprio dossieraggio volto a screditare il consigliere Ardita e a condizionare l'attività del Csm».

Ardita, inoltre, si è già recato in procura a Perugia per smentire quanto contenuto nei verbali. Amara, infatti, si riferirebbe ad Ardita come «pm di Catania» nel 2006, mentre in quell’anno lui era già al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Inoltre, lo definisce «culo e camicia» con l’ex capo del Dipartimento amministrazione pentienziaria (Dap) Gianni Tinebra, mentre è noto che i due avrebbero interrotto i rapporti nel 2005. Davigo, che pure è della stessa corrente di Ardita, negli ultimi temi ha invece rapporti molto più freddi.

La funzionaria è “il corvo”

La procura di Roma per individuare il “corvo”, che si annida proprio al Csm. Le indagini, infatti, portano alla sospensione della funzionaria del consiglio Marcella Contrafatto. Sarebbe lei la mano che ha spedito i plichi anonimi e a suo carico grava ora un’indagine per calunnia. La giornalista di Repubblica Liliana Milella ha riferito di essere stata contattata via telefono da una voce di donna che le ha preannunciato l’invio dei verbali segreti e di aver accettato l’invio delle carte. Poi, dopo un mese, sarebbe arrivata la denuncia di Milella in procura e proprio grazie ai tabulati telefonici gli inquirenti sarebbero arrivati a individuare Contrafatto.

Come lei sia entrata in possesso dei documenti è ancora tutto da chiarire. Tuttavia il suo ruolo al Csm è stato quello di segretaria di Piercamillo Davigo e poi, al momento del pensionamento del magistrato, è passata alle formali dipendenze del componente laico in quota Movimento 5 Stelle, Fulvio Gigliotti. Inoltre, la donna sarebbe anche compagna di un magistrato di corte d’Appello romana ora in pensione, Fabio Gallo, legato prima alla corrente Magistratura Indipendente e poi passato a quella fondata da Davigo, Autonomia e Indipendenza.

Interrogata dai magistrati dopo la perquisizione nel suo ufficio e a casa sua, Contrafatto si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Tuttavia, la guardia di finanza avrebbe trovato i verbali di Amara nella sua disponibilità. La funzionaria sarebbe indagata per calunnia dalla procura di Roma, ma nei suoi confronti sarebbe aperto un altro procedimento da parte delle procure di Milano e Perugia per rivelazione del segreto d'ufficio. Inoltre, rischia di subire anche un procedimento disciplinare. Il pg di Cassazione Salvi, infatti, ha detto che i fatti sono «una grave violazione dei doveri del magistrato, ancor più grave se la diffusione anonima dei verbali fosse da ascriversi alla medesima provenienza. Non appena pervenuti gli atti necessari da parte delle procure competenti, la procura generale valuterà le iniziative disciplinari conseguenti alla violazione del segreto».

«Csm estraneo»

Il vicepresidente del Csm, David Ermini, è intervenuto in via ufficiale per sostenere che il consiglio è «del tutto estraneo a manovre opache e destabilizzanti, ma è semmai obiettivo di un'opera di delegittimazione e condizionamento tesa ad alimentare, in un momento particolarmente grave per il paese, la sfiducia dei cittadini verso la magistratura». Tuttavia, la notizia è sufficiente a far sprofondare in una nuova bufera l’istituzione di autogoverno della magistratura. Nella prossima seduta del plenum, la prossima settimana, sarà impossibile non affrontare la questione. Soprattutto se nei prossimi giorni il quadro si arricchirà di altri dettagli.

L’interrogativo, ora, riguarda i prossimi passi sia del Csm che delle procure che stanno ora formalmente indagando sulle parole di Amara. In particolare, nel mezzo di una vicenda così intricata, a sparire sembra essere proprio la la presunta loggia segreta. Esiste o non esiste la loggia “Ungheria” dei racconti di Amara? Una scorciatoia per affrontare questo problema è discutere l’attendibilità di Amara, le cui parole sono alla base di tante inchieste in corso. Se crolla la sua credibilità, anche quelle inchieste vacillano.

 

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