La presenza delle mafie, non solo quelle italiane, in tutti i paesi europei è ormai un fatto. Esiste un coordinamento europeo?

Certamente. Esistono Eurojust, Europol e Interpol, che facilitano le indagini e i rapporti con i sistemi giudiziari europei. Tuttavia, rispetto al ruolo dell’Italia, il tema è politico. Esiste un organismo internazionale per il contrasto alla ‘ndrangheta. Sa dov’è la sede? Non a Reggio Calabria, dove la ‘ndrangheta è nata, ma a Lione. Non è una questione di pennacchio, ma ciò spiega quanto poco conti l'Italia sul panorama internazionale. Abbiamo una polizia giudiziaria di primissimo livello e gli stranieri vengono in Italia a formarsi, ma sul piano politico siamo stati e siamo deboli.

Lei ha fatto centinaia di rogatorie internazionali in tutto il mondo. Quali paesi europei vanno attenzionati maggiormente sul fronte della lotta alle mafie?

Ogni paese ha le sue peculiarità. La Spagna, per esempio, è stata trasformata dai colombiani in un grande supermercato, che stocca tonnellate e tonnellate di cocaina. La Spagna ha un sistema giudiziario e una capacità di reazione molto lenta. In Italia, se decidiamo di intercettare un indagato impieghiamo al massimo un quarto d’ora. In Spagna, se tutto va bene, ci vogliono una ventina di giorni e nel frattempo l’indagato ha cambiato utenza tre volte, come spesso accade tra gli appartenenti al cartelli internazionali. È un problema di comprensione e accettazione del fenomeno.

Perché parla di accettazione?

Glielo spiego con un altro esempio. Io ho iniziato ad arrestare i primi latitanti in Olanda trent’anni fa: dall’Italia indicavamo agli altri Stati i nascondigli dei latitanti e ne consentivamo la cattura. Nell’occasione mi interfacciavo con il procuratore di Rotterdam dicendogli: “Guarda che qui c’è la ‘ndrangheta”. Non sono stato mai ascoltato. Un anno e mezzo fa, sono stati uccisi un giornalista, un avvocato e un collaboratore di giustizia e allora il governo olandese è letteralmente entrato nel panico, ed ha cambiato nettamente atteggiamento. Infatti, sono venuti in Italia, per incontrarmi, due ministri olandesi e ho detto loro che la situazione nel loro paese, da un punto di vista criminale, è nettamente peggiorata. Quando, cercavo di farmi sentire, la mafia era una sola; adesso devono contrastare almeno tre tipologie di organizzazioni mafiose.

Quali?

Oltre la ‘ndrangheta, la mafia albanese, che sarà la mafia del futuro in Europa. L’organizzazione è diventata molto ricca e proviene da un paese molto corrotto, anche sul piano giudiziario; essa lavora in joint venture con la ‘ndrangheta in America del Sud e in Spagna. Poi c’è la “maffia”, come si chiamava in Italia a fine Ottocento, nei primi documenti giudiziari, ed è composta dalla terza generazione di nordafricani.

Come si può combattere il fenomeno in Europa?

La questione è a monte: io non credo che l’Europa abbia interesse a contrastare le mafie. Ciò lo si coglie da un dato significativo: in Europa non esiste alcun limite all’utilizzo del contante, così che chiunque può recarsi a Francoforte e comprare un’auto da 100mila euro portando con sé il denaro in una valigetta, senza che nessuno chieda conto della loro provenienza. L’euro è diventata la nuova moneta del narcotraffico.

Perché?

In Spagna circola il 75 per cento delle banconote da 500 euro e qui si compra la cocaina dal Sud America. Nel mercato nero una banconota da 500 viene pagata 530 euro, ed è preferita rispetto al dollaro per una ragione: un milione di euro in banconote pesa 1,2 kg; lo stesso valore in dollari pesa cinque volte tanto. Il riciclaggio di denaro in Europa non viene contrastato perché non conviene; non limitando la circolazione del contante, i proventi illeciti vengono calcolati nel Pil.

Veniamo all’Italia. Il ministro Nordio vuole ridurre il numero di intercettazioni.

Dice che costano troppo. La settimana scorsa a Napoli abbiamo sequestrato l’equivalente di 1,8 milioni di euro in bitcoin, li abbiamo convertiti e sono già nella disponibilità delle casse del ministero, pronti per essere spesi. Così accade in altri distretti dove grazie a indagini accurate si riescono a confiscare ingenti profitti. Ebbene, il valore dei beni provento di attività illecite è dieci volte superiore rispetto alla spesa per le intercettazioni. La verità è che non si vuole intercettare chi corrompe, chi fa concussione e chi fa peculato, non si vuole toccare la zona grigia che si frappone tra la politica e le associazioni criminali.

