- Il guardasigilli ha vissuto sei mesi a via Arenula in cui ha scoperto a sue spese che la politica non è per neofiti.
- L’ultimo pasticcio del caso Uss rischia di tramutarsi in un suo definitivo silenziamento da parte dell’esecutivo.
- Anche perchè il passo successivo sarà quello della separazione delle carriere, altro cavallo di battaglia del Nordio editorialista ma da molti data già per fallita.
Nessuno oggi vorrebbe essere nei panni di Carlo Nordio. Il ministro della Giustizia arriva alla settimana che dovrebbe vedere approdare in consiglio dei ministri le sue riforme, ma intorno a lui non si è ancora depositata la polvere degli ultimi scandali.
Il suo mandato era cominciato con l’aura del ministro quasi tecnico nonostante l’elezione nelle liste di Fratelli d’Italia, forte della sua esperienza sul campo in quarant’anni da magistrato e con l’aura dell’editorialista conservatore d’area liberale ma garantista. Sulla carta un profilo perfetto per riuscire a scalzare gli altri pretendenti più politici a via Arenula (erano stati avanzati i nomi di Giulia Bongiorno per la Lega e di Elisabetta Casellati per Forza Italia), con la garanzia per la premier Giorgia Meloni di essersi accaparrata tra le file di FdI un padre nobile della destra.
Invece, alla prova dei fatti è emerso ciò che altri neofiti prima di lui hanno scoperto a loro spese: che la parte davvero difficile del ruolo di ministro è la politica.
Veneto di origine, Meloni ha scelto per lui il collegio blindatissimo dell’uninominale Treviso, sua città natale. FdI gli aveva assicurato che non c’era nemmeno bisogno che lui facesse campagna elettorale ma Nordio si è divertito a girare anche i paesi della provincia. Questo, infatti, è il pregio che tutti – anche i detrattori – gli riconoscono: la giovialità, affiancata da una gran voglia di parlare e non solo di diritto. Il suo tema preferito sarebbe la storia, infatti ha scritto alcuni libri gialli ambientati nella seconda guerra mondiale di cui è molto fiero e il suo mito è Winston Churchill. Tanto da citarlo nel suo primo comunicato stampa, quando le opposizioni sbeffeggiarono il governo per l’età avanzata dei ministri e lui rilasciò una nota in cui ricordava che «Churchill celebrò la vittoria su Hitler alla mia età».
Eppure, Nordio ha scoperto a sue spese la differenza tra il ruolo di ministro di un esecutivo e quello di pm battitore libero. «Mettermi a dirigere un ufficio sarebbe stato come mettere un pilota da guerra dietro una scrivania. A me piaceva fare i processi», è una delle sue battute a chi gli ha chiesto perchè non abbia mai voluto fare carriera, rimanendo sostituto procuratore fino a 65 anni. Ora, però, il posto dietro la scrivania che fu di Palmiro Togliatti a via Arenula è come stare sulla linea del fronte.
Gli inciampi
I primi sei mesi di governo, infatti, sono stati un susseguirsi di inciampi. A cominciare dal primo decreto legge firmato dal governo: l’ormai famigerata norma anti-rave, che puniva con pene superiori ai cinque anni chi frequentava feste illegali con possibilità di utilizzare le intercettazioni per le indagini. Il reato poi è stato modificato in sede di conversione ma la firma sotto rimane quella del fu garantista Nordio, che per anni aveva scritto contro i pm per l’uso spropositato delle intercettazioni e la politica per il vizio di inventare inutili nuovi reati.
Poi è venuto l’arresto del latitante Matteo Messina Denaro, rovinato dalla polemica sull’uso delle intercettazioni, visto che proprio in quel periodo il ministro aveva annunciato la volontà di regolamentarne l’utilizzo, riducendo quello che lui definiva «l'abuso che se ne fa per reati minori» e il fatto che transitano da troppe mani e poi «escono sui giornali notizie che diffamano l'onore delle persone». In una durissima audizione alla Camera si scontrò con l’ex collega Federico Cafiero de Raho che lo accusava di non capire nulla di mafia. «Se è vero che noi oggi siamo circondati da una mafia che si è infiltrata dappertutto la domanda allora è: ma dov'era l'antimafia?», era stata la risposta di Nordio. Tanto che era dovuta intervenire la stessa premier Meloni per fermare il suo ministro, ribadendo la sua fiducia in lui ma invitandolo informalmente a non andare allo scontro diretto con la magistratura.
Quasi contestualmente, poi, gli è toccato il caso Cospito, con l’anarchico in sciopero della fame contro il 41 bis. Il guardasigilli ha mantenuto la linea della fermezza voluta dal governo, disattendendo le sue posizioni sul carcere come rieducazione e di fatto facendo da scudo al pasticcio senza precedenti commesso dal duo Delmastro-Donzelli, con la rivelazione delle carte riservate del Dap sulla detenzione di Cospito, pur di attaccare le opposizioni.
Infine, è di poche settimane fa il tentativo di scaricare sui magistrati la colpa della fuga del russo Artem Uss dai domiciliari con braccialetto elettronico, che gli erano stati concessi dalla corte d’appello di Milano in attesa dell’accoglimento della richiesta di estradizione da parte degli Usa. La sua fuga ha causato uno strappo diplomatico con Washington, e nello scaricabarile innescato dal governo il ministro ha promosso una azione disciplinare nei confronti dei giudici di Milano. Con poca possibilità di successo, visto che si tratta di un provvedimento motivato e come tale non sindacabile se non per via giudiziaria. Ma con altissimo effetto boomerang, visto che ha portato le toghe a unirsi come poco si era visto succedere negli ultimi tempi, unite a difendere l’indipendenza della magistratura.
Il team
Dopo sei mesi così complicati, la sensazione al ministero è quella di essere sulle montagne russe. Tra i corridoi di via Arenula proprio quest’ultima iniziativa è stata considerata «maldestra» e la responsabilità di aver convinto il ministro a un passo così rischioso sarebbe da attribuirsi al suo ufficio tecnico e in particolare alla vicecapo di Gabinetto, l’ex parlamentare di Forza Italia e magistrata Giusy Bartolozzi.
Proprio la scelta dei suoi collaboratori più stretti, secondo chi conosce bene la struttura ministeriale, è stata il frutto di ragionamenti troppo poco politici. Nordio, infatti, ha scelto di creare una piccola enclave veneta nel ministero, scegliendo di circondarsi di tecnici con un curriculum valido, ma non certo abituati a muoversi tra le insidie dei ministeri romani. «Probabilmente Nordio ha preferito individuare persone fuori dal solito giro proprio per sentirsi più libero», ipotizza chi lo conosce. Infatti ha scelto come capo di gabinetto Alberto Rizzo, ex presidente del tribunale di Vicenza e noto per aver ridotto lì l’arretrato, ma con poca esperienza su scenari di portata più ampia. Antonio Mura, conosciuto quando era procuratore generale di Venezia e toga di Magistratura indipendente, è il capo del legislativo. L’avvocata di Rovigo Valentina Noce, invece, è la sua segretaria particolare.
In parlamento – anche tra le fila della maggioranza – ma anche in ambienti giuridici si ripete come sia ormai sempre più evidente la subalternità della Giustizia rispetto al Viminale di Matteo Piantedosi. «Come negli anni di Roberto Maroni e Roberto Castelli», ricorda un leghista, «con la politica criminale guidata dal ministero dell’Interno». Anche ai tempi del decreto rave, infatti, il testo del nuovo reato sarebbe stato steso dall’ufficio legislativo di Piantedosi e Nordio non avrebbe potuto far alto che tentare qualche aggiustamento in corsa.
I nemici
Ora, infine, è arrivato il mese delle riforme della giustizia. A maggio scatta l’ora x anche per Nordio, che dopo un profluvio di annunci ha confermato il suo cronoprogramma con palazzo Chigi e porterà in consiglio dei ministri i primi pacchetti di riforma. Si parte con la modifica dell’abuso d’ufficio, poi però toccherà anche alle intercettazioni. «Modifiche di buon senso che aumentano le tutele dei soggetti terzi», assicurano fonti di via Arenula, che non ritengono il clamore mediatico suscitato dal ministro sul tema sia congruo rispetto alla portata della riforma. Tuttavia, dopo il caso Uss, c’è una paura: «In questo clima sarà un calvario». Vista la levata di scudi da parte dell’Anm il timore – che è quasi certezza – è che la magistratura, già diffidente, si arrocchi contro qualsiasi ulteriore modifica delle intercettazioni, soprattutto dopo che il guardasigilli ha ipotizzato anche di fissare un budget annuale di spesa. Anche per questo Nordio ha scelto di tendere la mano: in settimana è andato a Milano per un convegno sul tribunale dei brevetti e in quella sede è stata occasione per una cena con i vertici degli uffici dal clima descritto come «cordiale». Difficilmente, però, basterà. Anche perchè il passo successivo sarà quello della separazione delle carriere, altro cavallo di battaglia del Nordio editorialista ma da molti data già per fallita. «Con questa tensione sull’esecutivo l’ultima cosa che serve è far scoppiare un’altra lite coi magistrati», è il ragionamento che filtra dalla maggioranza, in cui ormai da mesi circola un mandato: silenziare il guardasigilli, per evitare altri inciampi su un settore scivoloso come la giustizia, su cui la premier non vorrebbe fare barricate di principio.
© Riproduzione riservata