Le riforme dell’ordinamento giudiziario proseguono, invece.

Ma le scoperture d’organico rimangono enormi. Si sono fatti nuovi concorsi, ma chi li supererà assumerà le funzioni tra almeno quattro anni; nel contempo nessuno spiega come mai continuino ad esserci così tanti magistrati fuori ruolo. Una soluzione sarebbe quella di richiamare al lavoro i magistrati in pensione per ricoprire questi incarichi: nel 2015 si è abbassata l’età pensionabile a 70 anni, ma a quell’età si è ancora in grado di lavorare. Guardi: il ministro Nordio di anni ne ha 75.

In tema di garanzie, è al vaglio della Camera l’introduzione di un collegio di tre giudici per decidere sulle custodie cautelari in carcere.

Vorrei capire come può essere possibile farlo in un piccolo tribunale con pochi magistrati e con il nostro regime di incompatibilità. E poi a che cosa serve un collegio di magistrati se dopo dieci giorni un altro collegio (il tribunale del riesame) interviene? Si vuole introdurre il collegio? Bene: aboliamo il tribunale del riesame. Invece impegneremo sei giudici (oltre i cinque della cassazione) per una misura cautelare. La verità è che queste riforme vanno fatte da magistrati e da avvocati che stanno nei tribunali, non dai professori che non sono mai entrati in un palazzo di giustizia.

In questo momento storico, la sensazione è che le grandi procure siano un po’ ferme sul fronte delle indagini. È così?

È un ragionamento complesso. Io penso che oggi ci sia una crisi di vocazione sia per il lavoro di magistrato che per quello di investigatore. Vede: con la riforma Cartabia sono stati introdotti dei termini capestro anche per le indagini. SI figuri che se si superano questi termini, e magari nelle more il Gip sta vagliando una complessa richiesta cautelare, bisogna informare gli indagati, che ben potrebbero fuggire o inquinare la prova, sapendo che potrebbero essere arrestati. Per cui questa vera e propria ossessione per il rispetto dei termini crea una paura di sbagliare, spingendo a non approfondire questioni complesse, preferendo così archiviare il caso. Io invece credo che chi è ai vertici di un ufficio debba dare fiducia ai propri collaboratori, spingendo a fare le indagini.

I suoi primi giorni sono stati burrascosi, con uno scontro anche con la Camera penale.

Quando sono arrivato a Napoli molti mi hanno suggerito di pesare le parole, prospettandomi di turbare talune sensibilità. Io però sono una persona diretta e anche decisionista. E penso che nel rispetto reciproco dei ruoli ci si debba confrontare in maniera franca e leale e senza pregiudizio. I rappresentanti della Camera penale sono venuti a trovarmi e mi hanno chiesto di collaborare; ma cosa vuol dire? Ripeto, nel rispetto dei ruoli, ciascuno deve fare bene il suo lavoro. Posso anche lasciare alle spalle i giudizi sulla mia persona, espressi prima ancora di insediarmi; ma ho detto loro che a me non interessa il politicamente corretto. Farò sempre quello che ritengo in scienza e coscienza sia più utile perché il territorio sia vivibile e la collettività più sicura. Non mi interessa risultare simpatico ad alcuno.

A Catanzaro invece si è chiuso il primo grado del processo “Rinascita Scott”, per cui è stato molto criticato a causa dell’utilizzo delle misure cautelari ma che non ha ricevuto grande attenzione mediatica nonostante le 207 condanne.

Ben vengano le critiche. Esse costituiscono uno stimolo per essere più attenti e accorti. Non tollero, però, giudizi basati su dati falsi, espressi con cognizione di causa. Questa non è informazione. Ma ormai la giustizia ha pochissimo spazio sui media.

In realtà i giornali ne sono pieni.

Non è vero. Si scrive molto di politica giudiziaria ma poco di cronaca. Le notizie come l’inchiesta Rinascita Scott esistono solo se stanno nelle prime pagine dei due o tre quotidiani principali; altrimenti sembra che non esistano. Sono tra i pochi a fare le conferenze stampa. Dovendo rispettare la riforma Cartabia, mi rendo conto che sono perfettamente inutili perché si può spiegare poco o nulla. Ma questa deriva è anche colpa dei giornalisti, che oggi si lamentano perché non riescono a comprendere quali siano i contenuti di una indagine, ovviamente non più riservata. Dove erano i rappresentanti di categoria quando il parlamento approvava le disposizioni sulla presunzione di innocenza? Io certamente non posso rischiare un provvedimento disciplinare al solo fine di fornire elementi di interesse pubblico.

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